ALITALIA-AIR FRANCE, 5 ANNI DOPO: ALLORA AVREMMO INCASSATO 2 MILIARDI, OGGI DOBBIAMO IMPLORARE I FRANCESI DI PRENDERSELA GRATIS - GRAZIE ALL’EGO DI BERLUSCONI E AGLI AFFARI DI PASSERA CON AIRONE DI TOTO

1. AIR FRANCE È GIÀ PRONTA A CRESCERE IN ALITALIA
Alessandro Barbera per "La Stampa"

In attesa dell'attuazione concreta del piano «Destinazione Italia», il governo ha di fronte a sé alcune questioni che metteranno alla prova la sua capacità di attrarre investimenti dall'estero. Una è il destino di Telecom e della sua alleanza con gli spagnoli di Telefonica. Un'altra ha il sapore beffardo del déjà vu. Qualcuno ricorderà la primavera del 2008. Sembra ieri, eppure sono passati cinque anni. L'allora capo dell'opposizione Berlusconi stava preparando la campagna elettorale. Alitalia era una compagnia a maggioranza pubblica e ad un passo dal fallimento.

Il governo Prodi aveva appena fallito l'asta competitiva che ne avrebbe dovuto permettere la privatizzazione. Peggio: al termine di un'infinita polemica su quale avrebbe dovuto essere l'aeroporto di riferimento della compagnia - se Fiumicino o Malpensa - Air France-Klm si ritirò poco prima di acquisirne il controllo. «Alitalia deve rimanere italiana», disse Berlusconi. E così si mise personalmente a cercare imprenditori e banche pronte a mettere qualcosa per la causa.

Li chiamarono «i capitani coraggiosi». I franco-olandesi, che non avevano abbandonato l'idea di andare a nozze con la cugina italiana, diventarono comunque primi azionisti con il 25%. L'accordo fra i soci prevedeva una clausola di blocco per cinque anni: nessuno avrebbe potuto cedere le proprie quote fuori dell'azionariato. Fra poco più di un mese, il 28 ottobre, quella clausola scade.

Lunedì Air France-Klm riunisce il consiglio di amministrazione. L'ordine del giorno - lo riferiva ieri Bloomberg - è se dire o meno sì all'acquisto del controllo di Alitalia. Oggi la sua quota in Alitalia vale meno di un terzo di quel che valeva allora e la compagnia italiana è nuovamente sull'orlo del baratro.

Non per demerito di chi l'ha guidata per la gran parte di questi cinque anni (Rocco Sabelli), ma perché quel piano aveva un clamoroso difetto: credere di poter restare autonomi mentre tutte le altre medie compagnie europee si fondevano in uno dei tre grandi poli, Air France-Klm, Lufthansa o British Airways. Dopo aver raccolto fra i soci - alcuni dei quali in guai giudiziari come Bellavista Caltagirone, Ligresti e Riva - meno di cento dei 150 milioni necessari a restare a galla, Banca Leonardo ha avuto mandato di cercare sul mercato altri 300 milioni.

Voci non confermate raccontano che sabato l'amministratore delegato Gabriele Del Torchio volerà ad Abu Dhabi per cercare di convincere Ethiad a farsi carico di parte dell'aumento di capitale. Ma secondo quanto riferiscono più fonti al momento solo i franco-olandesi - a loro volta colpiti dalla crisi - hanno dato disponibilità ad aumentare le proprie quote oltre il 25%.

C'è chi dice siano disponibili a salire al 35%, altri sostengono che lunedì il mandato del cda ai vertici si spingerà fino a proporre il pieno controllo di Alitalia. Tutto sembra andare nella direzione di un rafforzamento dei franco-olandesi. Giovedì il ministro delle Infrastrutture Lupi volerà a Parigi per incontrare il collega francese.

Lo stesso giorno il consiglio di amministrazione di Alitalia si riunirà per decidere il varo dell'aumento di capitale. «Air France ci dica con chiarezza cosa intende fare», diceva Lupi l'altroieri. Fonti dell'esecutivo riferiscono che «a certe condizioni» Palazzo Chigi non dirà no all'operazione.

Le condizioni sono la partecipazione alla governance del gruppo con la stessa dignità che fu riconosciuta agli olandesi: almeno un posto nel consiglio di amministrazione, il mantenimento della livrea e delle principali rotte intercontinentali dall'Italia. Le stesse condizioni poste cinque anni fa da Prodi.


2. ALITALIA: PERCHÈ IL PIANO AIR FRANCE ERA MIGLIORE DEL PIANO FENICE
Gianni Dragoni per "Il Sole 24 Ore" del 6 settembre 2008

È un confronto perdente, quello tra il piano Passera-Colaninno per la «nuova Alitalia» che è stato accolto con le fanfare dal Governo e l'offerta di acquisto presentata da Air France-Klm nei mesi scorsi, che fu affossata da Silvio Berlusconi in campagna elettorale e respinta dai sindacati.

