UMANO, TROPPO UMANO ‘STO DACCO’ - “IO LAVORO MOLTO SULL'UMANO, SUL RAPPORTO DIRETTO. E SONO UNO CHE A VOLTE È QUASI INVADENTE” - ECCO PERCHÉ IL LOBBISTA INTASCAVA MILIONI DI EURO: PER ESSERE “INVADENTE”! - “SONO ESPERTO NELLA FREQUENTAZIONE ORMAI DA 34 ANNI DI TUTTI I MEANDRI REGIONALI PER QUANTO RIGUARDA LA SANITÀ. SO COSA BISOGNA FARE, QUANDO INTERVENIRE, COME INTERVENIRE” - SIA DACCÒ, SIA GLI ALTRI INDAGATI SULL’AFFARE SAN RAFFAELE, PER I PM SONO “REI CONFESSI”…

1- IL SISTEMA DACCÃ’: PAGATO PER INSISTERE ECCO CHI ERANO I MIEI REFERENTI
Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella per il "Corriere della Sera"

Neppure Pierangelo Daccò sa bene quanti soldi abbia ricevuto dalla Fondazione Maugeri soltanto per essere «insistente» e persino un po' «invadente» nei «meandri della Regione» Lombardia «dove - dichiara - mi conoscono tutti o almeno tutti sanno chi sono»: nell'arresto del 13 aprile - risponde in carcere ai magistrati che lo interrogano il 17 aprile - «leggo 56 milioni di euro» ma «non posso dire "è vero" o "non è vero"... Forse qualcosa di più, forse 60, non lo so, 70 penso, più o meno».

Un mare di soldi dal 2000 al 2011. Pagatigli benché Daccò stesso riconosca «che non sono un esperto di sanità, non sono un tecnico». Sborsati da un colosso ospedaliero che aveva fior di tecnici e di avvocati per tutelare i propri interessi al Pirellone. E che invece con 70 milioni di euro acquista una competenza che in Daccò starebbe tutta qui: «Io sono esperto nella frequentazione ormai da 34 anni di tutti i meandri regionali per quanto riguarda la sanità. Eh sì, so cosa bisogna fare, quando intervenire, come intervenire... Qualche risultato so che l'ho portato a casa, altrimenti Passerino (direttore generale della Fondazione Maugeri di Pavia, ndr) non mi avrebbe detto più di una volta: "Meno male che ci sei tu, perché se no saremmo saltati"».

LE «PERCENTUALI» DEL MEDIATORE
Daccò è il primo a non meravigliarsi che i pm non credano a questa autodescrizione del suo lavoro, degna di una gag di un film di Nanni Moretti («faccio cose, vedo gente») e tuttavia valsagli almeno 70 milioni. Ma scimmiotta Leonardo Sciascia per provare a spiegare: «Sono d'accordo che la cosa possa stupire voi, non me. Perché siamo tutti uomini, no? C'è chi è un ardito, c'è chi si vergogna, c'è chi pensa che se manda un altro è meglio, c'è chi non se la sente di farlo, questo lavoro. E sono venuti da me». Che «faccio il lavoro, mi muovo, riesco a portare a casa il risultato» e «contratto la percentuale, 5%, 15%, in Sicilia prendo il 18%». Perché «io lavoro molto sull'umano, sul rapporto diretto. E sono uno che a volte è quasi invadente».

Invadente non si sa, evasivo di sicuro quando gli si chiede di spiegare bene in cosa consista questo suo «lavorare molto sull'umano». Daccò è chiaro soltanto quando ci tiene a ribadire che «io in vita mia non ho mai dato denaro a nessuno, se non purtroppo a una persona che non c'è più», riferimento forse a Mario Cal, il suicida vice di don Verzé al quale Pierangelo Daccò afferma di aver prestato soldi per l'istituto.

I REFERENTI LOMBARDI E SICILIANI
Per il resto aggiunge solo che «i miei riferimenti sono sempre stati il direttore generale» (che oggi è Lucchina), «l'assessore» (che oggi è il leghista Bresciani), «un tecnico di riferimento che negli ultimi anni è il dottor Merlino, braccio destro di Lucchina». Ma averli come contatti significa tutto e niente, e lo stesso vale per i «referenti politici importanti a Roma» («il senatore pdl Comincioli, purtroppo andato in cielo anche lui») e per gli «amici» che Daccò cita in rapporto agli affari di interesse della Maugeri in Sicilia («Miccichè, Cuffaro, Pippo Fallica, Cammarata, Cittadini»).

