Gaia Piccardi per il Corriere della Sera
«Il paragone con gli uomini non mi interessa. Al corso allenatori di Coverciano sono stata accolta bene da un ambiente pronto a ricredersi sulle donne nel calcio. Il pregiudizio culturale fa parte del bagaglio degli italiani: la mia più grande soddisfazione è far cambiare idea ai maschi».
A 33 anni Elisabet Spina, ex Reggiana e Fiorentina in serie A più Rapid Lugano in Svizzera, mantiene il passo leggero della centrocampista di razza.
Dalla madre ha preso il sorriso, dal padre l' ironia: «Lei, svedese in vacanza, si innamorò del bagnino italiano di Viareggio...».
Il cliché, in questi giorni, ha partorito una primizia assoluta: Elisabet è la prima allenatrice professionista abilitata con il massimo dei voti al corso Uefa A, che dà il patentino per guidare le giovanili e le prime squadre fino alla Lega Pro e consente di essere tesserati come tecnici in seconda nel campionati di A e B. Già laureata in Scienze motorie, dal corso è uscita con 110/110.
Meglio di Riccardo Scirea, figlio dell' indimenticato Gaetano, e Vincenzo Iaquinta, bomber Juve negli anni Duemila.
Una piccola impresa da rivoluzionaria gentile, in un ambiente fitto di stereotipi.
La corsa di Elisabet è fluida dall' inizio. «Ho avuto la fortuna di avere genitori che non mi hanno mai ostacolata - racconta -, e un fratello calciatore con cui condividere la passione».
Sui vecchi preconcetti è passata in dribbling: «Il calcio femminile fa venire le gambe grosse, fa diventare omosessuale, è la brutta copia di quello dei maschi... Nulla di tutto ciò mi ha riguardata. L' impegno e i sacrifici sono gli stessi dei calciatori maschi con la differenza che loro sono considerati professionisti e noi no. Brescia, Fiorentina e Verona sono realtà a parte: moltissime ragazze giocano e lavorano per riuscire a mantenersi».
Un vulnus nel buon senso, un' assurdità normativa. In attesa della legge, tanto vale provare a svecchiare questo piccolo mondo antico dall' interno: «Ho vinto una Coppa Italia, ho partecipato a un Europeo nell' Under 18 del c.t. Carolina Morace, poi mi sono rotta il crociato. Allenare non è una vocazione. È una sfida.
Per una donna che gioca a calcio il sogno è incidere: non ci sono riuscita da atleta, ci provo da tecnico».
È responsabile del Centro giovanile Milan di Capezzano (Lucca). È dal vivaio della Spina, 200 ragazzi tra i 7 e i 17 anni, che la società di Montella pesca talentini in Toscana: Alessio Bianchi, classe 2000, stella degli Allievi rossoneri, è cresciuto con Elisabet: «Non è scontato affidare un ruolo di responsabilità nel settore maschile a una donna. Se tutti siamo chiamati a dimostrare le competenze, a noi è richiesto sempre un po' di più…». Il risultato è che, oggi, coach Spina ha molta più esperienza di calcio maschile che femminile: «Nel futuro mi vedo all' interno di uno staff: è dal connubio tra uomini e donne che nasce la ricchezza.
Spero che prima o poi un grande tecnico si renda conto che lo sguardo di una donna sul calcio potrebbe portare a qualcosa di nuovo e vincente».
Sogna Pep Guardiola («Quello che sa dare un' identità alla squadra nel minor tempo»), stima Marcello Lippi («Carisma unico») e Maurizio Sarri («Un perfezionista della tattica»).
Mirko Mazzantini, tecnico del settore giovanile della Fiorentina, compagno di corso, le fa un assist: «È preparatissima, la vedrei bene ad allenare».
Purché sia una panchina unisex, né da maschi né da femmine, lontana dal clamore della pioniera Morace tecnico della Viterbese (C1 maschile, Gaucci mentore, lontano 1999) e dalle divisioni di genere. Una palla che rotola non ha sesso. E finché non finisce in rete, è di tutti.