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“CON I FRANCESI PEGGIO CHE CON TANZI” – I RAPPRESENTANTI DEGLI AZIONISTI DI MINORANZA PARMALAT STRONCANO LA LACTALIS: “COME GOVERNANCE SIAMO PEGGIORATI. FANNO ANDARE MALE IL TITOLO IN BORSA E NON C’E’ TRASPARENZA”

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1 - PARMALAT: AMBER, GOVERNANCE PEGGIORE CHE CON TANZI

 

(ANSA)

 

"Andando a rivedere quanto successo negli ultimi 4 anni e mezzo" sotto la gestione di Lactalis "riteniamo che la situazione attuale di Parmalat possa essere considerata, con esclusivo riferimento alla corporate governance e con le debite proporzioni, addirittura peggiore rispetto all'era Tanzi". Lo ha detto il rappresentante di Amber, Arturo Albano, contestando in assemblea, assieme ai rappresentanti di altri fondi, la 'stretta' imposta dai dai francesi ai diritti delle minoranze.

 

 

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"Quanto successo nella vecchia Parmalat, è stato possibile anche perché mancavano adeguate tutele e strumenti di garanzia per gli azionisti di minoranza" mentre "queste tutele sono invece previste dallo statuto attuale di Parmalat e l'azionista di maggioranza - con l'ausilio del consiglio di amministrazione - vuole eliminarle". Si tratta di una scelta "incomprensibile" soprattutto alla luce delle "gravissime irregolarità commesse dal Cda" a danno delle minoranze e a vantaggio di Lactalis che Amber ha denunciato al collegio sindacale, dopo essere entrata in possesso degli atti d'indagine della Guardia di Finanza relativi all'acquisizione di Lag dai francesi.

 

 

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Al riguardo Albano ha ricordato che "è stata ritardata volontariamente la dichiarazione di soggezione della società a direzione e coordinamento" da parte dei francesi "pur essendo previsto che Parmalat già dal 2011 dovesse chiedere l'autorizzazione preventiva a Lactalis per ogni spesa superiore ai 50 mila euro", ingannando anche le autorità di vigilanza. Così il cash pooling, che dava a Lactalis la gestione della liquidita di Parmalat, "è stato realizzato nell'ambito di un rapporto di direzione e coordinamento e ad esclusivo vantaggio dell'azionista di maggioranza" mentre "al mercato e alle autorità di vigilanza è stata fornita una rappresentazione diversa".

 

 

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Infine, per quanto riguarda l'acquisto di Lag, dall'inchiesta della Procura di Parma è emerso che "alcuni amministratori" di Collecchio "hanno agito scientemente a danno di Parmalat per avvantaggiare Lactalis, aumentando quanto più possibile il prezzo di acquisto di Lag". "In questo contesto - ha spiegato Albano - ci pare che le disposizioni statutarie fino ad oggi in vigore siano tutt'altro che anacronistiche (come definite dal Cda nella relazione all'assemblea, ndr) e inutili ma rispondano piuttosto a specifiche tematiche di governance che sono tutt'oggi molto attuali".

 

 

2 - PARMALAT: AMBER, LACTALIS LA FA ANDARE MALE IN BORSA

 

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 (ANSA)

 

 L'andamento "deludente" di Parmalat in Borsa va "ad esclusivo vantaggio" di Lactalis "che ha tutto l'interesse ad avere un prezzo del titolo basso, così da poter comprare azioni sul mercato a sconto significativo rispetto al valore intrinseco" della società. Lo ha evidenziato il rappresentante di Amber, Giorgio Martorelli, sottolineando che i francesi, dopo l'opa del 2011, "hanno acquistato altre 163 milioni di azioni", pari circa al 9% del capitale, "ad un prezzo medio di 2,4244 euro per azione, pari a circa il 6,75% in meno" di quanto pagato con l'opa.

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Secondo Amber per "poter acquistare a prezzi bassi" Lactalis ha imposto "operazioni dannose con parti correlate" e ha ridotto il "livello di trasparenza della società", con la conseguenza che sempre meno analisti seguono la società, abbandonata recentemente da "Equita, Exane e Banca Aletti". Martorelli ha ricordato che Parmalat vale oggi il 7,5% in meno di quanto Lactalis aveva pagato nell'opa di cinque anni fa e che in questi anni i competitor "hanno performato molto meglio" di Parmalat e trattano a multipli di borsa più alti.

 

 

3 - LACTALIS E PARMALAT: STORIA DI UN MATRIMONIO PROBLEMATICO

 

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Simone Filippetti per ''Il Sole 24 Ore''

 

Dopo 4 anni, lo spettro di Lag torna ad agitare le acque, già peraltro molto mosse, di Parmalat. Lactalis, il gigante alimentare europeo padrone del più famoso marchio italiano del latte, si prepara a spegnere 5 candeline in Italia. Ma non è un compleanno sereno, rovinato dagli strascichi di un'operazione molto contestata, e finita anche sotto la lente dei magistrati.

 

 

Parmalat, nel 2012, ha pagato 900 milioni di dollari (poi scesi a 770) per comprare dalla stessa Lactalis la società americana Lag. Fin dall'annuncio, il mercato si spacca: le minoranze gridano allo scippo del «tesoretto» di Parmalat, 1,4 miliardi di liquidità all'epoca. Da Collecchio hanno sempre difeso la decisione come un'operazione industriale che ha creato valore.

