UNICREDIT E INTESA “SCOMMETTONO” SU UNA LUNGHISSIMA CRISI: AUMENTATI GLI ACCANTONAMENTI PER FRONTEGGIARE IL BOOM DEI CREDITI A RISCHIO - INTESA QUEST’ANNO HA “PRESTATO” 8 MILIARDI IN MENO ALLE IMPRESE, UNICREDIT 5 - PAURA? MACCHE’: HANNO PRESTATO SOLDI SOLO A CHI, TRA I PICCOLI E MEDI IMPRENDITORI, HA FORNITO GARANZIE ULTRASOLIDE, E QUINDI SE TUTTO VA MALE SI IMPADRONIRANNO DI CASE, AUTO E PROPRIETA’…

Vittorio Malagutti per il "Fatto quotidiano"

Fin qui è andata male, malissimo, ma tenetevi forte perché nei prossimi mesi rischia di andare ancora peggio. Questo è il messaggio che arriva dai conti di Intesa e Unicredit resi noti nei giorni scorsi. Proprio così, perché le due più importanti banche nazionali hanno aumentato, e di molto, gli accantonamenti per far fronte ai crediti a rischio. Come dire: nei prossimi mesi ci saranno sempre più aziende che non riusciranno a far fronte ai loro impegni. Di conseguenza gli istituti di credito mettono da parte denaro fresco per far fronte al previsto aumento delle insolvenze.

Insomma, brutte notizie in un panorama che appare già di per sé desolante. I prestiti alle imprese, infatti, sono in calo costante da un pezzo. Un po' perché i banchieri sono diventati ancora più prudenti. Ma anche le aziende, con l'aria che tira, investono di meno e quindi non bussano neppure più all'ufficio fidi. E la gelata continua. Questo è quanto prevedono le grandi banche e lo mettono nero su bianco nei conti chiusi al 30 giugno, pubblicati alla fine della settimana scorsa.

Intesa, per dire, segnala che i volumi medi dei crediti verso la clientela nei primi sei mesi di quest'anno sono calati del 2,2 per cento. In termini assoluti questa sforbiciata vale la bellezza di 8 miliardi di euro. Tutto denaro che è rimasto nei forzieri della banca milanese. Se passiamo a Unicredit la musica non cambia granché.

L'istituto guidato da Federico Ghizzoni ha visto diminuire dello 0,9 per cento il totale dei finanziamenti alla clientela rispetto a giugno 2011 e dello 0,6 per cento circa rispetto a soli sei mesi fa. Il taglio vale quasi 5 miliardi nel giro di un anno. Va detto però che Unicredit è una banca globale, con una fetta importante delle sue attività in Germania e nell'Europa orientale. E così, se concentriamo l'attenzione sull'Italia, si scopre che il calo è ancora maggiore, come spiega la relazione semestrale di Unicredit senza però fornire cifre precise.

Il segnale più allarmante arriva però da una voce in particolare, quella delle "rettifiche nette su crediti". Ovvero il denaro accantonato per far fronte a prevedibili insolvenze o gravi difficoltà dei clienti. Nel solo secondo trimestre di quest'anno (da aprile a giugno) le rettifiche decise dai vertici di Unicredit sono cresciute del 36 per cento rispetto ai primi tre mesi dell'anno: da 1,4 a 1,9 miliardi.

E la crescita supera il 62 per cento se si prende come riferimento il secondo trimestre del 2011. Anche Intesa non ha potuto fare a meno di incrementare le riserve. Nel primo semestre dell'anno scorso l'istituto milanese aveva messo da parte 1,5 miliardi come rettifiche su crediti. Nei conti di Intesa chiusi a giugno del 2012 questa stessa voce vale poco più di 2 miliardi. Un aumento di oltre il 30 per cento.

C'è poco da fare, se l'economia è ferma, anzi, peggio se il Pil viaggia a marcia indietro, sempre più aziende si avvitano nella spirale della crisi, fanno fatica a rispettare le rate dei mutui e i loro debiti si trasformano in un problema per la banca. Ecco allora che i Intesa vede aumentare i propri crediti cosiddetti deteriorati, cioè quelli di problematica restituzione, di circa il 25 per cento nei primi sei mesi del 2012: da 22,7 a 26,1 miliardi. Le sole sofferenze, cioè i finanziamenti più difficili da recuperare per i banchieri, sono saliti da 8,9 a 9,6 miliardi nell'arco di sei mesi.

Senza contare che nei mesi scorsi Intesa si è liberata, vendendolo, di un pacchetto di sofferenze iscritte a bilancio per 270 milioni. In casa Unicredit peraltro, va ancora peggio. Nei primi sei mesi di quest'anno i crediti incagliati sono aumentati del 14 per cento rispetto a giugno del 2011. "Un aumento - si legge nel comunicato che accompagna il bilancio - dovuto per circa metà all'Italia ed è indice del perdurare della crisi economica". Il guaio è che non è ancora finita. Anzi.

 

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