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IL VOLO DEL COLOMBAN - INTERVISTA AL NUOVO ASSESSORE ALLE PARTECIPATE DI ROMA. REGALÒ AI MANAGER LA SUA AZIENDA, CHE ALLORA FATTURAVA 2.000 MILIARDI DI VECCHIE LIRE E CONTAVA 4.500 DIPENDENTI. VIVE IN UN CASTELLO CHE HA 260 STANZE E 400 FINESTRE: “PER ME I SOLDI SONO SEMPRE STATI UN PROBLEMA: NON SO DOVE TENERLI”

Stefano Lorenzetto per “La Verità

 

COLOMBANCOLOMBAN

Lo conosco da anni. Lo considero un amico. Nel castello dove vive buona parte delle sue giornate, siede a uno scrittoio con un' incavatura bruciacchiata dalla cera della candela che ci teneva sopra Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, capitano di ventura nominato dalla Serenissima comandante dell' esercito veneto. È un innovatore di straordinaria intelligenza e di specchiata integrità. Infatti l' avrei voluto arruolare fra i soci della Verità. Aveva già cominciato a darmi degli ottimi suggerimenti.

 

Credo che Beppe Grillo gli abbia chiesto spesso consigli, soprattutto in materia economica. So per certo che Davide Casaleggio (e forse anche suo padre, il defunto Gianroberto) è salito fino a Cison di Valmarino per abbeverarsi alla sua sapienza. Idem Luigi Di Maio, premier in pectore del Movimento 5 stelle.

 

referendum per l indipendenza veneta massimo colombanreferendum per l indipendenza veneta massimo colomban

Perché Massimo Colomban, nuovo assessore alle Partecipate del Comune di Roma, da oggi alle prese con 1 miliardo di buco e con le grane più scottanti della capitale (dalla gestione delle discariche al trasporto pubblico), sa elargire perle di saggezza a chiunque, con una lungimiranza imprenditoriale che coniuga concretezza, efficienza e rigore.

La sua filosofia me la riassunse nel 2002, quando lo incontrai per la prima volta: «La vita si divide in tre periodi. Fino ai 25 anni s' impara. Fino ai 50 si fa. Fino ai 75 s' insegna, nel senso che bisogna passare a qualcun altro la propria esperienza».

 

È questo che il trevigiano Colomban, 67 anni, originario di Santa Lucia di Piave, farà con Virginia Raggi e con la giunta capitolina: regalerà la propria esperienza.

permasteelisa group londra shardpermasteelisa group londra shard

Colomban è un uomo che sa stupire, capace di decisioni sorprendenti. La più audace fu quella che prese a 53 anni, quando stabilì che era venuto il momento di smettere di fare e di cominciare a insegnare. Perciò regalò ai suoi manager la Permasteelisa, che allora fatturava 2.000 miliardi di vecchie lire, contava 4.500 dipendenti, era quotata alle Borse di Milano e Singapore, aveva sedi in una ventina di Paesi. E si ritirò a vivere a Castelbrando, dalle parti di Vittorio Veneto.

 

Lo chiamavano «il sarto dei grattacieli», perché la sua specialità era cucirgli addosso audaci vestiti di vetro e metallo. In gergo tecnico si chiamano facciate continue. Sono suoi il Taipei 101, detto Torre di Taiwan (508 metri), all' epoca la più alta che fosse mai stata costruita dopo quella di Babele; le vele a conchiglia della Sydney opera house in Australia; il Guggenheim museum di Bilbao rivestito di titanio; i 400 metri del principale grattacielo di Hong Kong; i 270 metri delle due torri dell' United overseas bank di Singapore; le facciate del Parlamento europeo di Bruxelles; l' incredibile Rasin building di Praga, così flessuoso da assomigliare a una coppia di ballerini, e difatti l' hanno soprannominato «Ginger e " Fred»; la Disney concert hall di Los Angeles; gli aeroporti di Heatrow a Londra e di Fiumicino a Roma.

permasteelisa group barcellona olimpiadipermasteelisa group barcellona olimpiadi

 

Colomban ha dato corpo agli schizzi di maestri dell' architettura come Frank Owen Gehry e Tadao Ando, che ancora adesso telefonano alla Permasteelisa, chiedendo: «Where is Massimo?», e si stupiscono di non trovarlo. Il suo castello ha un motto impegnativo: «Sconfiggeremo anche gli impavidi». I numeri sono da paura: 20.000 metri quadrati coperti; 50 ettari di bosco; 260 stanze; 400 finestre; 300 porte; una chiesa; un dedalo di scale, terrazze, poggioli, merli, torri di guardia. È la fortezza italiana più grande fra quelle che sono sempre state abitate.

 

Prima di Colomban vi avevano dimorato o soggiornato Teodolinda, Carlo Magno, Ottone I, il doge Marin Faliero, e poi Dante, Petrarca, Boccaccio, forse Giotto, ma anche il Sansovino, al quale viene attribuita l' ala cinquecentesca. E, ancora, Donatello e Canova, nonché Antonio Vivaldi e Giacomo Casanova, sacro e profano, per non parlare dei capitani di ventura, da Siccardo di Porcia e Guecellone da Montanara fino al Gattamelata.

massimo colomban gianroberto casaleggiomassimo colomban gianroberto casaleggio

Per restaurarlo ha sborsato 60 miliardi di lire.

