JUVENTUS BRUCIATA - LA ZEBRA DI FAMIGLIA: PER APRIRE IL PORTAFOGLI IL PRESIDENTE ANDREA AGNELLI (36 ANNI) DEVE INGINOCCHIARSI AI PIEDI DEL CUGINO JOHN (DETTO "JAKI", PIÙ GIOVANE DI 4 MESI) PIAZZATO AL VERTICE DI FIAT, E MAGARI ANCHE AL CONFRATELLO 33ENNE LAPO, TIFOSO APPASSIONATO - ORMAI ALLE ULTIME BATTUITE LA FIAT IN ITALIA, LA JUVE E’ VITALE PER L’ULTIMO AGNELLI - LA DURA RICONQUISTA DELLA GLORIA DOPO L’ERA MOGGI…

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Gianfrancesco Turano per "l'Espresso"

andrea agnelli foto mezzelani gmtandrea agnelli foto mezzelani gmt

È in libreria "Fuorigioco" di Gianfrancesco Turano, che racconta il potere in Italia attraverso dieci ritratti di presidenti di club di serie A. Ecco un estratto del capitolo su Andrea Agnelli, dalla primavera 2010 numero uno della Juventus. La squadra bianconera è campione d'inverno 2011-2012 dopo una serie di stagioni deludenti e forti perdite finanziarie.

La Juventus è una storia di famiglia. Nessuna squadra in serie A e nessun club di primo piano al mondo hanno un legame così antico con la proprietà. Gli Agnelli sono i padroni della società bianconera dal 1923. Circa novant'anni e parecchi scudetti dopo, alla guida della Juve c'è ancora un Agnelli, Andrea, unico maschio della sua generazione a portare il cognome del capostipite. Il trentaseienne presidente dello Juventus Football Club è un rappresentante del ramo cadetto della famiglia.

Questa situazione ha una conseguenza sostanziale sulla gestione del club: per finanziare la Juventus - com'è accaduto con l'aumento di capitale da 120 milioni di euro deciso a giugno del 2011, dopo quattro anni di disastri sportivi e finanziari - Andrea Agnelli deve avere l'autorizzazione del cugino John, detto "Jaki", più giovane di quattro mesi. E magari anche quella di Lapo, tifoso appassionato. La Juventus dunque non è solo una storia di famiglia, ma è la storia di un rapporto dialettico, spesso di contrapposizione, fra due gruppi. Da una parte l'Avvocato e adesso i suoi nipoti. Dall'altra il Dottore, Umberto, e adesso i suoi figli.

John ElkannJohn Elkann

Guidare la Juve con successo è considerata la premessa per guidare il gruppo Fiat con successo. Anche perché la Fiat è stata per decenni l'azionista diretto della squadra, prima di passare il controllo alle finanziarie Ifi-Ifil, sparite nel 2009 per essere incorporate da Exor, attuale proprietaria dei bianconeri con il 60 per cento e della Fiat con il 30 per cento.

Nei vari riassetti del potere familiare guidare la Juve è rimasto il rito di passaggio per eccellenza, che solo per l'ultima generazione è stato affiancato da un periodo alla catena di montaggio sotto anonimato in mezzo agli operai italiani o polacchi. È un classico: il principe gentile si traveste da plebeo per conoscere e alleviare le sofferenze del suo popolo. La Juve no, non c'entra con la gentilezza. Alla Juve bisogna vincere e basta, vincere comunque. O il popolo si inquieta.

Gli equilibri di potere attuali sono la conseguenza del trauma del 2006 quando, al termine del processo sportivo di Calciopoli, la Juventus è finita per la prima volta in serie B per illecito sportivo a causa delle operazioni dietro le quinte di Giraudo, amministratore delegato e azionista del club con il 3,6 per cento, e di Luciano Moggi, direttore generale.
Dopo il ritorno in serie A, alla fine del 2009 i risultati sportivi sono stati giudicati insoddisfacenti. Il gruppo dell'Avvocato ha dovuto fare un passo indietro. Cobolli Gigli è stato ringraziato ed esonerato. Blanc lo ha seguito qualche tempo dopo con l'accusa di "incapacità" da parte di Andrea Agnelli.

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Prima che il figlio di Umberto venisse eletto alla guida del club, per un periodo si è parlato di John Elkann alla presidenza. Ma Jaki è diventato presidente della Fiat in sostituzione di Luca Cordero di Montezemolo. L'importanza dell'incarico nella fase di integrazione con il gruppo Chrysler, le tensioni sindacali in fabbrica con i referendum sul contratto a Pomigliano d'Arco e a Mirafiori, infine la lunga lite sull'eredità del nonno che ha contrapposto la madre Margherita a due colonne portanti del gruppo come Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, hanno dissuaso il giovane Elkann da un impegno diretto nel club di calcio.

