LA MARCIA DI SCHWAZER: PRIMA E DOPING - LA NOSTALGIA PER GLI ANNI PRIMA DELLE “BOMBE”: “ERO PIÙ IGNORANTE E FACEVO SOLO ATLETICA” - POI ARRIVÒ L’EPOCA DELLE INIEZIONI PROIBITE: “MI SONO DOPATO DA SOLO: DI QUESTA MEDICINA SO PIÙ IO DI TUTTI I MEDICI FIDAL MESSI INSIEME!”
Andrea Pasqualetto per “il Corriere della Sera”
ALEX SCHWAZER SPONSOR KINDER FERRERO
Andava forte, il giovane Schwazer. Con un cuore da ventotto pulsazioni al minuto, una volontà di ferro e due gambe da stambecco marciava e vinceva fin da ragazzo. Erano gli anni belli e puri che lo portarono nel 2005 al primo titolo italiano sulla distanza più dura, la 50 chilometri. Poi arrivò l’epoca delle tentazioni: i primi libri sul doping, i contatti con i massimi esperti, le macchine, i muscoli come carne da laboratorio. Infine la grande solitudine, la resa alla tentazione, le iniezioni proibite e il crollo emotivo.
È lui stesso, Alex Schwazer, a raccontarlo con disperazione e nostalgia: «Sai quante volte mi ritrovavo solo e mi dicevo ma quanto era bello fino a quattro, cinque, sei anni fa, quando ero più ignorante e facevo atletica, quando guardavo meno a destra e a sinistra...».
Dopo l’esplosione dello scandalo, lo confessa a Salvatore Iuliano, il comandante della sezione Atletica del Centro sportivo di Bologna, in una conversazione catturata dalle microspie dei carabinieri del Ros di Trento e finita agli atti del procedimento che vede il campione olimpico di Pechino indagato a Bolzano.
La parabola di atleta e di uomo emerge con chiarezza dai documenti messi in fila dagli investigatori del Nas: intercettazioni, file, le analisi bancarie, il suo stesso interrogatorio. «Quante volte ti ho detto resta a casa, vai a casa, non venire, quando mi sono dopato... Non ce l’ho fatta a dire, non ho detto niente a nessuno», ripete nella stessa chiacchierata del 9 agosto del 2012, alla quale erano presenti anche il suo allenatore Michele Didoni e la moglie.
Ma sono del 2006 le prime tracce del suo interesse per il mondo del doping. Conquistato il bronzo ai mondiali di Helsinki che gli vale un sorprendente primato, quasi 8 minuti sotto il suo personale, un’enormità, Schwazer vuole la vetta del mondo. La concorrenza è però spietata e talvolta dopata. Inizia così a studiare i limiti dell’atleta, dove finisce la natura e dove inizia la chimica, e i confini della legge, quel crinale fra il consentito e il proibito sul quale marcerà a lungo. Si procura il libro di Brigitte Berendonk che denunciò le droghe della Germania sportiva, fa amicizia con l’ex marciatore Ddr Hartwig Gauter, si appassiona al lanciatore Usa Eric Barnes, squalificato per 27 mesi.
E il 2006 segna anche l’entrata in scena di Francesco Conconi, il professore ferrarese finito negli anni Novanta al centro della prima grande inchiesta italiana sull’uso di sostanze vietate. I due si trovano, fanno test, si scrivono decine di mail. «Buongiorno dottore, volevo nuovamente dire grazie per il suo aiuto, sicuramente una parte del risultato ottenuto domenica è anche suo». «Caro Alex, il bellissimo risultato è tutto tuo...».
Era il febbraio 2007 e, dopo un periodo buio, il marciatore altoatesino aveva riconquistato il titolo italiano della marcia polverizzando il suo precedente record. Va detta una cosa: Conconi non significa doping, per Schwazer è scienza, è studio del massimo risultato nel perimetro della legge. Con lui discute di integratori, di aminoacidi, di creatina, di berberina. Sostanze consentite. C’è una sola mail sospetta. È del marzo 2008: «Caro Alex, ho avuto notizie dei sassi nelle tue scarpe da Sandro (Sandro Damilano, l’ex allenatore di Schwazer, ndr ). Vorrei avere qualcosa in più...». Sembra alludere a qualcosa di losco ma forse è solo una metafora.
Il 2008 è l’anno stellare di Schwazer: fidanzamento con Carolina Kostner e oro alle Olimpiadi di Pechino. La vetta. Dal punto di vista investigativo è anche l’anno in cui acquista la tenda ipossica, il macchinario che ora la Procura gli contesta anche se in molti Paesi è legale.
L’Antidoping mondiale (Wada), parte offesa nel procedimento di Bolzano, alla quale la Procura ha consegnato un database di 60 profili ematici di Schwazer dal 2000 al 2012, ha già dato una risposta pungente: «Il valore testato due giorni prima della conquista dell’oro di Pechino è chiaramente atipico, non può essere spiegato da fluttuazioni normali — scrive Pierre-Edouard Sottas, analista della Wada —. Sorprende trovare un tale profilo in un atleta che vince la più lunga gara di fondo». Una sorpresa ma nessuna certezza.
Schwazer abbandona Conconi e si affida a Michele Ferrari, il medico di Lance Armstrong. Nell’interrogatorio davanti ai pm dice che fu grazie all’industriale Pietro Ferrero che lo conobbe: «Ferrari è uno dei migliori preparatori».
SPECIALE LUGLIO I PERSONAGGI PI RAPPRESENTATIVI DEGLI USA LANCE ARMSTRONG
Infine il 2012 e la clamorosa confessione: «Mi sono dopato e ho fatto tutto da solo, in Turchia». In effetti, gli inquirenti hanno trovato le prove dell’amara solitudine di questo ragazzo dalla doppia anima: determinato e timido, perfezionista e semplice, ieri campione olimpico oggi cameriere in un bar di Innsbruck, sempre e comunque grande faticatore.
Nella posta elettronica solo le ricevute dei due biglietti di andata e ritorno per la Turchia e i pagamenti dei vari prodotti, dei quali era diventato pure lui un esperto. Quel giorno lo confessò con gli occhi umidi, davanti a Iuliano e Didoni: «Io di questa medicina so più di tutti i medici Fidal messi insieme!».