LA SCIENZA PARLA “BRIC” - SECONDO L’OCSE, NEL 2030 IL 70% DEGLI SCIENZIATI ARRIVERÀ DA CINA, INDIA E RUSSIA - GLI USA SFORNERANNO IL 4,2% DEI CERVELLONI, GERMANIA E INGHILTERRA INSIEME NON SUPERERANNO IL 7%

Un ruolo chiave lo rivesta l’istruzione - Più laureati in materie tecniche e scientifiche significano infatti una maggiore capacità di sviluppo tecnologico in prospettiva e, evidentemente, anche un maggiore investimento in ricerca - L’Italia nel 2030 avrà una quota di laureati in discipline scientifiche inferiore allo 0,7%...

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Cristiano Puglisi per “Libero quotidiano”

 

Il cammino verso un dominio dei Paesi Brics sulla scena economica globale è anche questione di cervelli. Sì, perché nel 2030 circa il 70% degli scienziati e dei laureati in materie tecniche sarà infatti sfornato da India, Cina, Brasile e Russia, mentre il resto del globo dovrà accontentarsi del rimanente 30. Il dato è emerso da una proiezione realizzata dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in base ai trend di accesso alla formazione di livello universitario nei diversi Paesi del mondo.

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Nel dettaglio sarà la Cina la nazione che produrrà più scienziati: il 37% dei cervelloni del futuro parlerà infatti la lingua del Paese del dragone. L’India occupa invece la seconda posizione con un 26,7% e la Russia la terza ma ben più indietro con il 4,5. Se il dato relativo ai Paesi Brics è sorprendente, ancora più sorprendente però è quello inerente gli Stati attualmente facenti parte dall’Ocse, ovvero le potenze occidentali e i loro principali partner commerciali e politici, che registrano, a prescindere dal dato complessivo, un ritardo sostanziale.

 

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Gli Stati Uniti d’America, ad esempio, nel 2030 avranno una quota pari al 4,2% che sommata a quelle di Germania e Inghilterra non supererà comunque il 7%, vale a dire un decimo scarso rispetto al blocco Brics, escludendo il Sudafrica, che invece rispetto ai «compagni di viaggio» risulta attardato. Da questo punto di vista è comunque evidente come un ruolo chiave, anche sotto l’aspetto geopolitico, lo rivesta l’istruzione. Più laureati in materie tecniche e scientifiche significano infatti una maggiore capacità di sviluppo tecnologico in prospettiva e, evidentemente, anche un maggiore investimento in ricerca.

 

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In tal senso, se le prospettive di sviluppo tecnologico dei Paesi occidentali sembrano ridursi drasticamente rispetto alle economie emergenti, il ritardo dell’Italia, quantomeno in proiezione, appare addirittura ancora più drammatico. Il nostro Paese nel 2030 avrà infatti, sempre stando ai dati forniti dall’Ocse, una quota di laureati in discipline scientifiche inferiore allo 0,7%. Un numero probabilmente figlio anche della demografia, che vede il nostro territorio decisamente in difetto rispetto a popoli come quello indiano o cinese, come del resto è anche per gli altri Stati europei.

 

Ma forse è ipotizzabile anche una diversa attenzione al settore della ricerca, nel quale le cosiddette «tigri asiatiche» hanno notoriamente investito moltissimo in anni recenti. È però del tutto evidente che, senza una reale inversione di marcia, se confermato questo dato sancirebbe il definitivo declino della penisola sia nel campo della ricerca che dello sviluppo e getterebbe un’ombra oscura sulle prospettive dei nostri giovani, i quali in un futuro non troppo lontano potrebbero trovarsi, qualora dovessero rifiutare di dirigersi verso impieghi a bassa specializzazione, sempre più spesso a migrare verso nuovi lidi e a imparare altre lingue. Lingue diverse dall’inglese.

 

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