1. DOTTO! DENTRO UN CAMPIONATO CHE SOPRAVVIVE TRA LA PARROCCHIA SCONSACRATA E IL CABARET, STRAVINCE MASSIMO “VIPERETTA” FERRERO. SFIDA CROZZA E STRAVINCE LUI, OVVIO 2. DA MADRID L’ALLENATORE DELL’ANNO, CARLETTO ANCELOTTI. E’ L’ANTI-MOURINHO. IL SUO CARISMA È NELLA TOTALE ASSENZA DI CARISMA. UN REGALO PER L’UMANITÀ. LO AMANO TUTTI 3. TAVECCHIO? ABBIAMO STRAPERSO TUTTI. A COMINCIARE DAI TIFOSI, ZIMBELLI E OSTAGGI DI UNA COSCA DI OMACCIONI ASSOCIATI A SANGUE NELLA SPARTIZIONE DELLA TORTA 4. NIBALI, SU CUI PERÒ NON AGGIUNGEREI ALTRO, PERCHÉ TUTTO CIÒ CHE PEDALA È SOSPETTO 5. MESSI, IL MARADONA MANCATO. IL SINTOMO? VOMITA E SPUTA PIÙ DI QUANTO GIOCHI A CALCIO 6. FEDERICA PELLEGRINI, OGNI VOLTA CHE APRE BOCCA, AZZERA IL BUONO CHE FA IN VASCA 7. DISADATTATO A QUALUNQUE GIOCO, BALOTELLI. L’ESSERE NERO È STATO IL SUO VANTAGGIO

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Giancarlo Dotto per Dagospia

 

ATTO PRIMO: VINCITORI

Scena prima.

GIANCARLO DOTTO GABBIANO GIANCARLO DOTTO GABBIANO

 

Rio de Janeiro. Maracanà. 13 luglio 2014. Manuel Neuer in tribuna, detto Saracinesca. Polipesco, uno e trino, usa le sue manone non per agguantare palle o parare mosche ma per avvinghiarsi al collo non proprio da cigno della signora Merkel, felice come un pinguino sulla sua zolla preferita di ghiaccio. Angela resta tutta d’un pezzo e lui, il fanciullone, Giovanni Pascoli riscritto da Friedrich Nietzsche, quasi le frana addosso, in bilico su una gamba, pur di chiudere la morsa sulla riluttante e, chissà quanto vogliosa, Virgo di Ferro.

 

dotto dotto

Neuer, possibile Pallone d’Oro, quando gli parte il braccio destro alla Dottor Stranamore e stoppa da due metri la botta di Benzema, tipo riflesso meccanico degli androidi settecenteschi alla Jaquet Droz o la più recente CyberHand, la protesi cibernetica al silicone che si apre e si chiude, perfettamente capace di grattarsi le ascelle, di masturbarsi ascoltando i Rammstein e dare una sberla al gatto molesto. I

 

l portiere cibernetico contro l’attaccante cibernetico. Manuel Neuer contro Cristiano Ronaldo per il Pallone d’Oro. Sconfinato il 2014 del portoghese sempre più iconico. Invincibile con la maglia del Real Madrid, dimenticabile con quella della sua (mediocre) nazione. Palate di gol e imprese di ogni tipo. Neuer si dà battuto e molla la stoccata. “Da portiere parto sfavorito e poi non mi piace posare in mutande…”. 

 

manuel neuer manuel neuer

A proposito di merengue. Da Madrid l’allenatore dell’anno, Carletto Ancelotti. E’ l’allenatore del 2014. E’ il Papa degli allenatori. Pacioso, ecumenico, saggio. Dovunque va, Roma, Torino, Londra, Parigi, Madrid, si porta dietro la sua zolla di campagna, il suo lenzuolo di Reggiolo, un po’ come Gianni Morandi, che lo lascia illeso e morbido anche nel sordido rumore del calcio milionario. Uno Xanax vivente che tutti vorrebbero avere nella propria tasca. E’ l’anti-Mourinho. Il suo carisma è nella totale assenza di carisma. Un regalo per l’umanità. I calciatori lo amano tutti. Da Ronaldo a Scarnecchia. 

