MONTE DEI PAZZI DI SIENA - SOLO UN MIRACOLO PUÒ SALVARE L’AUTONOMIA DI MPS, CHE DOPO ERRORI (L’ACQUISTO DI ANTONVENETA) E ORRORI (IL NIET DI FAZIO E DS ALLA FUSIONE CON BNL) È ORMAI IN GINOCCHIO - DUE SOLUZIONI: O LO STATO CONVERTE I 3,9 MLD € DI PRESTITI IN AZIONI E DI FATTO NAZIONALIZZA L’ISTITUTO, OPPURE ARRIVANO GLI STRANIERI A PAPPARSI QUEL CHE RESTA DEL MONTE, CON RICADUTE SULLA CITTÀ DI SIENA E SUL SISTEMA BANCARIO ITALIANO…

Alessandro Plateroti per il "Sole 24 Ore"

«Una storia italiana dal 1472»: la pubblicità è a volte ingannevole, gioca spesso sugli equivoci e sui doppi sensi, ma nel caso del Monte dei Paschi la pubblicità del gruppo senese meriterebbe il premio alla trasparenza. Quella del Monte è infatti la più italiana delle storie da raccontare, e non solo per le sue origini rinascimentali: è una storia italianissima per il legame tra la banca e territorio, per il legame tra finanza e politica, per il ruolo e il condizionamento esercitato da authority e sindacati nelle scelte gestionali.

Detto questo, quella del Monte dei Paschi di Siena rischia di essere una storia ancora più italiana nel suo epilogo. La crisi della banca è palese, quella del suo azionista anche, e lo è persino quella della città: davanti alla prospettiva di un azzeramento dei dividendi pagati dalla banca alla Fondazione e poi dei contributi versati dallo stesso Ente al Comune, Moody's ha tagliato il rating di Siena a Baa3, il livello più basso nella sua storia.

A meno di miracoli, il futuro del Monte rischia di essere già scritto: finire in mani straniere se non interviene lo Stato o si studiano le operazioni di "sistema". Il paradosso è che il Monte, oggi, potrebbe essere una banca in una situazione del tutto diversa se i veti incrociati della politica, dei sindacati e della Banca d'Italia targata Antonio Fazio non avessero bloccato operazioni di mercato che nel 2005-2007 avrebbero permesso all'istituto senese non solo un salto di qualità dimensionale, ma anche di commettere gravi errori che hanno compromesso il suo futuro: l'acquisto di AntonVeneta, a cui oggi si fanno risalire gran parte dei problemi della banca, avvenne infatti dopo che alla Fondazione che era allora guidata da Giuseppe Mussari fu impedito di fondere la banca con la Bnl, che fu poi acquistata da Bnp.

Pochi lo sanno, ma bloccando la fusione Mps-Bnl per favorire la scalata mancata di Unipol alla stessa Bnl, l'intreccio tra politica e finanza di quegli anni impedì anche una seconda operazione: la fusione tra il Monte e il Bbva, il Banco di Bilbao che era allora grande azionista di Bnl. Il piano che era stato messo a punto allora dalla Fondazione, infatti, prevedeva che dopo la fusione con Bnl, l'ente senese avrebbe controllato il 33% del gruppo risultante, con il Bilbao al 18%.

Fatto questo, senesi e spagnoli avrebbero poi fatto una vera fusione dei due gruppi, con la Fondazione Mps primo azionista con il 10% di Mps-Bnl-Bilbao e con Telefonica di Spagna secondo azionista con il 2%. Ebbene, questo progetto che avrebbe dato a Siena solidità e dimensioni continentali, naufragò solo perche la politica senese, Fazio e il vertice romano dei Ds preferirono lanciare la scalata di Unipol a Bnl. E fu così che Mussari fece l'errore di acquistare Antonveneta. Ma questa è ormai storia.

