LA BATTAGLIA DEI SESSI: PRIMA NEL TENNIS, ORA NEL SOCCER - LE RAGAZZE DELLA NAZIONALE DI CALCIO AMERICANA PORTANO LA FEDERAZIONE IN TRIBUNALE: “NOI CHE ABBIAMO VINTO 3 MONDIALI E 4 ORI OLIMPICI VENIAMO PAGATE MENO DI QUANTO PRENDANO I COLLEGHI MASCHI PER FARE PRESENZA” - - -

Le campionesse del mondo denunciano la disparità economica alla Commissione federale per le Pari Opportunità e chiedono di partecipare agli introiti che derivano dalla vendita dei diritti televisivi e dei biglietti per gli stadi...

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Gaia Piccardi per “corriere.it”

 

La volée in rete di Bobby Riggs il 20 settembre 1973: 6-4, 6-3, 6-3 per Billie Jean King nella battaglia dei sessi. Danica Patrick sul traguardo giapponese della Formula Indy: una donna che sgasa in faccia ai maschi. Il pettorale n.261 alla maratona di Boston ‘67: prima di Kathrine Switzer, mai nessuna.

 

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Jen Welter coach nel football americano, Becky Hammon nell’Nba, Amelie Mauresmo nel tennis, Corinne Diacre nella Lega 2 francese di calcio. C’è sempre un momento, nello sport al femminile, in cui Eva — la prima donna — riscrive una pagina di storia.

 

Un caso-pilota

Tocca alle ragazze della nazionale di calcio Usa (il portiere-icona Hope Solo, l’attaccante Alex Morgan, la centrocampista Megan Rapinoe, Becky Sauerbrunn e il capitano Carli Lloyd, tripletta al Giappone nella finale del Mondiale 2015): trascinano la Federcalcio statunitense davanti alla Commissione federale per le Pari Opportunità per discriminazione. Per le ragazze la decisione potrebbe significare ciò che la sentenza Bosman ha rappresentato per il libero mercato.

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Come il tennis

Il tema è lo stesso per cui a Indian Wells si sono appena azzuffati Novak Djokovic e Serena Williams: conquibus. «I fatti parlano da soli — spiega Hope Solo —. Noi che abbiamo vinto tre Mondiali e quattro ori olimpici veniamo pagate meno di quanto prendano i colleghi maschi per fare presenza».

 

Una diseguaglianza economica, innanzitutto: da 5 mila dollari per la sconfitta in amichevole a 17.625 per vincere un match gli uomini; 1350 dollari per una vittoria e nemmeno un cent in caso di kappaò le donne. Ma non finisce qui. «Il trattamento è sbilanciato a tutti i livelli: strutture, alberghi per le trasferte, voli aerei. L’impegno da professioniste, però, è lo stesso».

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Chiedono di partecipare agli introiti che derivano dalla vendita dei diritti televisivi e dei biglietti per gli stadi. Il calcio femminile, negli Usa, è una realtà affermata, che tallona da vicino la Major League Soccer maschile, cui lo sbarco di David Beckham (nel 2007 ai Los Angeles Galaxy) diede l’impulso decisivo e il trasloco di Andrea Pirlo a New York l’anno scorso la consacrazione definitiva.

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Italia molto lontana

 

Una battaglia sacrosanta, secondo Milena Bertolini, allenatrice dell’Acf Brescia, l’ultima squadra italiana — in assoluto, donne e uomini compresi — a uscire dall’Europa (quarti di Champions): «Vorrei che il coraggio che hanno negli Usa, dove il soccer è il primo sport femminile, ci fosse anche in Italia, dove invece vedo molto fumo e poco arrosto. Qui siamo davvero trattate come l’ultima ruota del carro, ci concedono le briciole.

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300 mila euro per i tedeschi

 

Ieri la Germania di Loew ha deciso i premi per l’Europeo in Francia (300 mila euro, a testa, in caso di trionfo) e presto, durante il ritiro di maggio, Buffon si siederà al tavolo con il presidente della Federcalcio Tavecchio per confermare i patti del Mondiale brasiliano (250 mila per il successo, 200 mila per la finale, 150 mila per il terzo posto: cadauno). Le ragazze hanno appena cominciato a giocare questa partita ma, se passa il concetto, il campo si mette in discesa.

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