 

«Una pazzia, lo so. Potevo comprarci un quadro di Gauguin, che poi magari rischiava di finire bruciato in un incendio. Ho preferito un investimento che rimanesse nel tempo. Per me i soldi sono sempre stati un problema: non so dove tenerli. Prima li mettevo tutti in azienda. Ma adesso? In banca no, in Borsa nemmeno. Perciò li ho spesi e mi sono tolto il pensiero. Non avendo ville in Costa Azzurra, e neppure maggiordomi, autisti, marinai o elicotteristi da mantenere, mi basta poco per vivere».

 

È così antico questo castello?

MASSIMO   COLOMBANMASSIMO COLOMBAN

«Il primo nucleo risale all' epoca tardoromana barbarica. Durante gli scavi abbiamo trovato le terme romane; tre passaggi segreti; spade, lance e armature di varie epoche; un forno per cuocere il pane e uno per affumicare le carni; una fonderia dove si forgiavano vetri e metalli; tre prigioni; una stanza dei supplizi con il caminetto per riscaldare i ferri di tortura e varie scritte lasciate sui muri dai prigionieri».

 

Che te ne fai di tutta questa roba?

«Ne ho fatto il castello e il museo dei veneti. Che, nonostante tutte le balle in circolazione sui loro furori separatisti, sono il popolo più pacifico che sia mai esistito: in 4.000 anni non hanno mai mosso guerra a nessuno».

 

Ma tu abiti qui?

«Mi sono riservato un appartamento. Il sabato e la domenica trovo sempre qualcuno sulla porta che mi chiede di accompagnarlo a visitare il castello. Mi tocca fare la guida dalle 8 di mattina alle 8 di sera. Perciò con mia moglie abbiamo deciso di tenerci la casa di Conegliano. Anche perché alle nostre quattro figlie non è che importi molto di Castelbrando, purtroppo».

MASSIMO  COLOMBANMASSIMO COLOMBAN

 

Perché hai regalato la Permasteelisa ai dipendenti?

«Nonostante mio padre sia campato fino a 89 anni e mia madre fino a 88, io ero già entrato nel terzo periodo della vita: quello in cui s' insegna».

 

Potevi vendere l' azienda, come fanno tutti.

«Non ho mai fatto quello che fanno tutti. Per esempio non ho mai creduto che le aziende familiari si debbano tramandare di padre in figlio. Fra l' altro è un metodo pericoloso, perché la terza generazione di solito le distrugge. Ho sempre pensato che su questa terra non siamo proprietari di niente. In Permasteelisa ho cercato di far crescere il cromosoma dell' imprenditore che c' era in ognuno dei miei manager. Pretendevo da loro l' eccellenza e in cambio gli regalavo parte delle mie azioni, come premio oltre lo stipendio. Sono arciconvinto che sia meglio possedere l' 1 per cento di una società che vale tantissimo piuttosto del 100 per cento di una che non vale niente».

castel brando castelbrando di massimo colombancastel brando castelbrando di massimo colomban

 

Il tuo primo mestiere qual è stato?

«Fabbro. Aiutavo mio padre dopo le lezioni scolastiche. Non bisogna dimenticare che durante la prima guerra mondiale qui in sinistra Piave, con gli austroungarici, su 100 cristiani 20 venivano uccisi dalle pallottole e 80 morivano di fame. Per cui papà aveva imparato a ingegnarsi fin da allora arrotondando con vari me stieri: agricoltore, falegname, norcino. Se chiudo gli occhi, sento ancora l' odore del tabarro sotto cui mi riparava nelle giornate di pioggia, quando veniva a prendermi a scuola. Mi copriva tutto e io camminavo sicuro, lì sotto al buio, attaccato alle sue braghe. Era il mio salvatore. Una sola volta l' ho visto arrabbiato: gli avevo mancato di parola. Mi disse: "Ricòrdati che tra le bestie e le persone c' è un' unica differenza: la parola"».

 

MASSIMO COLOMBANMASSIMO COLOMBAN

Una bella lezione.

«La scuola distava da casa mia 3 chilometri. D' inverno affondavo fino alle ginocchia nella neve alta, o forse ero io troppo piccolo. Mia mamma scaldava una manciata di sassi nel focolare, poi li avvolgeva nella carta da zucchero e me li infilava in tasca, perché non mi si congelassero le mani. Però a metà strada erano già freddi».

 

E dopo le elementari?

«Meccanico in un' officina per auto. Studiavo di sera. A 15 anni e mezzo volevo già mettermi in proprio. Poi un' azienda di infissi mi ha assunto come disegnatore tecnico. Nel 1974 sono partito con la Isa, Industria sistemi alluminio. Sei dipendenti.