Oggi, dopo la richiesta di nuovi prestiti del Tesoro, sono in pochi a credere, tanto a Siena quanto a Roma, che il Monte dei Paschi possa continuare a camminare da solo come avviene dal 1472: oggi, a meno di un improvviso e forte recupero di slancio dell'economia italiana di qui a un anno, di una conseguente rivalutazione dei BTp (il Monte ne ha comprati per 30 miliardi), e quindi di una felice implementazione del piano industriale varato dal nuovo management, la Fondazione che controlla l'antica banca senese potrebbe essere costretta a cedere il passo e la gestione a un nuovo azionista di maggioranza.

Visto lo scarso appetito degli investitori per gli aumenti di capitale, operazione che la banca ha annunciato e che dovrebbe fare nel 2013), l'ipotesi che gli analisti e il mercato ritengono oggi più probabile è che lo Stato potrebbe essere costretto a convertire in azioni i 3,9 miliardi di euro di Tremonti-bond di cui il consiglio della banca ha fatto richiesta ieri. Senza un nuovo miracolo economico, infatti, il destino del Monte come banca indipendente appare sempre più incerto.

Il mercato, questo, lo sa ormai bene. Il titolo del Monte continua ad avere il peggior andamento del settore a Piazza Affari, gli analisti ritengono che il 2012 si chiuderà con una brutta perdita netta e che nel 2013 si chiuderà poco più che in pareggio. Non solo: anche se tutto dovesse andare come prevede il piano industriale, comprese le dismissioni degli ultimi asset rimasti nel credito al consumo e nel leasing, il Monte difficilmente sarà in grado di avere una redditività superiore al 3-4% nel 2014-2015.

Troppo poco per competere ed essere attraente per gli investitori. Sul Monte pesano non soltanto il crescente sbilancio del funding (raccolta scarsa e nettamente inferiore agli impieghi, tra l'altro di bassa qualità), una redditività scomparsa sotto il peso dei costi (ormai difficilmente comprimibili, visto che quasi tutto è ormai esternalizzato), lo sbilancio nel rapporto tra capitale liquido e titoli di Stato (circa 1 a 3, il più alto in Italia) o la difficile congiuntura che circonda il territorio e il Paese.

Sul Monte pesa più di ogni altra cosa il senso di sfiducia che sta pervadendo il mercato (e la stessa comunità senese che ne condiziona l'esistenza) sulla possibilità che la banca si reinventi da sola, che sia in grado di risolvere il nodo degli esuberi e tagliare con l'accetta una rete di sportelli che la pone persino peggio dei suoi concorrenti. Se è in questo contesto che vanno individuati i possibili scenari, la banca e i suoi azionisti potrebbero essere costretti presto a fare scelte decisive.

Come abbiamo già detto, non si può escludere a priori che l'Italia torni un Paese felice, che i BTp riducano drasticamente lo spread sui bund e che il Monte ne possa beneficiare per ripartire da zero. In questo caso, con un aumento di capitale già fatto e con quello che si dovrà fare l'anno prossimo, il Monte potrebbe addirittura trovarsi nella paradossale situazione di avere un eccesso di capitale. Ma i miracoli, in banca come nella vita, sono un'eccezione, non la regola.

E di conseguenza restano gli scenari meno graditi. Il primo per logica vede un intervento di salvataggio da parte dello Stato: la conversione di 3,9 miliardi di prestiti in azioni di una banca che capitalizza oggi in Borsa circa 2 miliardi significa di fatto nazionalizzazione. Il Tesoro, come prevede il regolamento dei Tremonti Bond, sarebbe infatti costretto ad assumere il controllo della banca se questa non fosse in grado di restitutire i prestiti ricevuti con le obbligazioni di Stato.

Una volta stabilizzata la situazione, e con un ciclo economico più favorevole dell'attuale, il Tesoro potrebbe poi riprivatizzare la banca e mettere persino in cassa una sostanziosa plusvalenza. Certo, il segnale che si darebbe ai mercati non sarebbe di certo favorevole per il sistema bancario italiano: finora si è detto infatti che le nostre banche sono tra le più solide d'Europa. Ma tant'è: a mali estremi, estremi rimedi.

