CON UNA CENA PER HAPPY FEW DECOLLA IL 10 SETTEMBRE LA STAGIONE MILANESE CON L’INAUGURAZIONE DEL MANDARIN HOTEL – AVVISATE ARMANI E BULGARI: DAL RISTORANTE SETA AL SUPER SCENOGRAFICO BAR, L'HOTEL SI CANDIDA COSÌ A DIVENTARE LA NUOVA MECCA DEI MENEGHINI COOL

Il cuore del Mandarin è il bar, destinato a diventare una mecca della convivialità glamour dalle 8 alle 2 del mattino. L’hotel brulica di citazioni architettoniche, da Gio Ponti a Piero Portaluppi - Non poteva mancare una Spa di 900 metri quadrati, che consente un tuffo di benessere nella Milano sotterranea…

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Giovanni Audiffredi per AD, foto di Massimo Listri

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Una maniglia. Quella decorativa sulle porte delle camere. Tonda, a bottone, di metallo brunito, di chiara impronta asiatica. È l’unico dettaglio ornamentale che ricorda all’ospite dove siamo: in un nuovo hotel della catena Mandarin Oriental, gruppo con quartier generale a Hong Kong (asset valutati 3,1 miliardi di dollari). Tutto il resto è densamente dedicato a Milano. Quella del Dopoguerra, che in città significa colto risveglio architettonico, contaminato dall’arte, sostenuto dalla volontà di rinascita industriale, alimentato dalle aspirazioni del mondo delle professioni.

 

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Di questa interpretazione si è fatto portatore lo studio Antonio Citterio Patricia Viel Interiors, ricreando nei quattro edifici del XVIII secolo, meglio riconoscibili dall’affaccio su via Monte di Pietà, un albergo di 104 stanze (di cui 31 suite), ciascuna con proprie differenti caratteristiche abitative. Scelta obbligata, trasformata brillantemente in opportunità, dalle irregolarità dell’accostamento dei palazzi, che nella loro storia hanno ospitato la casata dei Confalonieri, l’Esattoria Civica e la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde.

 

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«I committenti ci hanno dato massima libertà, chiedendo un progetto fortemente legato alle atmosfere residenziali della città», racconta Patricia Viel. «La risposta più congeniale è stata la casa borghese meneghina, dove dal 1930 si sovrappongono e sedimentano stili, colori, lavorazioni improntati alla ricerca della modernità». E l’impostazione, che richiama luoghi simbolo della milanesità, come Villa Necchi Campiglio, è immediatamente visibile nella hall, dove rosso mattone, giallo tenue e verde pastello fanno da palette cromatica d’accoglienza di un’estetica raffinata, tracciata dalle scanalature della boiserie di noce e rovere e piantonata dai banchi di ricevimento in legno reso vivo dalle decorazioni a losanghe contrastanti.

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L’aspetto nobiliare, in una città viscontea e sforzesca, non poteva essere trascurato. E si sostanzia bene nell’ingresso con maggiore atmosfera e che procura minore fretta, quello di via Andegari. Che non solo immerge il visitatore nel centro di Milano dalla più ariosa via Manzoni, ma concede lo spazio di un cortile patrizio, che ha la funzione di “camera di decompressione”, prima del check-in.

 

Allo stesso modo nell’albergo le corti chiuse e porticate sono recuperate e arredate a luoghi esterni della socialità, un tema fondante di questa nuova presenza, che si inserisce in una porzione metropolitana in cui già convivono importanti e griffate realtà alberghiere, come Armani e Bulgari.

 

«Non puntiamo alla competizione, bensì a creare un sistema che possa trasformare questi luoghi in un attraente district di eccellenze nell’accoglienza. Con offerte diversificate di servizi che non solo possono convivere, ma anzi beneficiano l’una dall’altra», spiega Luca Finardi, direttore del nuovo Mandarin.

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Non a caso il cuore di questa dimora borghese è il bar, destinato a diventare una mecca della convivialità glamour dalle 8 alle 2 del mattino. Bar che gli architetti hanno realizzato – pensando a un luogo tipico dell’incontro, nella chiave più internazionale dell’hôtellerie – con un richiamo a una grande e raffinata “piazza” italiana, amplificata e resa più ariosa dai riflessi del soffitto, ma soprattutto strutturata dal potente gioco di marmi intagliati in alternanza bianco-nero.

 

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Limitrofo, ma separato da un ingresso dedicato, quello appunto da via Monte di Pietà, è il ristorante Seta – affidato all’esperienza dello chef Antonio Guida –, che ha come cromia portante il verde, intenso quello dei marmi del Guatemala, ottanio quello dei velluti delle poltroncine disegnate da Antonio Citterio. Che ha lavorato con il suo tratto anche su molti altri pezzi, dai letti agli elementi dei bagni, tutti interventi distintivi a disposizione nelle stanze degli ospiti, dove il viola acceso contrasta con nuance di beige.

 

Al Mandarin, che brulica di citazioni architettoniche, da Gio Ponti a Piero Portaluppi, non poteva mancare la trasposizione contemporanea della piscina, ovvero una Spa di 900 metri quadrati, che consente un tuffo di benessere nella Milano sotterranea.

 

 

 

 

 

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