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VENEZIA, ISLAM SHOCKING! LA PRIMA MOSCHEA TROVA SPAZIO IN UNA CHIESA SCONSACRATA (VIDEO) - E' L'INSTALLAZIONE "THE MOSQUE", REALIZZATA DALL'ARTISTA CHRISTOPH BUCHEL PER IL PADIGLIONE ISLANDESE DELLA BIENNALE D’ARTE A SANTA MARIA DELLA MISERICORDIA - ALLA BIENNALE PASSAGGIO DI MADONNA BOSCHI, KANYE WEST SENZA KIM E DE GREGORI

VIDEO

 

1. VENEZIA, ISLAM SHOCKING! LA PRIMA MOSCHEA TROVA SPAZIO IN UNA CHIESA SCONSACRATA

Marta Artico per http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2015/05/08/news/la-prima-moschea-del-centro-storico-e-in-una-chiesa-1.11380956

 

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C’è il mihrab, l’abside che indica la direzione della Mecca, il minbar, il pulpito dall’alto del quale l’imam pronuncia la khutba (l’allocuzione) e ancora i tappeti, i mosaici che riportano i versetti del Corano e uno spazio dedicato all’approfondimento del culto. In una parete uno schermo con l’orario nelle varie capitali arabe. È stata inaugurata venerdì mattina nel campo de l’Abazia a Venezia, la “Moschea della Misericordia”, l’omonima chiesa inutilizzata dal 1969 trasformata in un luogo di culto dei fedeli di Allah, e che si chiama come la sala di preghiera di Marghera.

 

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Questa, però, non è un capannone adibito a centro culturale, ma un edificio secolare carico di storia. A riuscire nell’impresa di realizzare una moschea, per sette mesi, nel palcoscenico più importante al mondo per il messaggio che trasmette sono stati gli islandesi, grazie all’artista svizzero Christoph Büchel, noto per le sue provocazioni a carattere politico, che ha realizzato quella che è, di fatto. L’installazione (“The Mosque: the first mosque in the historic city off Venice”), rappresenta la “terra del ghiaccio” alla Biennale Arte e che, come ha detto il presidente della comunità islamica di Venezia e provincia, Amin Al Adhab, è riuscita a «scaldare il cuore di 20 musulmani».

 

chiesa della santa maria trasformata in moschea    veneziachiesa della santa maria trasformata in moschea venezia

Chiesa-moschea. A realizzare una moschea in centro storico i musulmani ci provano da anni, facendo pressioni sulle amministrazioni, ma Venezia è Venezia, e nonostante le proposte di principi ed emiri, ogni tentativo è finito in una bolla di sapone. Alle 11 ieri venerdì, davanti alla chiesa-moschea, c’erano i rappresentanti delle comunità musulmane di tutto il Triveneto.

 

A fare gli onori di casa Amin Al Adhab, Omar Al Hnati (in lista con Casson alle comunali), Bach Abdallah, che in questi mesi hanno collaborato con il padiglione islandese. In rappresentanza dell’Ucoii, unione delle comunità e organizzazioni islamiche d’Italia, Nader Akkai, tra le personalità più in vista anche Ibrahim Sverrir Agnarsson, al vertice della comunità musulmana islandese, che si fermerà a Venezia per un po’ e officerà nella moschea. Don Nandino Capovilla, che fa parte del tavolo interreligioso veneziano e Gianfranco Bonesso, del servizio immigrazione Comune.

 

La cerimonia. L’opera è talmente riuscita che è difficile, per chiunque entri, rendersi conto che si tratta di una installazione artistica. È una moschea in tutto e per tutto. A fianco alla porta il modulo per iscriversi alla comunità islamica, l’orario della prossima preghiera, il cestino per l’elemosina. Prima di pregare si mettono le scarpe negli scaffali appositi, le donne si coprono il capo. «È eccezionale», spiega Bach Abdallah, siriano, «a livello locale e internazionale, ed è ancora più incredibile che questo segnale in una città che è prima per accoglienza, lo abbiano dato proprio gli islandesi, che hanno trovato un palco mondiale per mandare un messaggio di dialogo».

acquasantiera diventata book shop islamico in santa maria della misericordia, padiglione islandese img 4104acquasantiera diventata book shop islamico in santa maria della misericordia, padiglione islandese img 4104

 

 «A Venezia vivono e lavorano 20 mila musulmani e migliaia ne vengono in visita», ha esordito Amin Al Adhab, «c’è un tacito riconoscimento tra le comunità italiana e musulmana, si cammina assieme, ma non ci si rende conto dei cambiamenti demografici, si rimanda sempre. Gli artisti islandesi hanno puntato i riflettori su questo problema, hanno capito, hanno spolverato un gioiello e l’hanno fatto diventare un luogo di vita. Era una chiesa, adesso è chiamata moschea, ma è nuovamente un luogo per pregare lo stesso Dio perché ci dia più pace». Aggiunge: «È un progetto temporaneo, e sento già la tristezza nel cuore per quando non ci sarà più, ma la comunità islamica continua a vivere».

 

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Lezione di civiltà. Da qui l’appello del presidente: «Collaboriamo tutti per trovare un luogo qui a Venezia che diventi il faro dell’umanità, spero che tutti abbiano capito il senso del progetto, una lezione di civiltà e un’arte all’avanguardia, gente che viene da terre fredde ha scaldato il cuore dei musulmani».

