1 - LAVORO, RENZI ALL’ATTACCO DELLA VECCHIA GUARDIA PD “CON LORO SI TORNA AL 25%”
Da “la Repubblica”
Un carro armato. Non solo contro la Cgil, anche contro la sinistra dem, contro Bersani, Epifani, Fassina, Bindi, D’Alema che sul lavoro hanno annunciato battaglia. Renzi schiaffeggia la “vecchia guardia” e lo schiaffo è ancora più sonoro perché arriva con una newsletter ai militanti del Pd. Sono i “vecchi”, quelli già “rottamati” o in via di rottamazione, superati dalla nuova classe dirigente democratica ma soprattutto dalla necessità di modernizzare il paese, il suo bersaglio.
VIGNETTA VINCINO DAL FOGLIO RENZI BERSANI ABUSI SUI MINORI
«Ci hanno detto che siamo di destra. Ci hanno paragonato alla Thatcher. Noi siamo qui per cambiare l’Italia e non accetteremo mai di fare le foglie di fico alla vecchia guardia che a volte ritorna. O almeno ci prova».
Parole che sono ancora più dure perché ricordano il fallimento del Pd che fu, sempre a galleggiare in un risicato 25% nelle urne: «Davanti a un problema c’è chi trova soluzioni provando a cambiare e chi organizza convegni lasciando le cose come sono. Anche nel nostro partito c’è chi vuole cogliere la palla al balzo per tornare agli scontri ideologici e magari riportare il Pd del 25%. Noi no». Quella del lavoro è la battaglia in cui il governo e il Pd renziano si giocano il tutto per tutto.
Nessuna intenzione di arretrare. Molto fastidio nei confronti dell’ala de-renzizzata dem che ha organizzato una riunione martedì. E Renzi torna alla carica. Denuncia la «difesa delle diseguaglianze in chi difende il sistema vigente» mentre ci sono «i diritti di chi non ha diritti» da tutelare.
Dà appuntamento alla direzione del partito del 29 settembre, dove presenterà il Jobs Act: «Dobbiamo attirare nuovi investimenti - scrive - perché senza nuovi investimenti non ci saranno posti di lavoro e aumenteranno i disoccupati. Ma dobbiamo anche cambiare un sistema ingiusto che divide i cittadini in persone di serie A e di serie B e umilia i precari». La tensione dentro il Pd non era forse mai stata così alta.
HAPPY PD DALEMA RENZI BERSANI FRANCESCHINI FINOCCHIARO
Fassina invita Renzi a non inventarsi nemici «per coprire le difficoltà che incontra il governo a mantenere, nel quadro della legge di stabilità in arrivo, la valanga di promesse fatte».
La sinistra dem attacca compatta: Matteo sei tu ad andare a destra.
Nel programma dei mille giorni, il Jobs Act è il tassello cruciale. In Senato già la prossima settimana si comincia a votare. Se si piombasse nello stallo non è esclusa per il premier l’arma del decreto. E nel carniere renziano c’è dell’altro. Ai militanti dem il premier-segretario ricorda le innovazioni in arrivo, ad esempio sul fisco: «Il fisco deve essere meno caro, certo. Ma anche più semplice. Per questo, partendo già dal prossimo anno, introdurremo innanzitutto la dichiarazione dei redditi precompilata».
2 - MA LA FRONDA CRESCE: “110 PRONTI A VOTARE NO” E TORNA LO SPETTRO SCISSIONE
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
La minoranza del Pd ha letto la mail di Renzi come una dichiarazione di guerra. «Dica quello che crede. Su questo piano io non mi ci metto», sibila Pier Luigi Bersani in una versione insolita: è furioso. Il modo - un messaggio agli iscritti del Pd per additare i compagni di partito come nemici del partito e del Paese, le parole durissime contro «la vecchia guardia» che ha preso il 25 per cento e ora vorrebbe riconquistare il Pd sono il «piano» che ha offeso non solo Bersani ma tutto il blocco di opposizione al Jobs Act. È già cominciata la conta, antipasto della battaglia.
