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LA LUNGA MARCIA DELLO “SCRICCIOLO D’ORO” - IL CANCRO HA SPENTO LA PICCOLA, TOSTA, IMMENSA SIDOTI: DOPO IL TRIONFO MONDIALE DI ATENE, LA MARCIATRICE RECITO’ ANCHE IN UN FILM

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Enrico Sisti per “la Repubblica”

 

Forse avrebbe desiderato un piccolo addio, così da portarselo dietro, un piccolo addio a misura della sua grandezza nascosta in un metro e quarantotto. Dicevano un metro e cinquantuno ma non era vero: era ancora più minuta, Annarita Sidoti, più tosta, più unica che mai, con quel suo aspetto da picciotto in vacanza premio (era nata il 25 luglio ‘69 a Gioiosa Marea, in quel pezzo di Sicilia che guarda Vulcano sollevarsi dal mare). E’ morta dopo sei anni di lotta contro un avversario senza nome né nazionalità, il più feroce, agguerrito, subdolo, che usa mezzi illeciti, elude i controlli.

 

Il cancro era cominciato con un gonfiore sotto le ascelle mentre era incinta di Alberto, poi era dilagato alla testa, al fegato, ovunque, spietato. Due anni fa ha avuto la forza di raccontare la sua storia senza cedere alla bugia pietosa, solo ai medici concessa: «Ce la farò ma è dura, i due figli più grandi, Federico e Edoardo sanno, Alberto no».

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La sua lunga marcia si è conclusa ieri mattina, dopo cinque operazioni. «Sapevo che era finita», ha singhiozzato Maurizio Damilano, suo ct in nazionale. «Grazie per averci emozionato», hanno scritto il premier Renzi e i presidenti delle camere Grasso e Boldrini, «grande campionessa e donna immensa». Tre ori nella marcia, mondiale ad Atene ‘97, europei a Spalato ‘90 e a Budapest ‘98. La più medagliata dopo la Simeoni. Dopo il trionfo di Atene la vollero in un piccolo film come debuttante: Le complici .

 

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Erano rimasti folgorati da una sua foto, il look androgino, quel non tradire sensualità eppure una strana e infinita tenerezza nello sguardo. Atletica e cinema. Sempre una foto aveva convinto Pasolini, prima che Annarita nascesse (fine ‘68), ad affidare a Giuseppe Gentile, fresco bronzo nel triplo ai Giochi di Città del Messico, la parte di Giasone in Medea accanto a Maria Callas.

 

Annarita interpretò Marta, mezza sconvolta e mezza ragazza da marciapiede che finisce impelagata in un omicidio/ suicidio. Fuori scena, durante le riprese, indossava spesso una maglietta con su scritto “Light your fire”, frase molto Doors che trasmette coraggio, intensità, fa pensare al rock e all’oriente.

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Niente si sarebbe meglio adattato alla sua natura di atleta pronta a conquistare vittorie e accogliere sconfitte, di donna pronta a difendersi da tutto, forte di una volontà tutta sua, allenata con le lunghe distanze, quando vedi sempre la ragione di tanta fatica, quando concludere un allenamento è sì una gioia ma in fondo non più di tanto. Perché la felicità di esserci o di esserci stata confonde l’inizio con fine della sofferenza. Quando si ricomincia?

 

A Spalato, nel ‘90, terminò la 10 km in settima corsia, gli ultimi ottanta metri li fece sorridendo, aveva 21 anni. Al traguardo le misero in mano una bandiera più grande di lei che non aveva la forza di sventolare. Abbracciandola e baciandola dopo la gara, la giunonica russa Kardopoltseva, che arrivò sei secondi dopo, la fece quasi scomparire. «L’immagine di lei che impugna, piena di gioia, quell’enorme tricolore mi emoziona profondamente», ricorda il presidente federale Giomi, allora capo- delegazione azzurro.

 

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Annarita aveva i pantaloncini bianchi tirati su, sembravano enormi, sembrava mascherata da atleta. Tutto era enorme quando c’era di mezzo lei, soprattutto il talento. Era la luminosa versione femminile (col suo gruppo, Perrone, Salvador, Alfridi e una giovanissima Rigaudo) delle tante fortune della marcia azzurra che camminano a passo veloce nella storia, Frigerio, Dordoni, Pamich, Damilano, Didoni, Brugnetti, Schwazer e gli altri. Allo “scricciolo d’oro” allenato da Salvatore Coletta è mancato solo l’acuto olimpico. Il resto c’era tutto. C’è tutto. Le sue medaglie risplendono, non sarà mai buio.

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