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Ma oggi, all'assemblea degli azionisti, il collegio sindacale, con un presidente peraltro dimissionario, dovrà raccontare quello che sa su quella che ormai è una telenovela. Il fondo attivista Amber, socio di minoranza che da anni ha ingaggiato una battaglia con Lactalis, è tornata a dichiarare guerra con un nuovo, e più pesante, esposto. DeJaVù si dice in francese, lingua che in Parmalat hanno imparato a parlare.

 

 

Lag è stata un'operazione pensata e nata in un potenzialmente enorme conflitto di interessi: il compratore, ossia Parmalat, è di proprietà dello stesso venditore, Lactalis che si auto-vende un asset dal quale ricava presiosa liquidità. La polemica finì in Tribunale perché Amber denunciò l'operazione alla Consob (ex articolo 2409 codice civile) e partì un'indagine della Procura di Parma che si è chiusa con la vittoria di Parmalat (per la parte civile), ma anche uno sconto sul prezzo.

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Ma la battaglia non è ancora finita: è ancora in piedi il filone penale, che nel frattempo è stato trasferito da Parma a Roma (il reato ipotizzato è ostacolo alla vigilanza). E ora emergono dettagli inediti: l'informativa della Guardia di Finanza di dicembre 2014 (basata su scambi di email), che Il Sole 24 Ore ha potuto consultare, ricostruisce un quadro con molte ombre. Quella tra Lactalis e Parmalat appare come una relazione ambigua, dove il confine tra le due aziende (e I relativi interessi) è spesso indistinguibile e dove manager come Antonio Sala, all'epoca proconsole di Lactalis in Italia e (oggi ex) consigliere di amministrazione di Parmalat, hanno un ruolo controverso.

 

 

Lactalis e la “cassa comune” con Parmalat

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Dopo appena 100 giorni dalla scalata dei francesi a Collecchio, Parmalat annunciò che avrebbe aderito al meccanismo di cash pooling della galassia Lactalis, ossia la condivisione della tesoreria. Un sistema molto diffuso tra le multinazionali, ma che di fatto, sostiene la Gdf, consegnava la cassa della ricca Parmalat nelle mani dell'indebitata Lactalis.

 

 

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Da più parti erano stati sollevati dubbi su questa pratica: per prima la stessa Mediobanca, la banca d'affari che aveva affiancato la schiva famiglia Besnier proprietaria di Lactalis nell'assalto a Parmalat. In una informativa, rivelano le indagini, Alberto Rosati, top banker (ora uscito dall'istituto) fa notare che l'operazione «non sarebbe conforme alle politiche di tesoreria di Parmalat, che ha criteri molto prudenziali», tanto che mettere la liquidità in comune si sarebbe configurato come «un finanziamento di Parmalat a Lactalis».

 

 

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Soldi con cui i francesi avrebbero rimborsato, temporaneamente, il debito della scalata, pari a 1,25 miliardi, in scadenza l'anno successivo (luglio 2012). Il debito è un problema per Lactalis: già a fine settembre 2011, pochi mesi dopo l'Opa, sempre Mediobanca aveva avvertito in modo esplicito il collegio sindacale di Parmalat che Lactalis sarebbe dovuta “ricorrere a operazioni di finanza straordinaria” per rimborsare i prestiti ottenuti per comprare Parmalat medesima, ossia vendere pezzi di azienda per trovare liquidità.

 

 

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Anche Mario Stella Richter, allora presidente del collegio sindacale, aveva fatto notare che il cash pooling avrebbe di fatto reso Parmalat assoggettata alla direzione e coordinamento di Lactalis (un punto cruciale su cui si parlerà più vanati).

 

 

Come finanziarsi, dunque? La Guardia di Finanza sembra non avere dubbi: i francesi avrebbero fatto comprare Lag a Parmalat per entrare in possesso della sua liquidità. Passano 8 mesi e a maggio 2012 ecco che arriva l'annuncio che Parmalat acquista Lag dalla casamadre.

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A Collecchio però hanno aspettato un anno dall'arrivo di Lactalis per ufficializzare, solo a luglio 2012, che Parmalat è sotto il controllo e direzione dei francesi. Ossia che i francesi non solo sono l'azionista di maggioranza, ma che di fatto gestiscono l'azienda, quindi secondo i loro interessi.

 

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Si fa tautologia, a prima vista: Lactalis aveva comprato con l'Opa l'83% di Parmalat, diventandone il padrone assoluto. Ma la tempistica ha delle conseguenze: l'ufficialità giuridica di una Parmalat assoggettata a Lactalis è arrivata due mesi dopo l'operazione Lag. Quindi, quando Parmalat compra la “cugina” americana dal suo stesso azionista lo fa in maniera formalmente autonoma, senza conflitti di interesse. Possono sembrare sofismi di governance, ma sono dettagli decisivi.

 

 

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Perché la Guardia di Finanza avrebbe anche scoperto che Parmalat non poteva fare quasi nulla senza l'ok di Lactalis, tantomeno un'operazione monstre da 900 milioni. Fin dal novembre 2011, i manager di Collecchio dovevano farsi autorizzare da Laval (sede di Lactalis)qualsiasi spesa sopra i 50mila euro, briciole per una multinazionale come Parmalat.

 

 

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Sia per scegliere la società di revisione (per la Due Diligence su Lag, il 2 aprile 2012), sia per decidere quanto pagare i legali D'Urso Gatti Bianchi (il 3 dicembre 2011), dalle email si apprende che a Parmalat non possono decidere in autonomia. A una proposta di un compenso per gli avvocati (tra cui Francesco Gatti all'epoca nel cda di Parmalat), Sala risponde: «Fai 300 (mila euro, Ndr) , anche se devo parlare ancora con Besnier (Emmanuel Besnier il patron di tutta Lactalis, Ndr)».

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