IL CIOCCOLATINO ETRURIA - GLI UOMINI VICINO A ROSI, IL PRESIDENTE DEFENESTRATO: “GLI HANNO FATTO FARE IL LAVORO SPORCO, HA RIPULITO LA BANCA E ORA È PRONTA PER ESSERE VENDUTO A UN PREZZO IRRISORIO. BOSCHI ERA UNA ‘COPERTURA’ COL GOVERNO. RIVELATASI INUTILE”

Parla un “intimo” di Rosi, un cattolico a capo di una coop rossa: “Banca d’Italia fino al giorno prima diceva che tutto andava bene, e non ha impedito i finanziamenti sbagliati che oggi determinano il dissesto dell’istituto”...

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Giacomo Amadori per “Libero quotidiano

 

banca etruria banca etruria

La storia del commissariamento della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio si intreccia con quelle di un’importante cooperativa rossa e dell’ex presidente Lorenzo Rosi, 48 anni, laurea in Scienze economiche, da otto mesi alla guida dell’istituto. Rosi, uno dei sette consiglieri d’amministrazione confermati nel repulisti voluto dalla Banca d’Italia nel maggio scorso, è stato disarcionato con un colpo che il diretto interessato considera sotto la cintura.

 

«Il giorno prima delle dimissioni ero andato a Roma a Palazzo Koch» ha confidato a un noto professionista e vecchio amico: «Mi hanno detto vai avanti tranquillo». E invece alle 16 e 57 dell’11 febbraio i commissari di Bankitalia gli hanno chiesto di lasciare la stanza e gli hanno consegnato un decreto in cui gli contestavano un presunto conflitto d’interessi. Finanziamenti milionari alla cooperativa di costruzioni La Castelnuovese di San Giovanni Val d’Arno, di cui, sino al luglio scorso è stato presidente, oltre che dipendente di lungo corso. Un attacco grave alla sua credibilità.

LORENZO ROSI 2 LORENZO ROSI 2

 

«Se volevano la banca potevano chiedermi le chiavi e io gliele avrei date. Ma essere defenestrato così non mi sta bene». L’amico di Rosi chiede a Libero di conservare l’anonimato visti gli incarichi istituzionali che ricopre, ma ci tiene a dire due parole: «Gli hanno fatto fare il lavoro sporco, gli hanno chiesto di firmare delibere sino all’ultimo giorno e poi lo hanno scaricato. Lorenzo ha ripulito la banca e ora è un cioccolatino solo da scartare, pronto per essere venduto a un prezzo irrisorio non superiore ai 70 milioni».

 

E per fare il «lavoro sporco» è stato scelto un uomo delle cooperative rosse, di Legacoop. Infatti Rosi ha dovuto concordare con i sindacati 410 esuberi tra i lavoratori di Bpel e chiudere una trentina di filiali. Tutte operazioni che sicuramente poteva gestire con minore stress un banchiere «rosso» come Rosi.

 

POPOLARE ETRURIA POPOLARE ETRURIA

«Ma non scrivete che è comunista, perché non lo è» precisa il suo improvvisato portavoce. Infatti Rosi è stato per lunghi anni consigliere democristiano nella sua San Giovanni Val d’Arno, quando don Camillo e Peppone non militavano ancora insieme nell’Ulivo e nel Partito democratico. Rosi va a messa tutte le mattine e ha un fratello minore prete, don Francesco, ma la sua carriera è tutta legata al colosso «rosso» delle costruzioni.

 

Entra nel gruppo grazie al diploma di geometra (si laureerà solo successivamente), nel 1987 diventa responsabile tecnico, nel 1994 direttore, nel 1997, appena trentunenne viene nominato presidente. Succede al «compagno» Stefano Sani, deceduto in un incidente. Per molti la sua nomina è provvisoria, in attesa di trovare un candidato più ortodosso.

LORENZO ROSI LORENZO ROSI

 

Ma chi gli tifa contro non ha fatto i conti con il cambiamento: dal 1995 pidiessini e popolari si sono riuniti sotto l’Ulivo e anche un «baciapile» può guidare una coop rossa. Quindici anni dopo, i figli dei vecchi democristiani della Val d’Arno, i Renzi e i Boschi, si prenderanno tutto il partito.