E poi nessun Governo, tecnico o politico, lascerebbe fallire una banca delle dimensioni del Monte. Un interesse potrebbe averlo Unicredit, ma sarebbe solo per ribilanciare i pesi all'interno del suo azionariato: una fusione Unicredit-Mps aumenterebbe infatti il peso delle fondazioni italiane sui soci tedeschi, ma di certo creerebbe notevoli problemi di integrazione e di costi della rete. Di questi tempi, il vero problema delle banche è quello di chiudere le filiali, non di averene di nuove.

In alternativa a questo scenario ci sono gli stranieri: alcuni sostengono che al Monte potrebbe essere interessati i francesi, a cominciare da Bnp-Bnl. Ma l'ipotesi appare per ora poco credibile. E vista l'attenzione che il Ceo Fabio Gallia sta dedicando al recupero di redditività di Bnl-Bnp, è del tutto impensabile che un manager di talento internazionale come lui possa imbarcarsi in un'operazione «da storia italiana».

 

 

ALESSANDRO PROFUMO E FABRIZIO VIOLA VINCENZO VISCO MUSSARI PROFUMO jpegMPS LINGRESSO DI ROCCA SALIMBENI SEDE DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA ANTONIO FAZIO LOGO ANTONVENETA

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - LA CAPITALE DEGLI AFFARI A MISURA DUOMO, A CUI IL GOVERNO MELONI HA LANCIATO L’ANATEMA “BASTA CON I BANCHIERI DEL PD”, È IN TREPIDA ATTESA DI COSA DELIBERERÀ UNICREDIT DOMENICA PROSSIMA, A MERCATI CHIUSI - SI RINCORRONO VOCI SULLA POSSIBILITÀ CHE ANDREA ORCEL ANNUNCI L’ADDIO NON SOLO ALL’OPS SU BPM MA ANCHE ALLA SCALATA DI COMMERZBANK, PER PUNTARE TUTTA LA POTENZA DI FUOCO DI UNICREDIT LANCIANDO UN’OPS SU GENERALI - DOPO LE GOLDEN MANGANELLATE PRESE SU BPM, ORCEL AVRÀ DI CERTO COMPRESO CHE SENZA IL SEMAFORO VERDE DI PALAZZO CHIGI UN’OPERAZIONE DI TALE PORTATA NON VA DA NESSUNA PARTE, E UN’ALLEANZA CON I FILO-GOVERNATIVI ALL’INTERNO DI GENERALI COME MILLERI (10%) E CALTAGIRONE (7%) È A DIR POCO FONDAMENTALE PER AVVOLGERLA DI “ITALIANITÀ” - CHISSÀ CHE COSA ARCHITETTERÀ IL CEO DI BANCA INTESA-SANPAOLO, CARLO MESSINA, QUANDO DOMENICA IL SUO COMPETITOR ORCEL ANNUNCERÀ IL SUO RISIKO DI RIVINCITA…

parolin prevost

PAROLIN È ENTRATO PAPA ED È USCITO CARDINALE - IN MOLTI SI SONO SBILANCIATI DANDO PER CERTO CHE IL SEGRETARIO DI STATO DI BERGOGLIO SAREBBE STATO ELETTO AL POSTO DI PAPA FRANCESCO – GLI “AUGURI DOPPI” DI GIOVANNI BATTISTA RE, IL TITOLO FLASH DEL “SOLE 24 ORE” (“PAROLIN IN ARRIVO”) E LE ANALISI PREDITTIVE DI ALCUNI SITI - PERCHÉ I CARDINALI HANNO IMPALLINATO PAROLIN? UN SUO EVENTUALE PAPATO NON SAREBBE STATO TROPPO IN CONTINUITÀ CON BERGOGLIO, VISTO IL PROFILO PIU' MODERATO - HA PESATO IL SUO “SBILANCIAMENTO” VERSO LA CINA? È STATO IL FAUTORE DELL’ACCORDO CON PECHINO SUI VESCOVI...