 

Scena seconda.

podolski selfie con angela merkel podolski selfie con angela merkel

Torino. 18 maggio 2014. Juventus Stadium. Ultima di campionato. Tre a zero al Cagliari. Antonio Conte stravince il suo terzo scudetto consecutivo e fa il record di punti, 102. Una mostruosità. E’ lucido. Sa che la sua storia da quelle parti è finita. Che li ha spremuti come pompelmi rosa. Si è già accordato con Adriano Galliani ma il principino, Andrea Agnelli, gli mette un ceppo grande come una casa tra le ruote già in viaggio per Milano.

 

merkel fa la foto negli spogliatoi della germania merkel fa la foto negli spogliatoi della germania

Ma il guaio per Conte è un altro, grosso guaio. Carlo Tavecchio, nuovo presidente della Federcalcio, sta pensando a lui per puntellare le sue chiappe traballanti per eccesso pubblico di arie maleodoranti. Il giorno in cui vince lui, Carlo Tavecchio, perdiamo tutti noi. Noi, coglioni e patetici, che c’eravamo illusi di sbarrare il bananaro e la sua ghenga con una caterva di tweet e di onesta indignazione, magari sparandogli contro quel proiettile plastificato di Albertini, parruccone da comunione e disperazione, tutto il suo lessico frigido e il puzzo di sacrestia da pallone e da pallore in convento. Tavecchio vincitore? Vincitore di cosa? Abbiamo straperso tutti. A cominciare dai tifosi, zimbelli e ostaggi di una cosca di omaccioni associati a sangue nella spartizione della torta.

cristiano ronaldo esulta dopo il gol agli stati uniti cristiano ronaldo esulta dopo il gol agli stati uniti

 

Scena terza.

Dentro un campionato che sopravvive tra la parrocchia sconsacrata e il cabaret, stravince tale pulcinellesco Massimo Ferrero. Non si sa come arriva a prendersi la Sampdoria. Si sa, invece, bene da dove arrivi e questo rende ancora più misterioso il “come arrivi”. Si sa che si prende tutto il mondo blucerchiato senza mettere mano a un euro. La sua euforia da telecamera è contagiosa. Nel senso che contagia solo se stesso. Untore e unto allo stesso tempo. E’ come Pinocchio nel Paese dei Balocchi. Burattino per ogni occasione.

 

CARLO ANCELOTTI CARLO ANCELOTTI

Non vede l’ora di finire in culo alla balena, che nel suo caso ha le sembianze del Crozza. Si fa rimasticare e risputare. Depresso e lievemente stordito? Macchè, più euforico di prima. Sfida Crozza. Chi è più bravo a ridicolizzare Ferrero. Stravince lui, ovvio. I tifosi del Doria si guardano perplessi.

 

Altro vincitore, ma caso assai diverso, James Pallotta a Roma. La sua anima da fanciullino si è consegnata al Pragma puro. Visionario e implacabile. Usa i media con arguzia chirurgica. Per celebrare il suo genio negli affari sceglie per la sua società un nome, “Raptor Fund”, che la dice lunga sulle sue attitudini. Da repubblicano, s’invaghisce di Marino e va a cena anche con Renzi e Zingaretti se serve. Serve. Il suo stadio è a un passo. Lo può toccare con mano, ora che è arrivato anche il via libera dell’assemblea capitolina.

