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EROS E TANATOS IN 70 SCATTI – IN MOSTRA ALLA FONDAZIONE BISAZZA IL LATO OSCURO DEL GIAPPONE NELLE FOTO HARD DI NOBUYOSHI ARAKI – LO STUDIOSO: “NELL' EROS GIAPPONESE C'È UN FONDO DI VIOLENZA PIÙ DICHIARATO DEL NOSTRO. E QUESTO CI AFFASCINA…” - I VOLTI DELLE DONNE LEGATI ALLE CORDE: NON ESPRIMONO DOLORE O DISPERAZIONE MA...

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1 - IL PIACERE E LA MORTE IN SETTANTA SCATTI IL RITRATTO DI UN RIBELLE

Andrea Rinaldi per il Corriere della Sera

 

Tutto inizia e allo stesso tempo finisce. Lo splendore della vita, la bellezza delle donne, la vivacità della natura. Un classico della cultura orientale, un leit motiv che Nobuyoshi Araki è riuscito a fermare su pellicola da dietro l' obiettivo e che da domani si potrà osservare in tutte le sue sfaccettature alla Fondazione Bisazza di Montecchio (Vicenza).

 

Le foto del maestro giapponese, riunite nell' omonima esposizione Araki , illustrano in 70 scatti tutto l' immaginario di questo artista, più di una volta contestato per oscenità, e che tra i suoi fan annovera anche la cantante Bjork. Ci sono quelle di Sentimental journey , realizzate durante il viaggio di nozze con la prima amatissima moglie Yoko, ma che ne raccontano anche la malattia e la morte di cancro nel 1990 (il volume antologico è del 1991).

 

Ci sono i lillà, i tulipani e le orchidee di Painted Flowers , dipinti in colori squillanti dallo stesso Araki e poi resi su pellicola nei loro petali carnevaleschi. Altre foto a colori in 67 , scattate con la Pentax 67 come celebrazione dei suoi sessantasette anni. In Bondage e non solo rivive la millenaria arte nipponica dello shibari o kinbaku con le sue donne seminude legate, ovvero l' enigma del piacere attraverso la costrizione. Tutte istantanee in cui si possono cogliere ancora i grandi riferimenti del maestro di Tokyo, quelli che lo hanno accompagnato sin dagli studi in fotografia all' Università di Chiba: il Neorealismo italiano, la Nouvelle Vague con Carl Theodor Dreyer e Robert Bresson.

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«È un' esposizione che dà conto della produzione degli ultimi anni da diversi punti di vista - spiega il curatore Filippo Maggia, direttore didattico alla Fondazione Fotografia di Modena - e che ripercorre anche la sua vita con tutti i guai, dalla cecità in un occhio, alla scomparsa della moglie, al tumore alla prostata che sta curando. Tutte le avventure delle sue notti bianche di oltre 30 anni gli hanno presentato il conto e ora sono qui».

 

Una galleria di lavori che si crogiola nella sensualità, nel piacere, nell' estetica del nudo, ma che induce anche a riflettere sul tema della perdita e della morte.

 

Come fa la stessa sezione Love on the left eye , una carrellata di soggetti volutamente oscurati nella parte destra a testimoniare la sua menomazione alla vista. «Negli ultimi tempi - conclude Maggia - si vedono meno donne e più ricordi davanti alla lente di Araki, come se stesse iniziando a prendere le distanze da quello che è stato e invece a prendere atto del tempo che passa e che tutto corrode».

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2- L’ESTETICA AL LIMITE

Annachiara Sacchi per il Corriere della Sera

 

Il ricordo di un' epoca lontana, quando le donne erano al centro del potere. E una società così maschilista, ancora oggi. Lo splendore di un fiore maturo, sbocciato, e l' idea di morte a cui quell' immagine prelude. Il piacere e il dolore, la raffinatezza di certi nodi che avvolgono i corpi con la sapienza del kinbaku , la sottomissione di chi si lascia legare, l' abbandono. È un' estetica sempre al limite, quella giapponese. In equilibrio tra gli estremi, sensualità e pudore, esaltazione e umiliazione. Alla ricerca di un canone perfetto, lo stesso che tentano di immortalare le immagini di Araki, i fotogrammi di registi come Nagisa Oshima, le pitture ukiyoe (il mondo fluttuante) dei maestri Hokusai e Hiroshige. Un' armonia studiatissima, anche se sembra naturale. A chi non la raggiunge resta solo una squallida caricatura della bellezza.

