1. A FORZA DI PROGRAMMARE LO SVILUPPO DELLA FIAT, MARPIONNE HA REALIZZATO IL DECLINO 2. DAL LIBRO “AMERICAN DREAM”: L’IMPULLOVERATO HA MANTENUTO IL 50% DELLE PROMESSE FATTE NEI SUOI 8 PIANI INDUSTRIALI E DELLE 64 NUOVE AUTO CHE VOLEVA LANCIARE NE HA REALIZZATE 33. VOLEVA PRODURRE 6 MILIONI DI VETTURE NEL MONDO, MA NEL 2012 NE HA COSTRUITE, CALCOLANDO ANCHE CHRYSLER E I CAMION IVECO, SOLO 4,4 MILIONI 3. FIAT LA CASSA INTEGRAZIONE! A CASSINO SI LAVORA DUE SETTIMANE AL MESE CON 3500 OPERAI (SU 3860). A POMIGLIANO D’ARCO IN CASSA 1391 PERSONE SU 4809. ALLA SEVEL 5800 PERSONE SU 6171. A MELFI NEL 2013 I 5575 DIPENDENTI PIÙ DI TRE MESI DI CASSA

Esce venerdì "American Dream - Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat", di Marco Cobianchi (Chiarelettere). Anticipiamo un brano dal capitolo "Tante promesse, altrettante bugie".

Il carosello dei piani industriali
Cosmopolita e poliglotta, lavoro-dipendente e meticoloso, spaventosamente ambizioso e ancora di più tenace. La vita privata viene sempre «dopo» e pretende che sia lo stesso anche per i suoi manager, costretti non solo a trascorrere un weekend al mese chiusi in riunione con lui, ma anche a vedersi le partite dell'Italia ai mondiali del 2006 e 2010 a casa sua, in Svizzera.

L'iperattivismo di Marchionne lo si nota soprattutto dalla frequenza con cui presenta i suoi piani industriali.1 Alla Fiat, infatti, non si sono mai prodotte tante slide come con lui. Tra il 2004 e il 2013, lo abbiamo visto, la società presenta ben otto piani. L'inchiostro non fa in tempo ad asciugarsi che subito le stampanti del Lingotto ne producono uno nuovo pieno di grafici, freccette, disegni delle auto che si intende produrre nei tre-quattro anni successivi. Tuttavia, ogni volta che ne presenta uno, nessuno si accorge che le promesse che contiene sono scritte sulla sabbia poiché pochi mesi prima ne aveva già presentato un altro e pochi mesi dopo ne avrebbe illustrato un terzo. Tutti diversi.

Nel primo piano industriale, quello dell'agosto 2004, dal titolo «The New Fiat Group: A Commitment to Execution», Marchionne promette il lancio di dieci modelli in tre anni.
Passano dodici mesi e ne garantisce diciassette nei successivi quattro anni, più tredici restyling insaporiti da 9,55 miliardi di investimenti per il settore auto. Alla presentazione del terzo piano industriale, nel novembre del 2006, vengono invitati, per la prima volta, anche operai e impiegati. I miliardi da investire salgono a sedici e i modelli scendono a quindici. Inoltre, per il marchio Alfa, promette cinque nuovi modelli: ne arriveranno due e «mezzo» perché dell'8C Competizione verranno prodotti appena cinquecento esemplari.

Il quarto piano industriale, quello del 2009, riguarda soprattutto le attività americane della Chrysler e, sempre in quell'anno, a tre giorni dal Natale, Marchionne presenta lo spettacolare «Piano per l'Italia», che prevede addirittura trenta nuovi modelli in ventiquattro mesi e 8 miliardi di euro di investimenti nell'Auto.

Ma è ancora niente: quattro mesi dopo decide di esagerare e illustra quello che definisce «il più straordinario piano industriale che il nostro paese abbia mai avuto», ovvero l'indimenticabile «Fabbrica Italia», che provocherà la spaccatura tra i sindacati, il referendum di Pomigliano e l'uscita della Fiom dalle fabbriche Fiat.

Quel piano è oltre il limite della fantascienza: prevede addirittura 20 miliardi di investimenti per triplicare la produzione italiana di auto e arrivare a vendere, insieme a Chrysler, ben 6 milioni di vetture nel mondo con addirittura quarantasette novità da lanciare sul mercato. Dopo appena quattordici mesi, «Fabbrica Italia» viene ritirato e Marchionne ripiega su un ben più modesto piano industriale (il settimo) che prevede il lancio di due Suv, peraltro mai visti.

Con l'ottavo piano, presentato il 30 ottobre 2012, si abbassanoi target di vendita: da 6 milioni di auto si scende a 4,6, massimo 4,8, e i modelli da lanciare calano a trenta. Sui miliardi di investimenti Marchionne preferisce soprassedere.

Aiuto, si è ristretta la Fiat
A forza di programmare lo sviluppo della Fiat, Marchionne ne ha realizzato il declino. Ha mantenuto circa il 50 per cento delle promesse fatte nei suoi otto piani industriali e delle 64 nuove auto che voleva lanciare3 ne ha realizzate 33.4 Voleva produrre 6 milioni di vetture nel mondo, ma nel 2012 ne ha costruite, calcolando anche Chrysler e i camion Iveco, solo 4,4 milioni.

Nel frattempo, nell'arco del 2013, in Europa sono state immatricolate 11.850.905 auto, di cui 724.283 vetture del gruppo Fiat, pari a una quota di mercato del 6,1 per cento. Ma questa percentuale comprende anche i veicoli venduti dalla Fiat in Italia, pari a 374.217 unità. Significa che, se si esclude il mercato interno, la quota di vendita della Fiat nel resto d'Europa è di appena il 3,3 per cento. Per soddisfare la domanda del vecchio continente sarebbe sufficiente la fabbrica polacca di Tychy, che da sola produce quasi 800.000 auto l'anno.

Anche le fabbriche non se la passano affatto bene: nel 2004 a Mirafiori erano attive cinque linee di produzione e dallo stabilimento uscivano sette modelli di auto, dal 2013 c'è una sola linea e un solo modello: l'Alfa Romeo MiTo, il cui assemblaggio richiede solo tre giorni di lavoro al mese da parte di 1547 persone mentre altre 2900 sono in cassa integrazione.

A Melfi si produce la Punto, ma nel 2013 tutti i 5575 dipendenti hanno fatto più di tre mesi di cassa integrazione, che proseguirà fino alla fine del 2014 per permettere la ristrutturazione dell'impianto che dovrà assemblare la Fiat 500X e la piccola Suv della Jeep, la Renegade.

A Cassino si lavora due settimane al mese con 3500 operai (su 3860) in cassa integrazione. Lì si produce l'Alfa Romeo Giulietta oltre alla Bravo e alla Lancia Delta, che però sono due modelli arrivati ormai alla fine del loro ciclo di vita. A Pomigliano d'Arco è presente la catena di montaggio della nuova Fiat Panda e la cassa integrazione riguarda 1391 persone su 4809. Alla Sevel la cassa integrazione riguarda 5800 persone su 6171.

Molto meglio gli stabilimenti dove si producono auto premium: alla Maserati di Grugliasco, dei 1970 operai solo 102 sono fermi; alla Maserati di Modena, dei 631 dipendenti nessuno ha fatto un solo giorno di cassa integrazione, così come i 2487 della Ferrari. Solo che le vendite delle auto prodotte in questi tre stabilimenti, nel 2013, sono state di appena 22.300 esemplari.

 

 

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