 

Antonio Conte Antonio Conte

I tifosi della Roma s’immaginano già costipati e deliranti nel nuovo impianto, dal 2017. Sognano anche per merito di Rudi Garcia. L’andaluso risciacquato nell’Ile de France arriva come un messia in una Trigoria che è un ricovero di depressi e isterici. Dice quello che deve dire, fa quello che deve fare, rimette le chiese dove devono stare. E, oggi, poco più di un anno dopo, si gode il meritato trionfo di ogni vincitore a Roma, dai tempi di Cincinnato, l’ingiuria a ogni minimo errore. Si dice innamorato e questa proprio non gliela perdonano.

 

Scena quarta.

emma winter andrea agnelli emma winter andrea agnelli

Campionato mediocre come pochi altri nel passato, ma qua e là giocatori da sottolineare. Pogba su tutti, fuoriclasse conclamato, capace di ogni cosa. E poi Pirlo e Tevez. Gervinho, Strootman (finché sano), Benatia (finché giallorosso) nella Roma. Intravisto e intuito potenziale fenomeno, nelle ultime ore a San Siro. Tale Felipe Anderson della Lazio. Ha il calcio sincopato dei grandi brasiliani del passato. Parte, accelera, arresta, riparte, ispirato da un misterioso spartito, illeggibile per chiunque altro.

 

Scena quinta.

E poi. In ordine sparso. Alessandro Florenzi che scappa dal campo dopo un gol e va a baciare la nonna in tribuna. Marco Belinelli, altro emiliano dalle radici forti. Primo italiano a vincere (con gli Spurs di San Antonio) l’Anello Nba. Vincenzo Nibali, su cui però non aggiungerei altro, perché tutto ciò che pedala è oggi altamente sospetto. E poi direi Gregorio Paltrinieri, superman natante dei 1500 metri, che solo a dirlo ti sfianchi.

ANTONIO CONTE E CARLO TAVECCHIO 2 ANTONIO CONTE E CARLO TAVECCHIO 2

 

Più di Federica Pellegrini che, ogni volta che apre bocca, azzera tutto il buono che fa in vasca. Aggiungerei Valentino Rossi, solo per celebrare Marc Marquez, quello che lo oscurerà. A 21 anni potrebbe già smettere e dirsi definitivo. L’unico Marquez vivente, dal momento che Gabriel Garcia detto Gabo, primogenito di sedici figli, ci lascia ad aprile, condannandoci ad almeno mezzo secolo di solitudine. Tra gli altri, nel mondo, Lewis Hamilton, e con lui il marchio Mercedes, e Roger Federer. Uno dei cinque motivi per cui vale la pena di vivere.

 

Scena sesta.

massimo ferrero allo stadio massimo ferrero allo stadio

Vincitore televisivo sportivo dell’anno, Daniele Adani di Correggio. Il migliore in assoluto. Animale raro in un teatrino di pupazzetti cool. Sky, una parata di manichini posticci o bravi replicanti (escludo Fabio Tavelli, bravissimo, Giorgio Porrà, escludo lo stampalato Marco Nosotti e Nicola Roggero, il miglior telecronista), ha il merito, bravo Caressa, di lasciarsi sedurre. Ha qualcosa di meravigliosamente paranoico Adani. Televisivamente, è più ossessione che vanità. Lui e Federico Buffa, lo schizzato, i due rapper del calcio parlato. Ma Adani eccede anche Buffa. La sua paranoia è innocente. Viene da lontano, da altro, non ha bisogno di telecamere puntate.

Crozza ferrero Crozza ferrero

 

ATTO SECONDO: VINTI e VINTAGE.

Scena prima.

 

Il Brasile. Belo Horizonte. Quel 7 a 1 grida ancora vendetta. La disfatta esemplare. Uno dei più grandi funerali della storia. Duecento milioni dietro il feretro. Il massimo del godimento per un popolo sempre a caccia del suo diapason ideale per piangere e per pregare. Più si esaltano e più si svuotano. Più trascendono e più scendono, all’inferno.

