A PARTE CHE DOVE C’È BUSINESS INTERNAZIONALE, C’È STECCA MA IL CONFINE TRA MEDIAZIONE E TANGENTE È MOLTO LABILE - IL CASO SAIPEM-ALGERIA, SPARATO A NOVE COLONNE SOLO PER FAR “ABBASSARE” IL VERO SCANDALO MONTE DEI PASCHI (VEDI “REPUBBLICA”), NON È UNA SORPRESA: SI SA CHE I POTERI FORTI ANGLO-AMERICANI VOGLIONO FAR FUORI SCARONI, TROPPO ATTIVO E TROPPI AFFARI ENI-PUTIN…

1 - STORIE SOSPETTE NEL MONDO GRIGIO DEL PETROLIO E DEL GAS
Paolo Colonnello per "la Stampa"

Non è la prima volta che una grossa società petrolifera viene accusata di pagare tangenti all'estero e non sarà nemmeno l'ultima. Perché "così fan tutti". Certo Saipem, azienda specializzata nei servizi petroliferi, in particolare nella costruzione di impianti per il gas, sembra essersi abbonata alle indagini che periodicamente partono da Milano.

Dalla Nigeria al Kazakistan, non c'è appalto o commessa che non siano finiti sotto la lente della Procura, con il sospetto di tangenti internazionali spesso "a elastico", in modo cioè che una volta arrivate all'estero per oliare funzionari corrotti, torni sempre indietro qualcosa per soddisfare gli appetiti di certi manager nostrani. Ed è questo uno dei principali motivi che spinge la magistratura italiana ad aprire indagini sulle commesse all'estero.

Questa volta però, l'inchiesta milanese coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e condotta dai pm Fabio De Pasquale, Giordano Baggio e Sergio Spadaro, con l'iscrizione sul registro degli indagati di Bedjaoui Farid Noureddine, nipote dell'ex ministro degli esteri algerino e mediatore per le ricche commesse distribuite dalla Sonatrach, l'ente nazionale del petrolio di Algeri, rischia d'inserirsi involontariamente in una feroce lotta di potere tra il presidente Abdelaziz Bouteflika, esponente delle elite civili, e il generale Mohamed Mediene, detto Toufik, capo del famigerato Drs, il servizio segreto algerino.

Una guerra sotterranea combattuta in uno dei paesi più corrotti del mondo e con un grande deficit di democrazia in nome di un'unica partita: il controllo appunto della Sonatrach, un vero e proprio colosso che in un Paese dove il petrolio rappresenta il 98% delle esportazioni, determina in pratica l'intera economia magrebina ed è quindi la chiave delle faide politiche algerine nonché un motore di corruzioni e arricchimento notevole.

Basti pensare che grazie alla sua immensa ricchezza energetica, l'Algeria, considerato il terzo produttore di petrolio africano dopo Libia e Nigeria, ha riserve finanziarie per 200 miliardi di dollari. Tutto parte da un'inchiesta nel 2010 della magistratura di Algeri sulle commesse della società petrolifera, dopo una lettera aperta indirizzata ai servizi segreti algerini firmata da Hocine Malti, vicepresidente della Sonatrach dal 1972 al 1975 ed evidentemente ancora ben informato sulle attività dell'ente.

Malti, autore tra l'altro del libro «Historie secrète du petrol algerien», denuncia la lotta di potere tra il presidente e il Drs, si lamenta della corruzione dilagante e indica le "piste" più interessanti sulle quali i servizi dovrebbero indagare a proposito di Sonatrach.

Una riguarda le imprese spagnole Repsol e Gas Natural, per un appalto del 2006 di 3 miliardi di dollari. L'altra riguarda Saipem, chiamata in causa per una parte del progetto sottratto agli spagnoli e relativo alla costruzione di un impianto per la liquefazione di gas naturale ad Arzew, del valore di quasi 5 miliardi. Malti segnala anche che, nel 2009, la società dell'Eni ha vinto un altro contratto da oltre un miliardo di euro per la costruzione di impianti di produzione a Menzel Ledjemet.

Un mese dopo, parte l'inchiesta delle autorità algerine proprio su un contratto di Saipem per un appalto di 580 milioni di dollari relativo alla progettazione e realizzazione di una parte del gasdotto GK3 nel nord est dell'Algeria.

