SE RUBO E LEDO, C’È ROBLEDO - PARLA IL SUPER-MAGISTRATO ALFREDO ROBLEDO, QUELLO CHE HA INFILZATO IL PIRELLONE E SGAMATO LA LEGA LADRONA - “STIAMO PEGGIO DI TANGENTOPOLI. I DANNI ECONOMICI DELLA CORRUZIONE SONO PIÙ GRAVI. E ABBIAMO UN PROBLEMA ULTERIORE: NON C’È PIÙ LA POLITICA” - “SI SONO MOLTIPLICATI I LIVELLI DI CORRUZIONE. OGGI IN ITALIA NON È PIÙ SUFFICIENTE UN SOLO PROTETTORE” - I SETTORI A PIÙ ALTO TASSO DI CORRUZIONE? “EDILIZIA, RIFIUTI E SANITÀ”…

Paolo Biondani per "L'Espresso", in edicola domani

Tra una rogatoria internazionale e un'intercettazione scottante, si ritempra leggendo Marziale in latino. Cita a memoria le più belle quartine di Omar Khayyam, filosofo, matematico e poeta persiano dell'Undicesimo secolo, «uno dei libri che mi hanno cambiato la vita».

I suoi fidati ufficiali di polizia giudiziaria vanno fieri dei trofei conquistati sui campi giudiziari di mezzo mondo: «Il dottore ha ricevuto lettere di elogi e solenni ringraziamenti da personalità come il procuratore di New York o l'ex governatore della banca centrale americana Paul Volcker». Ma lui tiene tutto in un cassetto, tra le infinite librerie di casa, minimizza e ci scherza sopra, in greco antico: «Panta rei, tutto scorre».

Forse ci voleva proprio questo magistrato intellettuale napoletano per smascherare le ruberie padano-tanzaniane della Lega ladrona. Alfredo Robledo, classe 1950, procuratore aggiunto senza tessere di corrente, è il capo dei pm milanesi che indagano sulle nuove Tangentopoli. Il presunto patto tra Pdl e Carroccio per spartirsi le mazzette milionarie dell'urbanistica e della sanità lombarda.

Lo scandalo dei rimborsi elettorali incamerati dal cerchio magico di Bossi. L'ex assessore regionale berlusconiano Nicoli Cristiani arrestato con una bustarella da 100 mila euro che puzza di discarica d'amianto. Il giallo dell'asta per la Sea che imbarazza la giunta Pisapia. I conti esteri con i fondi neri del tesoriere ciellino Alberto Perego, convivente del governatore Formigoni. E molte altre inchieste ancora segrete, che promettono nuovi colpi di scena. Mani pulite, vent'anni dopo: cosa è cambiato?

«Posso fare solo una riflessione generale, delle indagini non parlo», risponde Robledo, sfilandosi il casco della rombante moto nera con cui sfida ogni giorno il traffico di Milano e quando ha fretta anche i vigili: «Probabilmente stiamo peggio di prima. I danni economici della corruzione sono più gravi. E abbiamo un problema ulteriore: non c'è più la politica».
Il suo ufficio al palazzo di giustizia è come sempre sotto assedio.

Per chiudere un discorso, bisogna aspettare la fine di un diluvio di telefonate, vertici con finanzieri e carabinieri, visite di avvocati e viavai di cancellieri con pacchi di carte urgenti. «Mani pulite è stata un grande inizio, ma è rimasta incompiuta. È stata fermata da un sistema processuale inadeguato. Che si è voluto lasciare inadeguato. Già prima della prescrizione breve che dal 2005 rende quasi certa l'impunità, sono state approvate leggi che di fatto hanno reso inutilizzabili prove già acquisite favorendo l'impunità per certi reati. Il risultato è che la vecchia classe dirigente non è stata sostituita da una nuova.

Scomparso il sistema di Tangentopoli, c'è stata una frammentazione che ha moltiplicato i livelli di corruzione. Da una parte ritroviamo personaggi che sapevano fare solo quel mestiere e continuano a farlo per rafforzare la propria posizione di potere all'interno di un partito, corrente o movimento. Dall'altra si sono creati diversi sotto-sistemi di corruzione, paralleli e coesistenti: in un Paese che, come dice il sociologo De Rita, ha "un'innata vocazione all'illegalità minuta", oggi non è più sufficiente un solo protettore».

Quali sono i settori a più alto tasso di corruzione? «Edilizia, rifiuti e sanità». Perché parla di sotto-sistemi? «Edilizia, rifiuti e grandi appalti formano un ciclo. L'imprenditore inserito nel sistema acquista sottoprezzo terreni inquinati, paga tangenti su permessi e controlli, finge di bonificare e nasconde i rifiuti sotto palazzi, centri commerciali o grandi opere. L'importante è fare affari, arricchirsi individualmente a danno dell'intera collettività: finiti i lavori, chi va a vedere cosa c'è sotto il cemento? In alcuni cantieri delle nuove autostrade lombarde rischiamo di ritrovarci con gli stessi guai della Salerno-Reggio Calabria».