Nei primi anni il fatturato cresceva del 100 per cento. Nel 1984 i proprietari svizzeri della Permasteel, una società australiana del settore che navigava in cattive acque, mi hanno chiesto di risanarla. Alla fine l’ho acquistata e fusa con la Isa, dando vita alla Permasteelisa » .

Massimo-ColombanMassimo-Colomban

 

Che differenza c’è tra mettersi in proprio e lavorare «sotto padrone»?

«La creatività. In proprio si crea. Se il datore di lavoro blocca la creatività del dipendente, nasce la disaffezione ».

 

Ma che c’è da creare in Coca- Cola? Basta farla come la si è sempre fatta dal 1886.

«Io la Coca-Cola mi stuferei a farla » .

 

Come andavi alla scuola serale?

«Mi sono diplomato geometra da privatista con 48 su 60».

 

Le lingue straniere dove sei riuscito a impararle?

« L’inglese alla Oxford school. Il francese e lo spagnolo con le audiocassette. Al tedesco ho rinunciato per pigrizia».

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Senti la mancanza di una laurea?

«Ho frequentato per due anni architettura a Venezia e poi ho smesso. Sono stato cooptato nel board della Harvard University e nel consiglio d’amministrazione di Ca’ Foscari. Ho insegnato per un anno al Politecnico di Milano. Credo d’essere l’unico geometra invitato a tenere lezioni al Mit, il Massachusetts institute of technology di Boston. In quest’ultima città una volta m’è toccato parlare sul tema Si può essere multinazionali senza essere grandi e seduto in prima fila ad ascoltarmi c’era Bill Gates».

 

Non mi hai risposto. Ti manca o no la laurea?

«Non eccessivamente. Credo che a laureare gli uomini siano i fatti. Del resto vi sono università dove illustri docenti prendono lo stipendio senza tenere una lezione che sia una. Potrei farti nomi e cognomi. Per carità di patria, mi astengo » .

GATTAMELATAGATTAMELATA

 

Che cos’hai imparato girando il mondo?

«Che l’umiltà s’accompagna all’intelligenza e l’arroganza all’ignoranza. E che siamo di passaggio» .

 

Per andare dove?

«Mah!».

 

Non hai speranze?

«Vivere in equilibrio, onestamente, ripaga già su questa terra » .

 

Che cosa rappresenta per te il lavoro?

«La salute. Quando faccio un buon lavoro, mi sento bene. Sprigiono positività, creo armonia ».

 

E il denaro?

«Uno strumento da usare con parsimonia per far vivere meglio se stessi e gli altri. Frequentando i Paesi anglosassoni, ho imparato dai calvinisti che chi ha avuto da Dio più qualità e più risorse ha il dovere di farle fruttare».

 

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Manager che guadagnavano più di te ne hai avuti?

«Sicuramente. Anzi, direi che era la norma. Ho sempre cercato di dare il buon esempio mantenendo basso il mio stipendio» .

 

Quanto?

«Sono andato via che guadagnavo 200 milioni netti l’anno. Di lire, non di euro, eh. Con la tredicesima, circa 15 milioni al mese».

 

Quali devono essere le doti di un capo?

«La passione per quello che fa. Il rispetto per i collaboratori. Il senso etico, imprescindibile negli affari, perché le aziende corrotte prima o poi finiscono gambe all’aria. La perfezione come obiettivo».

 

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Con i sindacati come ti regolavi?

«Non parlarmi dei sindacati. Ho fatto in tempo a vedere torme scatenate ai loro comandi accanirsi contro i vetri delle fabbriche. Nel 1976 hanno cercato di seminare la discordia anche nella mia azienda. Allora ho riunito le maestranze e ho detto: il giorno che per parlare avremo bisogno voi dei rappresentanti sindacali e io del delegato della Confindustria, per questa impresa sarà la fine.

 

Da quel momento non ho più avuto noie con Cgil, Cisl e Uil. Sono talmente vecchi i modelli sindacali... Come destra e sinistra, comunismo e fascismo, proprietario e padrone. Gusci vuoti. La ricchezza va redistribuita, su questo non ci piove. Ma lo sfruttamento dell’inetto sul laborioso è terribile. Aprire l’ombrello del welfare sulla testa di fannulloni e incompetenti è un delitto» .

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Che fare allora con fannulloni e incompetenti?

«Quando ne vedevo uno sbadigliare, lo chiamavo da parte e gli dicevo: raccontami che cosa posso fare per te, e io lo farò subito. Perché se in azienda non ti diverti, presto o tardi sarà una tragedia sia per te che per noi. Però prima di mettere in produzione qualcosa che avevo progettato, scendevo in officina, m’infilavo il camice e ne controllavo personalmente la fattibilità » .

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Ma chi te l’ha fatto fare di prenderti questa rogna dell’assessorato a Roma?

«Mi sembra che sia stato don Lorenzo Milani a dire che è inutile avere le mani pulite se si tengono in tasca. In Virginia Raggi e in una parte dei suoi ho visto gente onesta e professionale. Perché non aiutarli? Raccogliere la sfida, risanare e ripulire la nostra capitale, potrebbe essere d’esempio al resto d’Italia. Non dovrei provarci?».

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