1. “TORNA NELLA GABBIA, SCIMMIA!”: IL RAZZISMO INVADE L’ACCOUNT TWITTER DI OBAMA
2. DOPO 6 ANNI BARACK APRE UN SUO ACCOUNT TWITTER: 1 MILIONE DI FOLLOWER IN 5 ORE. NON MANCANO LE FRASI INGIURIOSE: GLI 007 CONTROLLANO GLI AUTORI DEI TWEET VIOLENTI
3. NON SOLO INSULTI (“NEGRO, CHE TI VENGA UN CANCRO”), CONTINUI RIFERIMENTI ALLE SCIMMIE E INVITI AL LINCIAGGIO, ANCHE FOTOMONTAGGI DEL PRESIDENTE IMPEGNATO IN ATTI OSCENI O COL COLLO SPEZZATO, OBAMA INVITATO A SUICIDARSI E ALTRO ANCORA

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Massimo Gaggi per Corriere.it

 

«Torna nella gabbia, scimmia». Oppure slogan come «rope for change» al posto dell’obamiano «hope for change» col cambiamento che non è più una speranza ma un cappio al collo. E, ancora, fotomontaggi del presidente impegnato in atti osceni o col collo spezzato, Obama invitato a suicidarsi e altro ancora.

 

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Internet, si sa, è uno strumento potente e indispensabile che non tutti usano in modo costruttivo. C’è anche chi, approfittando dell’anonimato dietro il quale ci si può trincerare in rete (ma a volte anche a viso aperto), usa i «social network» per sfogare rabbia e odio, per calunniare e diffondere teorie cospirative.

 

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Un politico che dialoga coi cittadini in rete sa di esporsi anche a insulti ed epiteti di ogni tipo. Barack Obama più di altri, visto che è stato bersagliato dai messaggi razzisti fin da quando, all’inizio del 2007, decise di candidarsi alla Casa Bianca. Ma quello che è successo dopo il lancio di @POTUS, l’«account» Twitter personale del presidente, va oltre le attese più pessimiste del suo team.

 

Obama, che da anni è su Twitter ma con un «account» istituzionale della Casa Bianca, ha deciso di avvicinarsi ai cittadini creando un indirizzo tutto suo (Potus è l’acronimo di President of the United States). Lunedì si è presentato agli americani con un messaggio gioviale: «Salve Twitter. Sono Barack. Davvero! Ci sono voluti sei anni ma alla fine mi hanno dato il mio account».

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Erano le 10.38 del mattino. Dopo appena dieci minuti la prima risposta razzista: «Salve negro: i conservatori danno il benvenuto al presidente Obama su Twitter». Seguito, subito dopo, da un «negro, che ti venga un cancro». È stato l’inizio, se non di una valanga, di un consistente flusso di insulti a sfondo razziale: soprattutto riferimenti alle scimmie, inviti al linciaggio, l’auspicio che il presidente, al quale sono stati dedicati gli account #arrestateobama e #tradimento, finisca con un cappio al collo.

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Alla Casa Bianca minimizzano: spiegano che, quando hanno deciso di aprire un nuovo canale di dialogo tra presidente e cittadini, avevano messo nel conto di ricevere anche un piccolo numero di messaggi di odio che comunque non inficiano il risultato complessivamente positivo dell’operazione.

 

Quanto piccolo? I comunicatori di Obama dicono che nessuno calcola la percentuale dei messaggi razzisti. Ma quelli più violenti vengono monitorati dai servizi segreti che hanno creato da tempo un «Internet Threat Desk» per stabilire se i messaggi estremi diffusi in rete sono espressioni di pura intemperanza verbale o possono rappresentare una minaccia effettiva.

 

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Se n’è accorto l’autore di «Rope for change», Jeff Gullickson di Minneapolis, che si era firmato con nome e cognome: dice di aver ricevuto subito dopo una visita di agenti dell’intelligence. Il Servizio segreto non smentisce: «I cittadini hanno il diritto di dire tutto quello che vogliono. Noi abbiamo il dovere di verificare le reali intenzioni della gente, quando vengono fatte certe affermazioni».

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