IOR, MAMMETA E TU - IN NOME DELLA TRASPARENZA SONO GIÀ STATI CHIUSI SETTECENTO CONTI LAICI PRESSO LA “BANCA DI DIO” MA ORA SOTTO ESAME C’È IL TESORO DEGLI ISTITUTI RELIGIOSI - SI PARLA DI OLTRE UN MILIARDO DI EURO

Andrea Greco e Paolo Rodari per “la Repubblica”

 

VATICANO, SEDE IORVATICANO, SEDE IOR

L’accordo fiscale in arrivo tra l’Italia e il Vaticano ha un importante annesso: prepara il terreno perché lo Ior, la banca del Papa, torni interamente nel solco della Chiesa. Una banca trasparente che intermedia il denaro di chiese locali, congregazioni, singoli ecclesiastici in tutto il mondo. Tutti gli altri, privati cittadini che hanno usato il privilegio vaticano per evadere il fisco, o architettare operazioni criminose, dovranno passare per una delle tre porte vaticane e mettersi in regola.

 

Molti di loro sono italiani: in base a dati dell’Istituto opere di religione, del luglio scorso, circa 3mila conti correnti erano stati chiusi per la decisione di restringere i paletti che danno diritto a esserne clienti (presa l’anno prima). Di questi 3mila, 755 erano di clienti “laici”. Quel che rimane nei conti dello Ior aperti, circa 19mila, si stima ammonti a una dozzina di miliardi di euro tra beni in gestione e depositi.

 

bertone IOR bertone IOR

Ma anche su questo ammontare, si stima che un 10-15% delle somme non sarebbe perfettamente regolare: oltre un miliardo dunque. «Spesso sono depositi cresciuti perché venivano accreditati interessi di attività delle congregazioni e chiese locali, ma senza dichiararlo correttamente nei paesi d’origine, quindi su quei frutti non sono state pagate imposte», racconta un esponente della finanza vaticana.

 

Spesso si tratta di situazioni difficili, perché ogni congregazione o istituto religioso agisce in modo differente. Vi sono, ad esempio, istituti che hanno ospedali all’estero che fanno profitto e che per questo profitto pagano le tasse nel paese in cui gli ospedali hanno sede. Questo profitto, versato su un conto Ior, viene poi mandato, magari in parte, in Africa per aiutare un centro profughi o altre realtà.

 

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Per quattro quinti di quel miliardo “irregolare”, comunque, si tratta di affari (e di mancate tasse) dello Stato italiano. «È stato depositato in forma sbagliata — racconta la fonte — o perché in seguito a donazioni si permetteva di aprire conti a gente che non ne aveva il diritto, o perché i soldi arrivavano come devoluzioni, poi si scopriva che non erano tali. Ora serve un accordo tra stati sovrani per sanare la situazione, e trovare un meccanismo di rimpatrio». Rimpatriare denaro dai paradisi fiscali è infatti illegale, complesso e rischioso, se mancano norme di passaggio.

 

Uscire dal Vaticano con la classica “valigetta” dà molto nell’occhio, e in caso di controlli della Guardia di finanza potrebbe mettere a rischio anche i vertici dell’istituto. Né è possibile farsi trasferire, tout court, i soldi su un’altra banca, perché scatterebbe automaticamente l’avviso alla vigilanza, e da lì alla procura. Per queste ragioni, si potrebbe scommettere che quei 755 conti laici chiusi fin qui abbiano visto i fondi involarsi in altri paradisi fiscali; magari quelli asiatici, non ancora sfiorati dal vento riformatore che sta facendo cadere i muri del segreto in Svizzera, Lichtenstein, Monaco.

 

SEDE DELLO IOR SEDE DELLO IOR

Presto cadrà anche il muro della banca vaticana, dove in passato si è contrabbandata la libertà della libera chiesa, garantita dai Patti lateranensi, con quella di rendere i soldi opachi e invisibili. «Si è scambiata la riservatezza con la segretezza», dice la fonte. E segreto poteva voler dire illecito. Sui conti dello Ior Roberto Calvi e Paul Marcinkus intrecciarono la rete di società fantasma protagoniste della finanza d’assalto degli anni Ottanta. Su un conto allo Ior Luigi Bisignani fece transitare i 108 miliardi di lire in Cct serviti a pagare la maxi tangente Enimont ai partiti della Prima repubblica.

 

marcinkus-wojtylamarcinkus-wojtyla

Sono passati 25 anni, papa Benedetto XVI e papa Francesco hanno aperto alla riforma dei costumi e delle finanze vaticani. E anche fuori dalle mura leonine molto è cambiato: la minaccia terrorista e la crisi economica hanno tolto all’Occidente la voglia e il lusso di mantenere paradisi fiscali nei propri confini. Il Vaticano, anche se per motivi meno prosaici degli altri, rimane per certi aspetti uno di questi.

 

«Anche per lo Ior servirà una sorta di scudo — spiega un banchiere che conosce bene la materia —, che regolarizzi gli errori e le sviste del passato». Ed è principalmente per arrivare a delle linee guida che permettano al Vaticano e all’Italia di sapere come comportarsi che l’accordo annunciato da Matteo Renzi e confermato ieri da padre Lombardi è in dirittura d’arrivo.

 

IL GIORNALE PUBBLICA L'INTERVISTA A PAOLO CIPRIANI - DIRETTORE GENERALE DELLO IOR - CON LA FOTO DI PAOLO CIPRIANI - DG DI ACLI TERREIL GIORNALE PUBBLICA L'INTERVISTA A PAOLO CIPRIANI - DIRETTORE GENERALE DELLO IOR - CON LA FOTO DI PAOLO CIPRIANI - DG DI ACLI TERRE

Qualsiasi sia l’esito della trattativa, una cosa è certa: i tempi in cui il Vaticano negava una risposta alle rogatorie e alle informazioni è finito. Il percorso di trasparenza è ormai ineludibile, e molto lo si deve a Benedetto XVI, che per primo istituì l’Aif, l’autorità d’informazione finanziaria che vigila su eventuali irregolarità all’interno delle finanze vaticane. La strada della trasparenza nello Ior riguarda anche il settore nomine.

 

Da ieri, infatti, la «banca vaticana» ha un nuovo vicedirettore: è stata formalizzata da parte del Consiglio di sovrintendenza dell’Istituto (il board laico) la nomina di Gianfranco Mammì all’incarico vacante dal 2013, da quando cioè è uscito di scena Massimo Tulli, a motivo dell’inchiesta che lo aveva coinvolto insieme all’allora direttore generale Paolo Cipriani.

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