In nessun aspetto la proposta attribuita alla cordata di 16 investitori della Cai, guidati da Roberto Colaninno, già scalatore di Telecom Italia nel 1999 con i soldi della stessa società, migliora il progetto francese. Anzi, numerosi appaiono i peggioramenti, per la compagnia e i lavoratori, per i consumatori, per i contribuenti, per creditori e azionisti.

Dalle informazioni disponibili si possono sollevare interrogativi che vanno ad aggiornare il decalogo pubblicato sul Sole 24 Ore il 25 luglio. Inoltre, non è comprensibile quali vantaggi rechi l'integrazione con AirOne, aviolinea privata in difficoltà che Intesa Sanpaolo ha voluto includere nella «nuova Alitalia».

1. I vantaggi dell'italianità
L'elemento da cui è partita l'opposizione politica e imprenditoriale al piano Spinetta era la mancanza di «italianità». Solo questa caratteristica - si disse - sarebbe stata una garanzia per i passeggeri nazionali, le imprese, il turismo, con il mantenimento di un maggior numero di voli intercontinentali e internazionali diretti. Ebbene, le destinazioni della «nuova Alitalia» saranno 65, inferiori alle 84 di Air France.

Ci sarà una concentrazione sul mercato nazionale ed europeo (dove si perdono più soldi per l'attacco delle low cost), con pochi collegamenti intercontinentali. I voli a lungo raggio della nuova società oscillano, secondo i primi annunci, tra 13 e 16 destinazioni, contro le 15 previste da Jean-Cyril Spinetta all'inizio e destinate ad aumentare. Per i passeggeri italiani aumenterà la necessità di fare scalo a Parigi, Francoforte o Londra per voli lunghi.

2. Flotta ridimensionata
La riduzione di attività è inevitabile poiché il piano postula che la compagnia derivante dall'integrazione di Alitalia con Air One abbia circa 139 aerei, cioè 100 in meno delle 238 macchine impiegate dai due vettori. Spinetta prevedeva un'Alitalia con 137 velivoli, circa 40 in meno della sua flotta. I francesi inoltre prevedevano di aggiungere un aereo di lungo raggio all'anno dal 2010. Non si conoscono gli impegni di Colaninno in proposito.

Poiché Alitalia già ha 175 aerei, più della flotta giudicata necessaria dal nuovo piano, a cosa serve aggiungere AirOne, con i suoi 60 aeroplani? L'aviolinea privata ha ordini per 60 nuovi Airbus 320 che consumano meno dei vecchi Md80 Alitalia. Ma il canone di leasing su questi aerei è molto più alto che sugli altri.

3. Monopolio
L'unione di Alitalia con il principale concorrente annulla quasi tutta la concorrenza sui cieli nazionali. La nuova società avrà mano libera nell'alzare le tariffe, con un beneficio di alcune centinaia di milioni sui conti. Fa sorridere chi sostiene che la concorrenza arriverà dal treno: l'alta velocità, quando arriverà, potrà forse essere un'alternativa sulla Roma-Milano, non sulle altre tratte. L'italianità, insomma, sarà pagata cara dai consumatori.

4. Impegni finanziari
Air France-Klm si era impegnata a versare dentro Alitalia Spa - la società oggi commissariata - almeno un miliardo entro giugno 2008, accollandosi anche circa 1,4 miliardi di debiti finanziari netti che invece il nuovo piano lascia nella bad company. Di fatto, l'impegno di Air France era di 2,4 miliardi circa. E non ci sarebbe stata una bad company da scaricare sullo Stato o sui creditori/azionisti.

La Cai ha annunciato un impegno fino a un miliardo. Per ora, i suoi soci hanno versato 160mila euro. E nell'«information memorandum» del Progetto Fenice si legge che il nuovo capitale versato «per cassa» dai soci entro il 2008 sarà di 800 milioni, «soggetto al verificarsi di talune condizioni sospensive». È da chiarire quale sarà la somma effettiva, comunque inferiore al miliardo.

Quanto a AirOne, lo stesso documento dice che, attraverso un aumento riservato, conferirà «taluni rami aziendali per un controvalore pari a 300 milioni», che porteranno il capitale a 1,1 miliardi. AirOne non mette soldi. Quali siano i «rami aziendali» il documento non lo precisa. Certo non aerei, perché i suoi jet sono in leasing.

L'impegno degli investitori «italiani» è meno della metà dei francesi. Resta un buco di almeno 1,4 miliardi nella bad company: debiti che verranno pagati dallo Stato (si stima per un miliardo), dai creditori, dagli azionisti.

 

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