 

Julio Cesar e compagni che piangono a catinelle, come i clown che hanno la pompetta sotto l’ascella. Felipao Scolari, con il suo nome da osteria, è la disgrazia fatta mister del 2014. Non è stata una partita, ma un saggio straordinario, il migliore mai scritto, sull’emotività come grandezza, disordine, abisso di una nazione intera. Una terra eternamente in trance.

TOTTI E JAMES PALLOTTA TOTTI E JAMES PALLOTTA

 

Scena seconda.

Cesare Prandelli e la sua Italia. Tanto magone per nulla. Il suo mondiale: più da codice etilico che da codice etico. Quello che alla fine s’incazza, non per la figuraccia al mondiale, ma perché lo hanno paragonato a Schettino. Che dice “Io pago le tasse”, come aspettandosi una standing ovation. Che scappa a Istanbul a farsi impalare, che è, almeno, un’esperienza mistica. Trasforma il nostro calcio in una sacrestia, sparge incenso e affida la missione in Terra Santa, alias lo stellatissimo resort di Mangaratiba, a due come Antonio Cassano e Mario Balotelli.

 

TEVEZ E PIRLO IN JUVENTUS TORINO TEVEZ E PIRLO IN JUVENTUS TORINO

Presentati alla vigilia come un gruppo affiatato, motivato e superallenato, eravamo, in realtà, un’accozzaglia tapina di uomini tiepidi, annoiati e divisi, che non stavano in piedi. Vomitato anche dai turchi, Prandelli torna a casa con il capello in mano. Cercasi panchina. Al suo posto, Antonio Conte, vincitore e vinto, nel momento in cui si lascia convincere a traslocare dalla panchina della Juve a quella Nazionale. Ha “scoperto” che il calcio italiano se ne fotte della Nazionale italiana. Definirlo pentito, è un eufemismo.

 

Di buono, ha estromesso Balotelli, salvo poi riconvocarlo, salvo poi cacciarlo. Balotelli sempre più a fondo. Mario Balotelli è la statuina uccisa in qualunque presepe. “Non è adatto al nostro gioco…”. L’ultima bordata di Brendan Rodgers, l’uomo che l’aveva voluto al Liverpool. Un disadattato a qualunque gioco, Balotelli. Galliani è lì che ancora si frega le mani. L’essere nero è stato il suo enorme vantaggio. Uno che s’inventa il nemico anche la dove non c’è, soprattutto dove non c’è. Non funziona più.

POGBA -SASSUOLO-JUVE POGBA -SASSUOLO-JUVE

 

Scena terza.

Ha capito nella terra del calcio, in Brasile, che non sarà mai Maradona. E che non ne può di essere Lionel Messi, il Maradona mancato. Il sintomo? Vomita e sputa più di quanto giochi a calcio. Messi resta un capolavoro mancato. Gli manca ciò che lo eccede. Lo chiamano “la pulce”, non tanto per le sue dimensioni, ma perché come le pulci ammaestrate dei circhi inglesi dell’Ottocento gioca a palla a piccoli zompi e salta illeso nei cerchi di fuoco. Vedi tackle assassini.

 

Illusionismo? Stiamo parlando, probabilmente, di un illusionista. Che, se fosse tutta roba vera quella che vediamo, non sarebbe sostenibile. Cartone sublime trapiantato nel baraccone umano, lascia ogni volta senza fiato e senza parole. Discende dalla razza dei Pelè, dei Crujff e dei Maradona, e mi fermo qui.

florenzi florenzi

 

Fenomeni che non trattano la palla, ma l’hanno incorporata nella postura, nel movimento. Ti domandi come sia possibile, ti chiedi da dove vengano. Il suo paradiso perduto, i mondiali in Brasile, lo riportano a terra, dove si riscopre più debole e vulnerabile di sempre. Sorpassato anche da Ronaldo, dalle sue imprese e dalle sue mutande. 

florenzi abbraccia la nonna florenzi abbraccia la nonna

 

Scena quarta

Il calcio italiano. Un sistema che fa acqua, dentro e fuori stadi sempre più deserti, campi malati di alopecia e di teppa, che perde soldi, spettatori, credibilità, perde e basta, e cosa fa? Si rifugia nella triade Tavecchio, Galliani e Lotito. Un botolo bene addestrato, uno squalo silente e un altro loquacissimo, pervaso da furori superomistici, che ha trovato nella desolata landa del pallone, i conigli giusti per la sua smodata ambizione. L’amorale della favola?

