FRIDA KAHLO? PIÙ CHE ETERNA, POST-ETERNA – AUTORITRATTO DOPO AUTORITRATTO, FRIDA È IL POSTER DI FRIDA – DOPO LE TAVOLE DEL FAYUM E PRIMA DI WARHOL, È GIÀ UNA POP-STAR DEI NOSTRI TEMPI E DELLA CULTURA DEL FOREVER YOUNG

Alessandra Mammì per Dagospia

Chi sarà mai il fortunato signor Jan Hendrick collezionista-feticista che ha acquistato e conservato in teca perspex il busto in gesso di Frida Kahlo? Su internet non si trova e il catalogo non lo dice. Ma le Scuderie del Quirinale gli devono molto perché lì, la mostra sulla mitica pittrice messicana ha un vero sussulto. E regala un'illuminazione.

Frida non è solo quel simbolo di infelicità, maternità negata, amore sublimato, maschile/femminile, sofferenza e corpo ferito. Se scarabocchia il gesso sapendo di trasformarlo in opera, (e lo sa perché si fa fotografare mentre lo mostra orgogliosa) si mette sullo stesso piano di Duchamp.

E se non resiste a lasciare un segno su ogni oggetto che la circonda, partecipa della bulimica necessità di appropriazione, controllo e reificazione della vita intera che sarà la forza di molta arte a venire. Femminile di certo, dal momento che le prigioni del corpo e delle mura di casa, sono fonte di rabbiosa ispirazione di donne creative. E qui il corsetto con Falce e Martello tinti in rosso sta a Frida come le unghie finte a Carol Rama o la tenda con i nomi di tutti i suoi amanti a Tracey Emin.

Ma Frida va ben oltre quel recinto che ci porta fino all'ossessione di fotografare gli amici anche al cesso stile Nan Goldin (che sarà celebrata da venerdì 21 a due passi da Frida nella galleria romana di Gagosian, bel confronto). Frida punta a diventare un'icona eterna.

Le nere sopracciglione unite come un segno grafico, gli accenni di baffi, l'abito etnico con gonnellone che supera ogni tentazione modaiola, la treccia corvina che resiste al tempo e agli ospedali come la parrucca di Warhol, sono la forza grafica della sua immagine La ripetizione dell'immagine è poi la stessa ripetizione iconica delle bizantine sacre tavolette che trovano forza nella fedeltà al prototipo.

Frida è già il poster di Frida. E quando sbarca in America negli anni Quaranta incontra terreno fertile. Nel 1942 fa giustamente parte della storica mostra al Moma "Portrait of 20th Century"; Breton la vede surrealista, Peggy Guggenheim ne intuisce il potenziale. In patria diventa una star e all'Accademia Esmeralda dove insegna è circondata più che da allievi, da veri fans che non a caso si fanno chiamare "Los Fridos".

Lei per tutta risposta li onora di partecipare a un suo autoritratto in vesti di scimmiette adoranti. Tra Frida e il suo amore corposo e complesso Diego Rivera non c'è lotta. Lui ha ancora bisogno di solidi muri per immortalare muscolarmente la sua ideologia. Lei è anni luce avanti e già corre sul terreno della comunicazione virale. Non lo sa ancora, ma lo intuisce.

E consapevole o inconsapevole, mette a punto la sua strategia. Persino nei filmati d'epoca è evidente l'appartenenza a due tempi diversi. Lui, goffamente e distrattamente strizzato in giacche stazzonate è (e resta) uomo del primo Novecento amico di Trotsky (nei filmati anche lui) e destinato a soccombere alle rivoluzioni anni Sessanta.

Lei dritta e impeccabile nel suo forte look colorato e rossetto scarlatto, è già Pop. In tutta la mostra - che ha il merito di non regalarci solo la triste storia di una giovane promessa della medicina che un incidente in tram destina all'arte all'amore, a costo però di atroci sofferenze-, la complessità di Frida che oscilla fra metodo e follia è ben raccontata.

Non solo con quel nutrito corpo di 40 dipinti che arrivano da decine di collezioni diverse (e pazienza francamente se manca qualche Frida sofferente sul lettino o con busti ortopedici che generano piante magiche). Bisogna soffermarsi sui disegni e sugli appunti, sui collages e le xilografie, su quello strano intonaco strappato con uno dei primi autoritratti che sa tanto di tavolette del Fayum.

Bisogna non trascurare il diario che scorre sullo schermo al plasma del secondo piano, riflettere sulla galleria di foto (scattate da Victor Reyes o Nickolas Muray ) troppo simili tra loro per non rivelare il ferreo controllo di Frida. Lo scialle rosso con scultoreo panneggio, fiocco o fiore in testa fra fucsia e magenta in contrasto al blu di prussia dell'abito, l'assenza di tempo nei mobili e negli spazi.

Senza data non si invecchia, si appartiene a quell'indistinto spazio/temporale che rende eterni e sempre uguale a se stessi come la Madonna perennemente giovane e di azzurro e bianco vestita. E' quello l'esito di Frida, che non invecchia autoritratto dopo autoritratto come fu costretto a fare al tempo il grande Rembrandt. Perché lei nonostante la sofferenza, è già star dei nostri tempi e della cultura del Forever Young. Più che eterna, post-eterna.

 

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