 

La speranza della comunità è che la chiesa in disuso possa restare moschea e che con l’aiuto dei Paesi arabi rappresentati in Biennale, si crei una catena di solidarietà: «Ci piacerebbe molto», dice Abdallah, «che questa installazione-moschea diventasse fissa». I musulmani chiedono una moschea a Venezia. «Casson ce l’ha promessa», ripete Abdallah sorridendo, «il traghetto è partito».

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2. L’ARTE NON ACCENDE (PIÙ) LA RIVOLUZIONE A VENEZIA C’È LA POLITICA, MA NON C’È LA TENSIONE DI ALTRE STAGIONI. E FA PIÙ COLPO IL RAPPER DEL NOBEL

Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera

 

una moschea in una chiesa  succede a venezia per la biennale 1una moschea in una chiesa succede a venezia per la biennale 1

Quando politica e religione incontrano una Biennale politicizzata, come è questa 56ª edizione, possono nascere contrasti? No, tutt’altro. L’arte come forma rivoluzionaria non sembra né in grado né intenzionata a riaccendere lotte stile anni Settanta, ma solo a raffigurarle.

 

Tanto che, se si eccettua la contestazione davanti al Museo Guggenheim dei Gulf Labor — che protestano contro le cattive condizioni dei lavoratori che stanno costruendo la sede del museo ad Abu Dhabi —, studenti e biennalisti della tarda postmodernità paiono eccitarsi più al passaggio del rapper Kanye West (marito di Kim Kardashian) che per quello di Francesco De Gregori, più per le feste di Pinault e Prada che per il Nobel Orhan Pamuk in visita al Padiglione turco, dove l’artista Sarkis cerca di riconciliare turchi e armeni; i quali, nel loro spazio, mettono in scena il genocidio di cent’anni fa. I greci, invece, esponendo una sorta di macellazione animale, alludono forse a quella in corso del loro Paese.

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Ma che queste denunce non si trasformeranno mai in contrasto, almeno in Italia, lo si capisce bene a fine giornata, quando scende dal motoscafo la ministra Maria Elena Boschi di rosso vestita. La politica, più che elemento di bersaglio, sembra con lei poter offrire all’arte una nuova icona pop, che se ci fosse Andy Warhol la troveremmo già immortalata nella Biennale 2017. Sarebbe di certo un’opera più attuale della satira su Berlusconi e il bunga bunga proposta dal Padiglione spagnolo.

 

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Così, nell’incontro tra arte di protesta e politica il principale interrogativo che serpeggia a Venezia è: chi ha sbagliato le scarpe tra la ministra (scarpe in scintillante vernice rossa tacco 8-10) o il curatore Enwezor (scarpe da ginnastica gommose e impolverate)? La ministra, accompagnata anche da Felice Casson in qualità di «aspirante» sindaco (ha inviato un tweet anche sull’iceberg galleggiante del Padiglione siriano), ascolta, sorride e rilascia dichiarazioni ipercorrette: «La mostra è un parlamento delle forme», «proietta all’esterno i problemi internazionali», «ho particolarmente apprezzato i lavori della Beecroft e della Migliora».

 

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C’è confronto più aperto, invece, tra le religioni. Ha creato qualche polemica l’inaugurazione, ieri mattina, del padiglione dell’Islanda intitolato The Mosque . Questo padiglione consiste nel riallestimento in forma di moschea della chiesa sconsacrata di Santa Maria della Misericordia a Cannareggio, il sestiere del ghetto ebraico. L’installazione, curata da Christoph Büchel in collaborazione con la comunità islamica di Venezia, ha attirato centinaia di musulmani che, da oggi per sette mesi, potranno trovarsi qui a pregare («ma per sette mesi — assicura il presidente della Regione Luca Zaia — poi la dovranno lasciare. Per il resto, Venezia è una città cosmopolita, va bene una provocazione artistica»).

 

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Sul modello della trasformazione di Santa Sofia di Costantinopoli in moschea, anche da questa chiesa sconsacrata sono spariti crocefissi e insegne cattoliche, mentre, tra il mirab e i tondi con i versetti del Corano (dei quali, però, né curatori né arabi presenti sanno tradurre il significato) spuntano ancora le arche dove dormono i nobili veneziani. Al posto della sagrestia è spuntato un piccolo shop di souvenir islamici e all’appendiabiti non ci sono più le cotte dei chierichetti ma i manti bianchi degli imam. Mohamed Amin al Ahdab, presidente della comunità islamica di Venezia, ha ricordato che nell’area di Venezia «vivono 15-20 mila musulmani, che la parola fondaco è musulmana, che gli artisti hanno fatto bene a puntare i riflettori sul problema dell’assenza di una moschea e che si è lì per pregare tutti lo stesso Dio».

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Questo forse; perché nel pomeriggio, al termine dell’inaugurazione del Padiglione Vaticano, il cardinale Gianfranco Ravasi ha colto la provocazione artistica con benevola distinzione: «Dobbiamo passare tutti dal duello al duetto: basso e soprano, nel duetto, restano diversi, ma cercano un’armonia». Del resto la preoccupazione di Ravasi non va certo ai musulmani ma a quello che ha definito «l’apateismo, ovvero la banalità, l’apatia, l’assenza di volontà di confrontarsi con i valori che spesso coinvolge anche gli artisti».

 

Non quelli di quest’anno, visto che in questa edizione proprio quell’arte espressione del nichilismo modaiolo è stata messa — apparentemente — mezzo passo indietro.

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Oggi è atteso il ministro Dario Franceschini per l’assegnazione dei Leoni d’oro di questa edizione della Biennale d’arte e per l’inaugurazione ufficiale. La rassegna veneziana resterà aperta sino a novembre.

 

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