DISSESTO TIRRENO POWER, IL PERITO DEI PM INCOLPA I MANAGER DELLA FAMIGLIA DE BENEDETTI, EX SOCIA CON SORGENIA: “FECERO I PROPRI INTERESSI CONTRO LA CENTRALE” - COME IL SOTTOSEGRETARIO DE VINCENTI SI È SALVATO DALLE INTERCETTAZIONI

La consulente del pm sembra individuare un colpevole del dissesto di Tirreno Power: la Sorgenia, società sino al marzo scorso di proprietà della famiglia De Benedetti: “Può e deve quindi sorgere il fondato dubbio che tutta la politica industriale di Tirreno Power possa non sempre essere stata diretta al bene della società e degli azionisti...

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tirreno power centrale di vado ligure tirreno power centrale di vado ligure

Giacomo Amadori per “Libero Quotidiano”

 

Nelle decine di faldoni depositati presso la procura di Savona nell’inchiesta sulla centrale termoelettrica della Tirreno Power di Vado Ligure c’è una consulenza che farà discutere. È quella richiesta dal procuratore Francantonio Granero alla commercialista Roberta Pera.

 

La professionista, incaricata di ricostruire la situazione patrimoniale/economica/finanziaria dell’azienda, mette in fila i motivi che, secondo lei, hanno portato al dissesto dell’azienda e, in questa analisi, sembra individuare un colpevole: la Sorgenia, società sino al marzo scorso di proprietà della famiglia De Benedetti e successivamente passata alle banche a causa del dissesto finanziario. Scrive Pera:

 

sorgenia LOGO sorgenia LOGO

«Non va dimenticato che i soci in senso lato (soci diretti e indiretti) sono anche essi produttori e "commercianti" di energia, ossia concorrenti diretti di Tirreno Power. Può e deve quindi sorgere il fondato dubbio che tutta la politica industriale di Tirreno Power possa non sempre essere stata diretta al bene della società e degli azionisti (...),ma possa essere stata piegata a interessi dei gruppi aziendali delle parti correlate.

FRANCO RODOLFO E CARLO DE BENEDETTI FRANCO RODOLFO E CARLO DE BENEDETTI

 

 

Ciò fornirebbe una plausibile spiegazione del fatto che, fino alla crisi conclamata, ossia fino ad ottobre 2013, la società non si fosse formalmente dotata di un piano industriale pluriennale». Un escamotage che secondo Pera avrebbe consentito «di adattare, tempo per tempo, "la politica industriale e commerciale di Tirreno Power", in base alle esigenze delle parti correlate, senza lasciare manifestazioni eclatanti di decisioni eventualmente assunte nel principale interesse altrui e a discapito di Tirreno Power».

 

In proposito la Pera cita un verbale del comitato di gestione del 2010 dove il membro J.F. Carriere richiede il piano quinquennale e ottiene come risposta dall’ex ad di Sorgenia Massimo Orlandi che «Tirreno Power non si è mai dotata di piani quinquennali, tranne che per esigenze contingenti di finanziamento».

 

A questo punto la Pera toglie ogni dubbio sull’obiettivo dei suoi strali: «Questo potenziale,ma molto realistico conflitto d’interessi "industriale strategico" con le parti correlate emerge anche dalla lettura dei quaderni manoscritti, reperiti presso gli uffici di Giovanni Chiura (direttore finanziario di Sorgenia ndr) e Andrea Mangoni (dal 2013 presidente e ad di Sorgenia ndr) da cui si comprende chiaramente che hanno priorità assoluta i problemi del gruppo Sorgenia,e solo successivamente alla risoluzione di tali questioni, ci si può occupare della crisi di Tirreno Power».

 

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Del resto Mangoni, uno dei principali indagati, quando parla al telefono di Tirreno Power lo fa in questi termini: «È un problema delle banche (…) 900milioni di esposizione ce l’hanno le banche». L’ex ad di Sorgenia per risolvere i problemi della centrale, pensa di avere un’arma segreta: Claudio De Vincenti, all’epoca viceministro allo Sviluppo economico e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (non indagato). In un sms dell’agosto del 2014 lo elogia: «Da quando sei arrivato tu le politiche sono decisamente cambiate (in meglio)». Quindi gli chiede di far «uscire il provvedimento (anche nella sua forma attuale) quanto prima».

 

rodolfo E carlo de benedetti lap rodolfo E carlo de benedetti lap

La risposta di De Vincenti arriva molti giorni dopo, ma è dolce: «Confido nella tua amicizia, cui tengo moltissimo. Sto lavorando sulla questione flessibilità, so che (…) stanno emanando l’Aia. Appena puoi sentiamoci. Un abbraccio Claudio». Mangoni cita spesso presunti suggerimenti e interventi dell’amico politico, le cui parole arrivano agli inquirenti quasi sempre de relato e mai direttamente. Il motivo? Lo rivela al telefono Giuseppe Gatti, membro del cda diTirrenoPower:«Ho chiamato De Vincenti che mi dice: "Ma sa parlare per telefono non so be...". Cioé poveretto non sapeva che cosa cazzo fare!». Mangoni ride: «Questa è bellissima, perché poi tu capisci, parli con un viceministro della Repubblica (…) come siamo ridotti». Gatti riprende a riportare le frasi di De Vincenti:

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 «"Non èil caso che civediamo? Vuol venire soltanto lei, vuol venire anche l’azionista?"». In quei giorni i carabinieri decidono che è i lmomento di intercettare anche l’ex viceministro e l’occasione diventa un pranzo a Roma tra De Vincenti, Mangoni e il direttore generale di Tirreno Power Massimiliano Salvi. I militari definiscono l’intercettazione «indispensabile» alle indagini, visto che «il colloquio alla luce delle acquisizioni già in possesso del pm lascia ben presupporre l’organizzazione di attività corruttiva relativa ai procedimenti amministrativi in essere presso ilministero in parola». Alle 12,31 del 23maggio la procura autorizza le cimici sotto il desco.

 

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Ma il gip Emilio Fois, non ritenendo esserci «allo stato elementi per assumere l’esistenza di un accordo o di un proposito corruttivo» blocca l’operazione. Salvando De Vincenti dal rischio di quella gogna mediatica e giudiziaria a cui spesso conduce il chiacchiericcio conviviale.

 

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