matteo renzi sergio mattarella elly schlein maurizio landini

DAGOREPORT – IL REFERENDUM ANTI JOBS-ACT PROMOSSO DALLA CGIL DI LANDINI, OLTRE A NON ENTUSIASMARE MATTARELLA, STA SPACCANDO IL PD DI ELLY SCHLEIN - NEL CASO CHE UNA DECINA DI MILIONI DI ITALIANI SI ESPRIMESSERO A FAVORE DELL’ABOLIZIONE DEL JOBS-ACT, PUR NON RIUSCENDO A RAGGIUNGERE IL QUORUM, LANDINI ASSUMEREBBE INEVITABILMENTE UN'INVESTITURA POLITICA DA LEADER DELL'OPPOSIZIONE ANTI-MELONI, EMARGINANDO SIA SCHLEIN CHE CONTE - E COME POTRANNO I RIFORMISTI DEM, I RENZIANI E AZIONE DI CALENDA VALUTARE ANCORA UN PATTO ELETTORALE CON UN PD "LANDINIZZATO", ALLEATO DEL POPULISMO 5STELLE DI CONTE E DE SINISTRISMO AVS DI BONELLI E FRATOIANNI? - A MILANO LA SCISSIONE DEL PD È GIÀ REALTÀ: I RIFORMISTI DEM HANNO APERTO UN CIRCOLO IN CITTÀ INSIEME A ITALIA VIVA E AZIONE. MA BONACCINI DIFENDE ELLY SCHLEIN

sergio mattarella giorgia meloni

DAGOREPORT - L'ARDUO COMPITO DI MATTARELLA: FARE DA ARBITRO ALLA POLITICA ITALIANA IN ASSENZA DI UN’OPPOSIZIONE - IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NON VUOLE SOSTITUIRSI A QUEGLI SCAPPATI DI CASA DI SCHLEIN E CONTE, NÉ INTENDE SCONTRARSI CON GIORGIA MELONI. ANZI, IL SUO OBIETTIVO È TENERE IL GOVERNO ITALIANO DALLA PARTE GIUSTA DELLA STORIA: SALDO IN EUROPA E CONTRO LE AUTOCRAZIE – IL PIANO DI SERGIONE PER SPINGERE LA PREMIER VERSO UNA DESTRA POPOLARE E LIBERALE, AGGANCIATA UN'EUROPA GUIDATA DA FRANCIA, GERMANIA E POLONIA E LONTANA DAL TRUMPISMO - LE APERTURE DI ''IO SONO GIORGIA" SUL 25 APRILE E AFD. MA IL SUO PERCORSO VERSO IL CENTRO E' TURBATO DALLL'ESTREMISMO DI SALVINI E DALLO ZOCCOLO DURO DI FDI GUIDATO DA FAZZOLARI...

francesco micheli

DAGOREPORT - IN UNA MILANO ASSEDIATA DAI BARBARI DI ROMA, SI CELEBRA LA FAVOLOSA CAPITALE DEGLI AFFARI CHE FU: IL CAPITALISMO CON IL CUORE A SINISTRA E IL PORTAFOGLIO GONFIO A DESTRA - A 87 ANNI, FRANCESCO MICHELI APRE, SIA PURE CON MANO VELLUTATA E SENZA LASCIARE IMPRONTE VISTOSE, IL CASSETTO DEI RICORDI: “IL CAPITALISTA RILUTTANTE” È IL DIARIO DI BORDO DELL’EX BUCANIERE DELLA FINANZA CHE, SALITO SULL’ALBERO PIÙ ALTO DEL VASCELLO, HA OSSERVATO I FONDALI OSCURI INCONTRATI NEL MARE MAGNUM INSIDIOSO DELL’ECONOMIA, SOMMERSA E SPESSO AFFONDATA - “IO E LEI APPARTENIAMO A ZOO DIVERSI”, FU IL VATICINIO DI CUCCIA – LUI, UNICO TESTIMOME A RACCOGLIERE LO SFOGO DI EUGENIO CEFIS SU QUEL “MATTO” DI CUCCIA CHE NEL GIORNO DELLE SUE CLAMOROSE DIMISSIONI DA MONTEDISON L’AVEVA ACCOLTO CON UN BEFFARDO: “DOTTORE, PENSAVO VOLESSE FARE UN COLPO DI STATO…”