UNA CHIESA SEMPLICE: AGLIO, BERGOGLIO E VATILEAKS

G. G. Vecchi per il "Corriere della Sera"

Negli Esercizi spirituali sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, raccomanda che «nel tempo della desolazione» non si debbano decidere cambiamenti, «come nella consolazione ci guida e ci consiglia soprattutto lo spirito buono, così nella desolazione lo fa lo spirito cattivo, e con i suoi consigli noi non possiamo prendere la strada giusta».

Padre Federico Lombardi diceva ieri che papa Francesco ha già «certamente a disposizione» il rapporto sullo scandalo Vatileaks ma «credo che non abbia avuto fretta di leggerlo, con gli impegni di questi giorni». Il tomo redatto dalla commissione cardinalizia sul furto dei documenti al Papa e le «disfunzioni» nella Curia romana è chiuso nella cassaforte dell'appartamento, Benedetto XVI aveva disposto che fosse trasmesso «unicamente» al suo successore.

Quando Francesco lo leggerà arriverà forse il «tempo della desolazione», almeno per un po', e il Papa mediterà con calma il da farsi. Del resto, nel periodo delle riunioni prima del Conclave, l'essenziale lo avevano già spiegato con discrezione i tre cardinali incaricati da Benedetto XVI dell'indagine.

Come si usa, il nuovo Pontefice ha riconfermato provvisoriamente tutti i capi dicastero donec aliter provideatur, «finché non si provveda altrimenti», e la Santa Sede ha spiegato che «desidera riservarsi un certo tempo per la riflessione, la preghiera e il dialogo, prima di qualunque nomina o conferma definitiva».

Nel frattempo ha ricevuto ieri in udienza il segretario di Stato Tarcisio Bertone, la macchina curiale deve andare avanti. Nei prossimi mesi, comunque dopo Pasqua, ci saranno i primi cambiamenti, di certo si annuncia una rigorosa «dieta» per la pletora di Congregazioni (nove, con altrettanti prefetti) e pontifici Consigli (dodici, con altrettanti presidenti) che appesantiscono il governo centrale della Chiesa.

Eppure la riforma di Francesco è già iniziata. Collegialità con i vescovi, segnali di dialogo al mondo ortodosso e alle altre religioni, rispetto del mondo «pluralista» contemporaneo. I segnali dei primi giorni di pontificato non saranno privi di conseguenze concrete e immediate. Oggi Francesco ha preparato un testo scritto ma «può darsi che aggiunga altre osservazioni mentre parla», spiegava ieri padre Lombardi alla stampa internazionale. Il Papa ama improvvisare, nessuno può sapere con precisione che cosa dirà nel giorno dell'inaugurazione solenne del ponteficato.

Ma l'attesa è che dispieghi e sviluppi quell'immagine di «Chiesa aperta» che ha voluto mostrare fin dalla sera dell'elezione: quando si è definito anzitutto «vescovo di Roma» e, con le parole di un padre della Chiesa come Ignazio di Antiochia, ha parlato della «Chiesa di Roma che presiede nella carità tutte le Chiese». Sono parole che annunciano un modo differente (o una «comprensione rinnovata», diceva il cardinale Walter Kasper: si ripensa il significato originario del papato) di esercitare il «ministero petrino», che non significa affatto mettere in discussione il «primato» del vescovo di Roma ma interpretarlo in modo più morbido, «collegiale» appunto.

Francesco guarda a una Chiesa nella quale il rapporto tra il successore di Pietro e i successori degli altri apostoli - tra il vescovo di Roma e gli altri vescovi del mondo - sia privilegiato e più stretto. E quindi a una Curia che si metta «al servizio» di questo rapporto e non lo ostacoli: il governo centrale dev'essere efficiente, sì, ma leggero.

L'idea del primato nella «carità», d'altra parte, è musica per le orecchie del mondo ortodosso: mai la delegazione della Chiesa d'Oriente, a cominciare dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, era stata così numerosa e autorevole. In gioco c'è la ricomposizione di due Chiese apostoliche dopo lo scisma del 1054.

Anche la scelta di cantare il Vangelo soltanto in greco, durante la messa di oggi, è un segnale di attenzione agli ortodossi oltre che di recupero delle origini. La Chiesa aperta di Francesco guarda a quella dei primi secoli. Il recupero dello spirito di semplicità evangelico, oltre che nel nome del santo di Assisi, è nella scelta dell'Anello del Pescatore in argento anziché d'oro massiccio come pure della croce di ferro che Bergoglio usava già da arcivescovo.

Anche la «Chiesa povera e per i poveri» e il primato della «misericordia» sono temi destinati a tornare nelle riflessioni che il Pontefice farà oggi. Sono temi che hanno conquistato al Papa l'affetto immediato dei fedeli e l'attenzione del mondo non credente, come la «benedizione silenziosa» nell'udienza a seimila giornalisti per rispetto di chi ha altre fedi o non ne ha.

Bergoglio, del resto, ha spiegato come il «pericolo più grande per la Chiesa sia quella «mondanità spirituale» Agià denunciata dal grande teologo gesuita Henri de Lubac: «È più disastrosa della lebbra, significa mettere al centro sé stessi». In fondo si tratta di tornare all'essenziale: Curet primo Deum, anzitutto curati di Dio, diceva Sant'Ignazio nella formula della Societas Iesus. Al centro dello stemma del primo Papa gesuita, com'era in quello da cardinale, campeggiano ora il sole raggiante e il cristogramma IHS (per il greco Iesous) della Compagnia di Gesù.

 

 

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