C'è un personaggio su cui si concentra l'attenzione prima dei magistrati algerini e poi di quelli italiani: si tratta di Reda Meziane, figlio del destituito Ceo di Sonatrach, Mohamed Meziane con cui Saipem avrebbe tenuto dei rapporti. E l'accusa, in Algeria, per la società italiana, almeno secondo quanto riportato dal quotidiano El Watan a dicembre (fonte Linkiesta, ndr) sarebbe di corruzione e riciclaggio di denaro attraverso indebiti vantaggi a favore, appunto di Reda Meziane.

2 - QUEL CONFINE TRA MEDIAZIONE E BUSTARELLA
Gianni Barbacetto per il "Fatto quotidiano"

Mediazioni. Ovvero provvigioni in denaro riconosciute a chi media grandi business, soprattutto sullo scenario internazionale. Ma dove finisce la legittima intermediazione d'affari e comincia la tangente, la stecca, la mazzetta, la busta, la cresta? E quando la tangente diventa cresta, con la retrocessione di parte della mediazione ai manager che l'hanno pagata per ottenere l'affare? Nel caso Saipem, il presidente dell'Eni Paolo Scaroni nega di aver partecipato ad alcuna manovra illecita e ricorda gli ottimi e stretti rapporti esistenti tra Italia e Algeria fin dai tempi di Enrico Mattei.

Eppure le cronache sono ricche di casi in cui la stecca ha varcato le frontiere. Su Finmeccanica è in corso un'inchiesta per corruzione internazionale, per una fornitura all'India di elicotteri italiani.

Un affaruccio di oltre 500 milioni, che secondo l'accusa avrebbe fruttato ai mediatori un premio di 51 milioni, il 10 per cento circa. Ma sentite che cosa ha detto al Fatto quotidiano l'ex presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini, rispondendo a Giorgio Meletti che gli chiedeva se per vendere sui mercati internazionali si pagano tangenti: "Può accadere, come per qualsiasi prodotto. Io non l'ho mai fatto, mi piace essere corretto".

Un mondo di onesti? "No. Ci sono le mediazioni pagate in modo ufficiale: a volte i mediatori chiedono percentuali alte, non so poi che cosa ne facciano", rispondeva Guarguaglini. Ma ci sono anche i manager che chiedono indietro al mediatore, estero su estero, una parte della provvigione? "Hai voglia", esclamava l'ex presidente. "La mia più grande preoccupazione è proprio che i mediatori offrano soldi indietro a chi glieli dà".

In questo campo, l'Italia ha una tradizione illustre. Un piazzista di lusso sul mercato internazionale era Vittorio Emanuele di Savoia, almeno secondo un'inchiesta del giudice Carlo Mastelloni, che negli anni Ottanta lo indicò (senza conseguenze giudiziarie) come mediatore, ben pagato, di armi ed elicotteri Agusta all'Iran dello Scià Reza Pahlevi, che fu evidentemente conquistato dalla buona qualità dei prodotti italiani, oltre che dal sorriso di Gabriella di Savoia.

Più recentemente, per corruzione internazionale è stato condannato (ma poi salvato dalla prescrizione) il braccio destro di Roberto Formigoni, Marco Mazarino De Petro: per i suoi traffici con l'Iraq di Saddam Hussein. Il dittatore iracheno concedeva generosi contratti petroliferi agli amici in giro per il mondo.

Tra questi, anche Formigoni, che passava le forniture ad aziende di area Cl, la Cogep Petroli e Nrg Oil, le quali "ringraziavano" i mediatori: la Cogep, per dire, sborsa tangenti per 942 mila dollari in Iraq e 700 mila ad amici italiani, che li incassano sui conti delle società estere riconducibili a De Petro e ai Memores Domini di Formigoni. Alle stesse società arrivano anche soldi pagati da Alenia (829 mila dollari) e da Agusta (50 mila euro). In queste storie, dice chi se ne intende, entrano mediatori e tecnici, manager e politici. Ma è un mondo difficile, come cantava Tonino Carotone. Si fa ormai fatica a intercettare le mazzette pagate in Italia, figurarsi le mediazioni sul mercato planetario.

 

 

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