 

Contraddizioni di un Paese in cui la forma è parte integrante della sostanza. E la condizione femminile diventa emblema di questi contrasti. Partiamo dalla storia: fino all' VIII secolo nel Sol Levante si riscontra una sostanziale parità tra i generi. Poi, lentamente, il maschio assume un ruolo dominante.

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E, dal XVII secolo, con lo shogunato Tokugawa (e il confucianesimo), si assiste al cambio radicale di mentalità: retrocessa a ranghi infimi, la donna deve seguire «tre obbedienze». Al padre, al fratello, al marito. Anche oggi, anche nell' avveniristica Tokyo, quel retaggio è presente.

 

E non solo per il fatto che le lavoratrici, molto frequentemente, lasciano l' impiego con la prima gravidanza, perché il loro stipendio è in media inferiore del 30 per cento rispetto a quello dei colleghi, o perché raramente salgono oltre la qualifica di «OL», office ladies. Ma perché oltre ai doveri della brava moglie e madre, lo stereotipo della geisha (da non confondere con la prostituta) resiste. Diafana, silenziosa, arrendevole. E complice.

 

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Nell' arte, nella vita quotidiana, nel teatro. Il controllo di sé in Giappone è più di una maschera. Anche nell' eros. Anche nei volti delle donne legate alle corde: non esprimono dolore o disperazione, ma consapevolezza. Massimo Raveri, ordinario di Religioni e filosofie dell' Asia Orientale a Ca' Foscari e autore di Il pensiero giapponese classico (Einaudi, 2014), spiega: «La donna fa paura, è pericolosa e selvaggia. L' uomo, che rappresenta l' ordine, ne è terrorizzato. Il gusto di stringerla, di volerla annodare in un modo per noi quasi inconcepibile, nasce da un' atavica paura». Non è un giudizio morale, «in Giappone non esistono i Dieci comandamenti».

 

Ma un conflitto tra armonia e disarmonia: «La donna provoca confusione dei sensi». Gli esempi nella letteratura sono tanti. Come La chiave di Tanizaki Jun' ichiro (1886-1965), storia di una passione morbosa, dagli esiti tragici. In cui, come in altri scritti dell' autore, il protagonista scopre il piacere dell' autodistruzione. Di amore e morte, ma soprattutto di vecchiaia, si parla nel capolavoro La casa delle belle addormentate del premio Nobel Yasunari Kawabata (1899-1972), in cui l' anziano Eguchi Yoshio condivide il letto (senza poterle toccare) con stupende ragazze narcotizzate.

 

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Ed è ancora la morte il tema centrale del film erotico per eccellenza, L' impero dei sensi (1976) di Nagisa Oshima, basato sul rapporto sadomaso (e su un fatto di cronaca) tra la giovane Sada Abe e Kichizo Ishida che finirà strangolato e con il pene reciso. Tagli, nodi, bende. «Nell' eros giapponese c' è un fondo di violenza più dichiarato del nostro - continua lo studioso -, e questo ci affascina. Del resto il buddhismo tantrico ci dice di andare a fondo delle nostre pulsioni più segrete e portarle alla luce». Il desiderio, il traino più forte. Quello che spinge l' uomo a dominare, insieme alle sue paure, la donna.

 

Le cose però stanno cambiando. Nel lavoro, con una richiesta sempre più forte di pari opportunità. Nella società, con il fenomeno degli ikumen , padri «attivamente coinvolti nell' accudimento dei figli». E nella letteratura, con protagoniste volitive, caparbie, autonome.

 

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Come le donne dell' autrice Kirino Natsuo (1951), regina del noir giapponese, autrice del bestseller Le quattro casalinghe di Tokyo (Neri Pozza, 2003), che da sempre dichiara: «Non sono una femminista. Il mio obiettivo è riflettere e far riflettere sulle difficoltà delle donne nella società giapponese contemporanea».

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