Nel maggio del 2010 si è insediato Andrea, amatissimo dai tifosi perché Agnelli di fatto e di nome, ma soprattutto per il suo legame esibito con l'epoca in cui i bianconeri vincevano in campo e i dirigenti distribuivano agli arbitri schede sim svizzere e slovene per evitare che i colloqui più imbarazzanti fossero intercettati.

La nomina di Andrea, per una volta, non ha comportato una separazione così netta fra i due rami del potere familiare nella Juve. I due cugini, Andrea e Jaki, hanno moltiplicato le visite pastorali congiunte al centro sportivo di Vinovo dove la squadra si allena. Il loro intento è di mostrare la coesione della famiglia nei momenti di difficoltà sportiva ed economica, come dopo il bilancio 2010-2011, chiuso con una perdita record di 95,4 milioni di euro, la più grave nella storia del club. Una perdita in stile Moratti, con 141 milioni di euro investiti nel calciomercato in due anni.

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La governance della società di calcio riflette la cogestione Elkann-Agnelli. Quindi, d'accordo la cogestione del club e l'intesa cordiale fra i rami della famiglia, ma nell'accomandita, in fabbrica e in campo comandano gli Elkann. Al contrario di quanto predicava Enrico Cuccia, in casa Agnelli le azioni si contano e solo dopo, semmai, si pesano.

Nella spartizione delle responsabilità fra i cugini, Jaki segue le vicende delle fabbriche a Torino, Belo Horizonte, Detroit o Tychy, e magari spiega all'amministratore delegato Sergio Marchionne perché la Exor debba destinare 81 milioni di euro a Del Piero e compagni mentre nell'industria automobilistica gli investimenti si riducono e la battaglia globale per la sopravvivenza si gioca sulla pelle dei lavoratori.

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Macchine e pallone hanno in comune la caratteristica di essere capital intensive, cioè richiedono l'investimento di moltissimo denaro per essere efficienti e, magari, redditizie. È significativo che la famiglia Agnelli sia stata più volte tentata di cedere il settore auto mentre non ha mai parlato di vendere il club, sebbene negli anni il consumo di risorse economiche del calcio sia diventato abnorme.

Basti pensare che circa un quarto dell'ultimo finanziamento Exor alla Juventus (poco più di 18 milioni di euro sugli 81 dell'aumento di capitale) proviene dalla cessione, a metà del 2011, del palazzo di corso Matteotti 26 a Torino dove hanno vissuto Gianni con i fratelli e le sorelle e che, in seguito, è stata la sede del gruppo Fiat per decenni. Corso Matteotti, venduto con una considerevole plusvalenza, vale sette milioni in meno rispetto ai 25 milioni spesi per Diego, presunto campione brasiliano acquistato durante la gestione di Cobolli Gigli e rivenduto a 19 milioni.

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Il senso di appartenenza ha portato il presidente della Juventus a una contesa legale per recuperare lo scudetto cancellato nel 2005-2006. La riconquista della gloria passata è diventata importante quanto i campionati a venire ed è centrale nella gestione di Andrea.
La lotta per la restituzione dei titoli cancellati dalla giustizia sportiva è una battaglia nello stile della vecchia Juve, fatto di vittorie e arroganza. Il concetto di base della rivendicazione è che Calciopoli ha coinvolto tutti.

Del sistema avrebbe beneficiato anche l'Inter, che si è vista premiata con uno scudetto assegnato a tavolino, il primo vinto da Massimo Moratti. Andrea Agnelli ha affermato che le accuse rivolte al suo club erano infondate e che i fatti non sussistevano. "Semmai dovessero emergere comportamenti penalmente rilevanti sarebbero da ascrivere a Moggi personalmente". ha dichiarato il presidente. In altre parole, se Moggi non era un manovratore di arbitri, la Juve ha diritto agli scudetti.

Se lo era, la Juve ha diritto ugualmente agli scudetti perché la colpa delle manovre non è della Juventus ma di Moggi, una sorta di scheggia impazzita che agiva all'insaputa del suo diretto superiore (Giraudo, condannato per gli stessi reati di Moggi) e, a maggior ragione, degli azionisti. Agnelli ha poi aggiunto, riecheggiando un collega in rossonero, che la colpa di Calciopoli è dei giornali, perché "rivelare intercettazioni coperte da segreto è un reato".

Insomma, se i giornali non avessero denunciato che la procura federale stava dormendo sulle suddette intercettazioni, la procura avrebbe continuato a dormire, come hanno diritto di fare tutti gli enti stanchi, e l'Inter non si sarebbe impadronita di campionati altrui.

 

 

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