GIOCARSI LA FACCIA SULLA GRECIA - L’ECONOMISTA ANGEL UBIDE ACCUSA STIGLITZ E KRUGMAN DI “TIFARE” PER LA FINE DELL’EURO, ANCHE DOPO L’ACCORDO TRA ATENE E I CREDITORI, SOLO PER UNA QUESTIONE DI EGO: VOGLIONO VEDER REALIZZATE LE LORO PREVISIONI

Entrambi i Nobel continuano a prevedere una rottura dell’accordo e dell’euro: hanno buoni argomenti, ma li presentano in modo così martellante da far sospettare un filo di impazienza - In fondo, se il peggio accadesse, non farebbe che avvallare il fatto che le loro idee neo-keynesiane contro i sacrifici di bilancio erano corrette...

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Federico Fubini per il “Corriere della Sera

 

VAROUFAKIS STIGLITZ VAROUFAKIS STIGLITZ

Nei manuali di storia, l’esempio classico di «proxy war» è il Vietnam: una guerra in cui le potenze internazionali decidono di mettersi in gioco perché dietro il destino di un Paese vedono una posta in gioco più vasta. Allora era l’avanzata del comunismo in Asia. Oggi, probabilmente, gli storici dovrebbero aggiornare i loro testi sulle «proxy war», le guerre combattute per procura, al caso fortunatamente incruento della Grecia.

 

Come nell’Indocina degli anni 60 e 70, anche qui il destino di una nazione finisce per essere subordinato alle ideologie di ciascuna delle forze esterne o all’ego di questo o quel celebre intellettuale schierato. Anche qui, come in Vietnam, lo stato di «proxy war» è così evidente che in Paesi lontani i premi Nobel o i semplici cacciatori di voti a buon mercato finiscono per invaghirsi di una delle parti in causa prima di capire esattamente la realtà sul terreno e i suoi protagonisti.

PIKETTY STIGLITZ KRUGMAN PIKETTY STIGLITZ KRUGMAN

 

La definizione di «proxy war» per la Grecia è di Angel Ubide, un economista del Peterson Institute di Washington di recente entrato a far parte del gruppo dirigente del partito socialista spagnolo. In un blog post (www.piie.org), senza fare nomi, Ubide prende di mira i grandi economisti liberal americani: premi Nobel come Joseph Stiglitz o Paul Krugman, che prima hanno raccomandato ai greci di votare «No» all’accordo europeo e ora cercano di rimodulare il loro messaggio, dopo che Atene ha accettato condizioni più amare di quelle respinte nel referendum. Entrambi, accusa implicitamente Ubide, tifano per la frattura dell’euro solo perché essa confermerebbe le loro previsioni.

KRUGMAN TSIPRAS KRUGMAN TSIPRAS

 

Non è sempre facile, quando ci si schiera. Di recente Krugman ha affidato alla Cnn una confessione: non se l’aspettava. «Ho avuto uno choc — ha ammesso —. Non mi era passato per la testa che quelli del governo greco potessero prendere una posizione così dura senza un piano di riserva».

 

Krugman non ha spiegato cosa l’avesse indotto a supporre che davvero i governanti di Atene avessero la capacità di condurre una conversione monetaria in pochi giorni. Ma chissà che proprio su questo punto Stiglitz, in visita l’altro giorno ad Atene, non abbia offerto consigli al nuovo ministro delle Finanze greco Euklid Tsakalotos.

 

paul-krugman paul-krugman

Stiglitz per parte propria non ha confessato alcuno «choc». Ed entrambi i Nobel continuano a prevedere una rottura dell’accordo e dell’euro: hanno buoni argomenti, ma li presentano in modo così martellante da far sospettare un filo di impazienza. In fondo, se il peggio accadesse, non farebbe che avvallare il fatto che le loro idee neo-keynesiane contro i sacrifici di bilancio erano corrette. Così la Grecia sa diventando per alcuni l’occasione della vita di far prova di una mente supe riore.

 

ANGEL UBIDE ANGEL UBIDE

Per questo Ubide parla di «proxy war» e nessuno quanto uno spagnolo in effetti ne capisce i riflessi. Non ci sono solo Krugman e Stiglitz. In autunno in Spagna si vota e per la prima volta un partito anti-sistema, Podemos, corre per vincere. Pablo Iglesias, il suo leader, si è affacciato nelle piazze di Atene nella campagna che sei mesi fa ha portato Syriza e Alexis Tsipras al governo. Più ancora di Beppe Grillo, apparso in piazza Syntagma solo la domenica del referendum, Iglesias ha legato la sua credibilità a quella dell’esperimento ellenico. E di fronte alla capitolazione di Tsipras a Bruxelles, solo oggi Iglesias ricorda che in fondo la Spagna è diversa dalla Grecia.

 

MERKEL TSIPRAS MYKONOS MERKEL TSIPRAS MYKONOS

Ma ormai è tardi. Da un pezzo la Grecia vive un proprio dramma, e insieme funge da simbolo di qualcos’altro per qualcun altro. Per questo va esaltata o punita, in ogni caso con poca attenzione alla sorte dei suoi abitanti. Un rapporto di Jp Morgan del 17 luglio lo esprime con una velata critica a Berlino: «Il solo obiettivo che ci permetta di comprendere l’atteggiamento dell’Europa — scrivono gli analisti della banca americana — è che mettere sotto pressione la Grecia rende più probabile che altri Paesi restino allineati».

 

Se è vero, sarebbe un altro esempio di «proxy war»: per alcuni imporre un accordo punitivo su Atene serve perché a Madrid o a Roma gli elettori non si lascino tentare dagli alleati di Tsipras; per altri, plaudire a un governo che ha portato nuova sofferenza ai suoi cittadini aiuta perché il successo di Syriza giova ai suoi emuli in Spagna o in Italia.

 

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In ogni caso la preoccupazione per 11 milioni di greci viene dopo, perché la Grecia ormai è politica interna per tutti. Le cose ovviamente sono più complesse, in un Paese obbligato a scendere a duri patti con i creditori per poter vivere. «Ci scusiamo con i marxisti di tutto il mondo per aver rifiutato di commettere suicidio — nota il blogger Alex Andreou — So che avete sofferto, dai vostri sofà».

 

 

 

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