Fra deputati e senatori la componente bersaniana unita alle altre anti-Renzi, può contare all’incirca su 110 dissidenti. Martedì si riuniranno, dopo il vertice che vedrà allo stesso tavolo Fassina, Cuperlo, Bindi, Civati. L’ex sfidante delle primarie pronuncia chiaramente la parola che altri non vogliono nemmeno sentire, ma che in caso di scontro nessuno può escludere. «Se Renzi pensa di andare alle urne sulla riforma del lavoro credo che troverà una nuova forza di sinistra in campo — dice Pippo CIvati —. È uno choc, lo capisco. Ma il fantasma della scissione aleggia e non solo dalle mie parti».
Stefano Fassina aiuta a capire qual è la strada che sta imboccando il Pd. Ed è una strada che a un certo punto si divide in due. «La posta in gioco è un partito progressista utile all’Italia o un PdR, ossia il partito di Renzi, incapace di un cambiamento progressivo», spiega l’ex viceministro. Lui ha già scelto, sa bene come comportarsi se il premier non tornerà indietro.
«Ho vinto le parlamentarie grazie a migliaia di consensi. Il mio mandato di deputato è chiaro: votare riforme diverse da quelle della destra come invece vorrebbe Renzi. La direzione può decidere ciò che vuole. Per me è prioritario l’impegno che ho preso con gli elettori».
Ecco, come in una fotografia, i contorni della spaccatura. Il bersaniano Alfredo D’Attorre fa i conti: alla riunione convocata martedì dovrebbero essere presenti 110 parlamentari. Tutti potenziali voti contrari alla riforma dell’articolo 18, se l’atteggiamento di Fassina sarà maggioritario. «Non voglio sentire richiami alla disciplina di partito da Renzi. Non può dare lezioni. Ricordo bene che fu lui a sabotare l’indicazione a maggioranza di Marini per il Quirinale. Con una pubblica dichiarazione», ricorda l’ex viceministro.
L’ipotesi scissione diventa tanto più concreta quanto più aumentano i sospetti sul vero obiettivo del premier. «Penso che la sua sia una manovra politica. Andare alle elezioni accusando il Parlamento di impedirgli la rivoluzione del Paese», dice Fassina. Ma proprio per questo la minoranza cerca di evitare strumentalizzazioni.
«Renzi sta trasformando un problema serio in un referendum. O me o Bersani e la Camusso. Ma non è questo il punto», dice D’Attorre. Dice Civati: «Matteo ha grossi problemi con la legge di stabilità. Non sa dove trovare i soldi e in Europa non ha ottenuto niente. Allora prende tutti a pallonate e nasconde il suo fallimento».
maria elena boschi e matteo orfini
Adesso la minoranza vuole organizzarsi, con alcuni argomenti a favore e a sfavore. Sa che la Cgil è impopolare in larghi strati della società. Sa anche che il tema «vecchia guardia » può avere una certa presa. Ma userà la legge delega per sostenere le sue tesi. «Lì l’articolo 18 non c’è e quel testo l’ha scritto il governo, non io», ricorda Fassina. «Renzi era a favore del modello tedesco, ora ha cambiato idea.
Noi presenteremo al Senato e alla Camera emendamenti che vanno verso quel modello e verso l’estensione degli ammortizzatori ai precari». Il vertice di martedì serve anche a saldare la sfida sul Jobs Act alle proposte sulla Finanziaria, «il punto debole della strategia renziana», dicono gli oppositori. La successiva riunione dei parlamentari dovrà fornire la consistenza della «fronda». Senza rinunciare alla battaglia nella direzione del 29 settembre. «Finora in quella sede non ci siamo mai contati davvero.
Stefano Fassina e Matteo Orfini
Lo faremo questa stavolta. E se i contrari alla riforma del lavoro saranno il 40 per cento, Renzi dovrà scendere a patti», dice un bersaniano. Volutamente i giovani turchi di Matteo Orfini non stati invitati a questi appuntamenti. «Gliel’avevo detto - sottolinea Civati -- . Il renzismo è totalizzante. È impossibile fare la sinistra di Renzi. Anche perché uno dei suoi obiettivi è ammazzare i “comunisti”».
Sullo scontro peserà molto la possibile alternativa al governo attuale, che al momento non si vede. Se l’obiettivo nascosto è il voto in primavera la minoranza sarà costretta a muoversi con maggiore cautela. Renzi del resto in privato ammette: «Voglio arrivare al 2018. Ma l’approvazione dell’Italicum mi può servire come strumento di pressione...». Perché non è solo Civati a pensare che il premier punti alla soluzione finale: cancellare la componente ex Ds dal Pd.