Il danno, «il costo sociale della corruzione», per Robledo è una fissazione: i suoi genitori erano funzionari pubblici e gli hanno insegnato «il senso dello Stato». «Ho sempre voluto fare il magistrato: la giustizia come utilità sociale». Sono le due del pomeriggio. Robledo deve affrontare un dramma esistenziale: la dieta. Per scoprire la trattoria con il più straordinario rapporto qualità-prezzo, basta pedinare il pm buongustaio. Inflessibile sul lavoro, spassoso a tavola.

Un decennio fa, dopo una sparata di Bossi contro i magistrati meridionali «delinquenti razziali in camicia nera», l'Anm non reagiva e a quel punto così parlò Robledo: «È un concetto ormai acquisito nella coscienza occidentale che non esistono razze inferiori. Ce n'è invece una superiore: quella napoletana».

Nato e cresciuto a Napoli, maturità classica al Sannazzaro, laurea in giurisprudenza con tutti 30 e molte lodi, l'attuale procuratore aggiunto di Milano inizia a lavorare a vent'anni per mantenersi all'università: vende libri dell'Einaudi porta a porta. «Il nostro gruppo andava tanto bene che Giulio Einaudi ci chiamò a Torino per conoscerci». Poi Robledo stravince una borsa di studio, diventa assistente e insegna per quattro anni diritto civile. E perché ha mollato l'Einaudi? «Guadagnavo troppo per la mia età. Volevo più libertà e responsabilità».

Superato il concorso in magistratura, fa il pm a Monza e poi il capo della pretura di Desio, dove ottiene le prime condanne di politici per traffici di rifiuti. In prima pagina ci finisce, con l'ex poliziotto Achille Serra, quando risolve il sequestro di Simonetta Lorini (1980), figlia di un industriale, segregata in Calabria: ostaggio libero, arrestati e condannati otto capi e gregari dell'ex banda Vallanzasca. In Procura a Milano dal '95, è lui, con il pm Alberto Nobili, a incastrare i rapitori di Alessandra Sgarella: 15 condanne definitive che rilanciano l'allarme 'ndrangheta al Nord, a lungo inascoltato. Il suo «maestro assoluto» è il procuratore Saverio Borrelli, «magistrato eccezionale e uomo straordinario, sempre coerente tra ciò che dice e ciò che fa».

Ancora Robledo, con Fabio De Pasquale, indaga sui fondi neri della Fininvest e scopre la lettera-confessione dove l'avvocato inglese David Mills rivelava di non aver detto la verità su Berlusconi ai tribunali italiani, in cambio di 600 mila dollari. Nel 2002, quando il centrodestra vara la legge ammazza-rogatorie, sono quei due pm a convincere tribunali e Cassazione che va «disapplicata», perché non rispetta il diritto internazionale e rischia di distruggere le prove raccolte all'estero da tutte le procure italiane. Ai politici che sparlano di toghe rosse, replica così: «Rosse sì, ma del sangue di tanti magistrati uccisi».

Estraneo per natura a salotti e circoli di potere, Robledo si è convinto che «anche le correnti della magistratura siano diventate soffocanti: al di là delle buone intenzioni di tanti giudici onesti e capaci, hanno esaurito la loro spinta propulsiva alla partecipazione. Oggi purtroppo la struttura preponderante è una macchina da nomine. In una società liquida, in piena crisi di valori, servirebbe una nuova idea di giustizia».

Un esempio? «Di solito alla corruzione si contrappone l'etica. Bernard De Mandeville, nella "Favola delle api", fece un paradossale elogio di una ricchezza creata con mezzi illeciti, ma redistribuita. Oggi la corruzione aggrava la disuguaglianza: la ricchezza resta intrappolata in cricche e nicchie del segmento più alto della società, a fronte dei problemi di sopravvivenza e povertà di tanti, anzi di troppi».

Dal caso Telecom alle maxi-elusioni fiscali, Robledo ha indagato a fondo anche sul malaffare economico: con l'inchiesta-pilota sui derivati ha spinto quattro banche internazionali a restituire 455 milioni di euro al Comune di Milano. La crisi servirà almeno a riformare l'economia? «Ciò che si profila dalle indagini è l'assoluta autoreferenzialità delle grandi banche. Se sono troppo grandi per fallire, significa che non avvertono più limiti nell'assumere rischi. Neppure l'amministrazione Obama è riuscita a regolare i derivati. Sarebbe necessario discutere rimedi netti come la separazione tra banche commerciali e d'affari».

Insomma, alla base del diritto dovrebbe esserci un'economia più giusta. «Prendiamo la retorica sulle spese per le intercettazioni. L'inchiesta del pm Tiziana Siciliano sulla clinica Santa Rita è costata 98 mila euro , ma ha fatto recuperare più di 17 milioni. Le intercettazioni sono indispensabili: perché non cominciamo a considerarle un investimento?».

E per uscire da Tangentopoli, oltre a rafforzare la giustizia, da dove si parte? «Dalla riforma elettorale. La legge attuale elimina il rapporto tra cittadini ed eletti, minando le basi della democrazia. E senza responsabilità politica, restano solo gli interessi e l'arroganza di pochi a danno di tutti».

 

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