 

Parallelamente, nel 2008 Rosi inizia la sua scalata a Bpel come consigliere d’amministrazione, nel 2013 è vicepresidente, nel 2014 presidente. Negli stessi anni un altro ex democristiano, Pierluigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena, sbarca nel cda dell’Etruria e con Rosi diventa vicepresidente: «Ma Boschi non è un banchiere. Doveva essere l’ombrello renziano in Bpel» ammette la gola profonda. Un parapioggia che non ripara un bel niente e che viene «dimissionato» dalla sera alla mattina esattamente come Rosi.

 

PIER LUIGI BOSCHI PIER LUIGI BOSCHI

«Eppure Lorenzo ha sempre fatto tutto quello che chiedeva Palazzo Koch e persino di più. Lo ripeto, ha fatto il lavoro sporco. Ma non solo quello. La prima delibera di Rosi è stata quella di dimezzarsi lo stipendio e per lo stress di 14 ore di lavoro giornaliere è uscito di strada con la sua auto personale (a quella blu ha rinunciato subito) salvandosi per miracolo». Ha persino smesso di fare i suoi 25 chilometri di bici giornalieri. Ma secondo Bankitalia ha concesso qualche finanziamento milionario di troppo alla sua vecchia coop e alle partecipate. Gli affidamenti diretti alla capogruppo ammonterebbero a 3 milioni e mezzo, mentre con le società collegate la cifra salirebbe di molto, si dice a 25 milioni.

 

davide serra matteo renzi maria elena boschi davide serra matteo renzi maria elena boschi

«Ho fatto tutto rispettando la legge e ho confermato alla Castelnuovese gli affidi che aveva già ricevuto in passato da Bpel» è lo sfogo raccolto da chi lo ha incontrato in questi giorni. La stessa accusa viene mossa a un altro ex consigliere del cda, il commercialista fiorentino Luciano Nataloni, pure lui democristiano, che della Castelnuovese è stato presidente del collegio sindacale e consigliere, come Rosi, di una partecipata (al 40 per cento): la Città di Sant’Angelo outlet, che ha realizzato un lussuoso centro commerciale in provincia di Pescara.

 

Gli incroci tra i due non sono finiti: Rosi è stato amministratore di Rekey, società del gruppo Castelnuovese che nel 2012 viene ceduta allo stesso Nataloni. Per entrambi Bankitalia ha deciso di approfondire l’osservanza o meno delle procedure previste dall’articolo 2391 del codice civile e dall’articolo 136 del Testo unico bancario, quelli che regolano il conflitto d’interesse.

 

BOSCHI RENZI BY BENNY BOSCHI RENZI BY BENNY

La legge prevede che quando si presenta questo rischio (per esempio nel caso dei finanziamenti alla Castelnuovese) «la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione» ed evidentemente questo non è stato fatto. Perlomeno nella precedente gestione. L’amico dell’ex presidente sbotta: «Perché Banca d’Italia così severa oggi con chi da sette mesi prova a rimediare ai guasti, non ha impedito in passato tutti quei finanziamenti sbagliati che oggi determinano il dissesto dell’istituto, a partire da operazioni lontanissime dal territorio e che al territorio non hanno portato altro che guai?».

 

Ignazio Visco Ignazio Visco

C’è un altro capitolo da chiarire che riguarda i rapporti tra Bpel e le coop. È uno degli argomenti inseriti nel fascicolo del procuratore di Arezzo Roberto Rossi, che si sta occupando della vendita del patrimonio immobiliare della banca a un consorzio capitanato dal gigante dell’immobiliare Manutencoop.

 

L’affare, a cui ha partecipato anche l’imprenditore Matteo Minelli, l’amico birraio del premier Matteo Renzi, aveva un valore di mercato di un’ottantina di milioni di euro e Manutencoop ha acquistato il 23,72 per cento delle azioni per un valore nominale di otto milioni di euro; Minelli il 7,14. Però un’ispezione di Banca d’Italia ha accusato il consorzio di essere «non terzo». Infatti la banca con una mano avrebbe venduto gli immobili e con l’altra avrebbe prestato i soldi agli acquirenti.

 

Carmelo Barbagallo Carmelo Barbagallo

L’ipotesi degli ispettori di Palazzo Koch è che si sia trattato di un’operazione di maquillage contabile. Da Manutencoop replicano fermi: «Noi abbiamo partecipato all’affare con 8 milioni di euro integralmente sostenuti con i nostri mezzi. Non abbiamo mai avuto rapporti di tipo finanziario con la banca dell’Etruria. E gli altri soci? Questo dovete chiederlo a loro».

 

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