I PRIMI INCARICHI CON LA FONDAZIONE
Gli inquirenti scelgono di fare poche domande e non stringenti, eppure qua e là spuntano minimi squarci interessanti sulle dinamiche evocate da Daccò. A cominciare dalla prima volta con la Fondazione Maugeri: «Mi ricordo che era un contenzioso che loro nel 1997-1998 avevano con la Regione Lombardia per delle prestazioni che non venivano pagate. Ammontava a 23 miliardi di lire. Io riuscii a sbloccare questa situazione andando a parlare con il direttore generale di allora, che se non ricordo male era Beretta o Botti, credo più Beretta. Dopodiché, abbiamo sviluppato (con la Maugeri, ndr) tutta una serie di collaborazioni in Regione Lombardia per verificare le funzioni», cioè «l'istituto che la Regione ha per riconoscere i costi che non sono previsti nelle tariffe».

Colpisce però che il lavoro «sull'umano», che Daccò dice di aver fatto tanti anni fa anche per l'ospedale Fatebenefratelli e una volta per Antonino Ligresti («80 milioni di lire»), dipenda molto dalla disponibilità dell'interlocutore regionale: «Ci sono degli assessori con cui si può dialogare e altri un po' meno. Faccio l'esempio: quando c'era l'assessore della Lega, Cè (dimessosi nel 2007 in polemica con Formigoni, ndr), io non l'ho mai visto. Non mi ha mai ricevuto».

A Daccò una mezza buona notizia arriva dalla Cassazione che il 10 febbraio aveva annullato, con rinvio al giudice di Milano, il primo dei suoi tre arresti: ieri nelle motivazioni la Suprema Corte chiede al gip di spiegare meglio la consapevolezza di Daccò (non amministratore del San Raffaele) dello stato di grave crisi dell'istituto, da cui aveva ricevuto i 7 milioni di euro per i quali proprio ieri è iniziata l'udienza preliminare per concorso in bancarotta. Per il suo legale, l'avvocato Giampiero Biancolella, che difende Daccò con l'avvocato Jacopo Antonelli, la sentenza «mina alla base l'impianto accusatorio».


2 - SAN RAFFAELE, MOLTI "REI CONFESSI"
Paolo Colonnello per "la Stampa"

Per la Procura, gli imputati del primo troncone dell'inchiesta sul del San Raffaele sono tutti "rei confessi" e per questo ieri mattina, in apertura dell'udienza preliminare, il pm Luigi Orsi, davanti al Gup Maria Cristina Mannocci, ha ribadito la richiesta di rinviare a giudizio le sette persone indagate per il dissesto dell'ospedale di Milano Due: l'ex direttore amministrativo del gruppo ospedaliero Mario Valsecchi, l'uomo d'affari Pierangelo Daccò, gli imprenditori Pierino e Giovanni Luca Zammarchi e il loro socio Andrea Bezzicheri, l'imprenditore vicentino Fernando Lora e il suo contabile Carlo Freschi.

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata a frodi fiscali, appropriazione indebita e distrazione di beni. Inoltre, Daccò e gli imprenditori Zammarchi e Lora devono rispondere anche dell'ipotesi di reato di concorso in bancarotta. Il processo per alcuni imputati potrebbe tuttavia concludersi molto velocemente. Ieri per esempio si è saputo che l'ex direttore amministrativo Mario Valsecchi punta a uscire dal procedimento sul dissesto finanziario del gruppo ospedaliero, attraverso un patteggiamento mentre altri indagati, secondo quanto riferito da fonti legali, stanno valutando la possibilità di procedere con il rito abbreviato.

Nel frattempo il gup di Milano, Maria Cristina Mannocci, ha ammesso come parti civili la Fondazione Monte Tabor in concordato preventivo e i commissari, mentre ha respinto la richiesta di costituzione da parte di Medicina democratica e dell'Usb. La Regione invece ha deciso di non costituirsi parte civile, nonostante le proteste dell'opposizione. Infine, dovrà essere rimotivato il primo ordine di cattura emesso a novembre nei confronti di Pierangelo Daccò, già destinatario di altri due mandati d'arresto.

Così ha deciso la Cassazione in una sentenza di febbraio alla quale si erano rivolti i legali del «mediatore». I giudici sostengono che il gip dovrà spiegare meglio la conoscenza da parte di Daccò dello stato di «decozione del San Raffaele», ovvero se ne era consapevole mentre si occupava di trasferire all'estero e poi di nuovo nella disponibilità di Don Verzè le tangenti versate dagli imprenditori. Ma per quanto riguarda le esigenze di custodia cautelare, nulla cambia: secondo la Suprema Corte, che ha negato gli arresti domiciliari, infatti il gip Tutinelli nella sua ordinanza ha motivato «in maniera logica e corrispondente ai parametri fissati per legge».

 

 

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