 

luca marin e federica pellegrini 5 luca marin e federica pellegrini 5

Il nostro calcio, un’imperforabile macchietta travestito da fortezza. Tweet e social rovesciano il mondo, eleggono presidenti e disfano governi, ma sono meno di zero se si tratta di fare la bua a una rocciosa nullità come Tavecchio. Se questo accade, è perchè noi siamo l’Italia. Un malinconico paesotto dove i cattivi fanno schifo e hanno sempre la pistola carica, i buoni fanno pena e la pistola ce l’hanno ad acqua. 

 

Scena quinta.

Cacciato anche da Cagliari, il boemo più amato dagli italiani, Zdenek Zeman, ha spezzato anche l’ultima fune, il sottile confine, un’infinità concettuale, su cui ballava il suo destino, da mummia pensionabile a totem beatificabile. Cosa ha fatto sì che la più potente suggestione del calcio italiano degli ultimi trent’anni non abbia avuto il lieto fine che meritava?

vincenzo nibali 2 vincenzo nibali 2

 

Quell’euforia irripetibile di lanciarsi a peso morto e salute di ferro negli spazi, con e senza palla, di attaccare il “nemico” là dove il nemico non c’è o non può arrivare, rinunciando a ghirigori e vezzi da manierismo da cortile. Sintesi killer, che parte da un pensiero forte, ma poi si libera di ogni pensiero, rifiuta il calcolo, per diventare atto puro, elettricità, dritta al cuore delle cose.

 

Zeman è invecchiato e, come ogni vecchio che non si rispetti, ha incarognito i suoi difetti, annacquando i suoi pregi. Zeman, come Zarathustra, ha incontrato l’ostilità del mondo, prima di salire sulla montagna e dire: “Io sono Dio”.  Ma è rimasto l’ultimo a crederci. E, se insiste, la sua ultima panchina sarà un manicomio.

VALENTINO ROSSI VALENTINO ROSSI

 

Scena sesta.

E poi. Il bello del vintage che si estingue poco a poco. Ci lascia Vujadin Boskov, il genio di “rigore è quando arbitro fischia”. Eusebio e Di Stefano, due leggende non più viventi. Bill Stanley, vecchia quercia dell’Ohio, che si fa imbalsamare con la sua Harley Davidson del 1967 e seppellire così in una bara di plexigas.

 

MARC MARQUEZ MARC MARQUEZ

Ian Thorpe, inarrivabile performer australiano in piscina, plurimedagliato, che soffre di depressione paralizzante. Trovato e poi ricoverato in stato confusionale alla periferia di Sydney. Che confessa a nessuno che vuole saperlo: “Sono omosessuale”. Luca Cordero di Montezemolo dimissionato dal perfido Marchionne, dopo 23 anni di Ferrari. Licenziato e poi stroncato a puntate.

 

Oscar Pistorius condannato per aver ucciso a pistolettate la fidanzata o per aver detto, dodici mesi dopo: “La morte di Reeva mi consuma”? Non è sport, ma quasi, Silvio Berlusconi in camice bianco che balla la mazurka con i vecchietti malati di alzheimer.

 

daniele adani daniele adani

Per chiudere, non c’entra nulla, ma è la brutale sintesi di come il mito non basta per tenersi al riparo dal ridicolo. Mark David Chapman, l’omicida di John Lennon, che dice 34 anni dopo: “Ammetto, sono stato un idiota. Non era quello il modo giusto per conquistare la celebrità”. 

 

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