''L'HO UCCISO CON IL BASTONE CON CUI MI HA PICCHIATO PER 40 ANNI'' - LA TREMENDA STORIA DI ENZA INGRASSIA E ALFIO LONGO: ''MI CHIAMAVA LURIDA, BASTARDA E MULA, MI LASCIAVA A TERRA TRAMORTITA, MI HA PROCURATO DUE ABORTI'' - IL PADRE DI ENZA LE SPEZZÒ UNA GAMBA PER IMPEDIRLE DI SPOSARLO. MA LEI NON ASCOLTAVA NESSUNO

Vittima per quarant’anni, assassina in cinque minuti e depistatrice per 12 ore inventando una rapina balorda - Il marito minacciava la moglie anche con le pistole e i coltelli, la trascinava per i capelli nel giardino quando si ribellava, la menava fino a farle perdere i sensi - Tutti sapevano delle violenze, ma lei non denunciava. "Cosa penseranno?''...

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Romina Marceca per "la Repubblica"

 

Vittima per quarant’anni, assassina in cinque minuti e depistatrice per 12 ore inventando una rapina balorda nel disperato tentativo di confondere le acque. Enza Ingrassia si è sbarazzata del marito violento fracassandogli il cranio con un bastone mentre lui dormiva e poi ha inscenato, in modo maldestro, un raid nella loro villetta di Biancavilla, paese di 30mila anime ai piedi dell’Etna. Alfio Longo, elettricista in pensione di 67 anni, è stato ucciso così mercoledì notte.

 

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La moglie è crollata davanti a magistrati e carabinieri che le avevano contestato una ricostruzione piena di buchi e contraddizioni. «Era un marito-padrone. Quella sera mi aveva picchiata perché difendevo i nostri cani che abbaiavano e lui si era innervosito. Non ce la facevo più, ho subito 40 anni di maltrattamenti. Mi chiamava lurida, bastarda e mula», ha confessato la donna, 62 anni.

 

«Dopo la lite ci siamo messi a letto. Lui mi ha chiesto un sonnifero, io non l’ho preso come facevo abitualmente. Lui russava, quel russare mi tormentava, fino a che ho preso il bastone con il quale mi aveva percossa e ho sfogato tutti i miei anni di mal-trattamenti, umiliazioni e violenze. Gli ho dato un primo colpo, poi un secondo e poi un terzo, ed intanto gli urlavo contro perché mi stavo liberando di tutte le violenze ».

 

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Poi ha vegliato il marito per quattro ore prima di lanciare l’allarme, tamponandogli le ferite. Quasi uno sfogo davanti agli inquirenti, snocciolato in una pagina di verbale con lucidità e le mani in testa. «A cosa è valsa la mia vita? Non ho studiato per lui, sono rimasta un’ignorante. Ma quell’uomo mi attraeva e io non l’ho mai denunciato», ha detto tra le lacrime Enza Ingrassia.

 

Le sue quattro sorelle ei suoi cinque fratelli sapevano di quelle violenze, i vicini raccontano di urla continue e che anche lui ogni tanto usciva di casa con qualche livido in viso. Il parroco del paese l’aveva spinta a denunciare. «Ma io mi vergognavo di quello che avrebbe pensato di noi la gente, però mi ero rivolta a un consultorio per salvare il matrimonio».

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I carabinieri di Catania e il procuratore capo Michelangelo Patanè da subito non hanno creduto alla versione di quella rapina finita nel sangue. Troppe incongruenze, troppi punti oscuri. Cinque in particolare hanno attirato l’attenzione degli investigatori: il modo in cui la Ingrassia ha detto di essere stata legata mani e piedi, quello in cui poi si è liberata, la mancanza di impronte di scarpe in casa, una scena del crimine troppo ordinata con le lampade poggiate per terra, l’allarme lanciato a quasi quattro ore dalla finta rapina, i cani che nessuno ha sentito abbaiare.

 

E poi uno degli elementi più importanti raccolti dal Ris di Messina e dal reparto crimini violenti del Ros – quegli schizzi di sangue sulla vestaglia della donna. «Gli ho pulito il viso poi ho strofinato le mani », si è giustificata lei. Inoltre i sopralluoghi non hanno riscontrato tracce di un’aggressione nel cortile, come aveva raccontato la donna. Invece, i militari hanno trovato armi e munizioni clandestine nella legnaia, nel cortile venti piante di marijuana. Nella mansarda un essiccatoio, semi, bilancini di precisione, diecimila euro in contanti nascosti in un barattolo. E nell’agenda del marito, i nomi di esponenti della criminalità locale, ai quali faceva anche lavori gratis da elettricista.

 

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Uno scenario che ora dopo ora ha portato gli inquirenti sulla strada di una vita di coppia tutt’altro che limpida. Il marito violento minacciava la moglie anche con le pistole e i coltelli, la trascinava per i capelli nel giardino quando si ribellava. Negli anni le avrebbe provocato con le botte anche due aborti. E per quei figli mai arrivati è stato forse il rancore più grande che questa donna ha portato dentro di sé.

 

«Lui quando mi picchiava, mi lasciava a terra tramortita, poi andava in paese e tornava a casa come se nulla fosse. Quando gli dicevo che lo denunciavo mi rispondeva che dai carabinieri sarei arrivata morta. Così l’altra sera quando ho visto che lui si è addormentato ho pensato che era il momento giusto per liberarmi e l’ho colpito ».

 

La sorella Agata racconta: «I miei genitori si erano opposti a questo matrimonio e mio padre le aveva spezzato una gamba pur di non farla andare con lui. Ma lei a 14 anni è scapata di casa. Lui fingeva un atteggiamento premuroso davanti agli altri». Da tempo la coppia era conosciuta per il suo impegno nella chiesa del paese. Il sindaco Giuseppe Glorioso ha annullato la festa per la santa patrona mentre i vicini sconvolti dicono: «Abbiamo consolato per un giorno un’assassina ».

 

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La Procura invita: denunciate le violenze, così si evitano i morti. «Scusatemi per quello che ho fatto», dice lei mentre entra nel carcere di Piazza Lanza a Catania con l’accusa di omicidio volontario. E aggiunge: «Posso andare al funerale di mio marito? Se non ci sarò, cosa penserà la gente?»

 

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