1- TOSSICO! LA BBC FESTEGGIA I PRIMI SETTANT’ANNI DI BOB DYLAN CON UNA BOMBASTICA INTERVISTA (RUBATA) DEL 1966 NELLA QUALE RIVELA DI ESSERE UN EROINOMANE - 2- “DIVENNI DIPENDENTE DA EROINA A NEW YORK. MOLTO, MOLTO DIPENDENTE. DICO DAVVERO, PER UN CERTO PERIODO MI FACEVO 25 DOLLARI DI EROINA AL GIORNO...” - 3- NEI NASTRI SI SENTE DYLAN DIRE ANCHE DI AVER PENSATO AL SUICIDIO. UN PENSIERO BALENATO NELLA SUA TESTA DOPO CHE LA GENTE COMINCIÒ A CONSIDERARLO UN GENIO. “LA MORTE PER ME NON SIGNIFICA NULLA FINCHÉ POSSO MORIRE IN FRETTA...\" - 4- SUICIDIO E DISPERAZIONE: \"NON PUOI ESSERE FELICE QUANDO FAI QUALCOSA DI FORTE\" - 5- “SONO STUFO DI FAR GUADAGNARE I LECCAPIEDI CON LA MIA ANIMA. QUANDO DOMANI PERDERÒ I DENTI, NON ME NE COMPRERANNO DI NUOVI IL PROMOTER O IL BOX OFFICE\"

Condividi questo articolo


1- \"SONO STUFO DI FAR GUADAGNARE I LECCAPIEDI CON LA MIA ANIMA\"
Dalla \"Bbc\"
http://bbc.in/kZ6YUb

dylanglaserdylanglaser

L\'intervista fu fatta alla fine di un concerto. Era la notte di un sabato di marzo, anno 1966, e Bob Dylan era a Lincoln, nel Nebraska, a bordo del suo aereo privato diretto a Denver. Insieme a lui, l\'amico e critico Robert Shelton. Un colloquio di due ore che Shelton in seguito descriverà come un \"monologo caleidoscopico\". Un nastro registrato in cui Dylan, che questa settimana compie 70 anni, confessa di essere stato dipendente da eroina.

\"Divenni dipendente da eroina a New York, molto, molto dipendente. Dico davvero, per un certo periodo fui davvero dipendente. Mi facevo 25 dollari di eroina al giorno\". Girava voce che Dylan ci fosse caduto, ma il critico del Daily Telegraph Mick Brown dice di non aver mai sentito l\'artista ammetterlo: \"È straordinario che potesse parlarne così candidamente\", afferma ora.

Nei nastri si sente Dylan dire anche di aver pensato al suicidio. Un pensiero balenato nella sua testa dopo che la gente cominciò a considerarlo un genio. \"La morte per me non è nulla - sostiene - la morte per me non significa nulla finché posso morire in fretta. Molte volte sono arrivato al punto di credere di essere capace di morire in maniera rapida. Sarei potuto andare oltre, avrei potuto farlo. Ammetto di aver avuto questa cosa suicida... ma l\'ho superata\".

Shelton descrive Dylan come irrequieto e volubile durante l\'intervista: ora vivace, ora abbattuto. E per essere un uomo che oggi fa ancora tour e incisioni, Dylan, si dimostra estremamente sprezzante per il proprio lavoro e per ciò che scrive.

\"Io la prendo meno seriamente di tutti. So che non mi aiuterà a finire in paradiso. Non servirà a salvarmi dalla fornace ardente. Non mi farà vivere più a lungo e non mi renderà più felice. Non puoi essere felice quando fai qualcosa di forte\", dice.

E cosa ti renderebbe felice, chiede Shelton? \"Io sono felice\", risponde Dylan, ma poi va avanti dicendo che \"felice\" è una parola a buon mercato e torna sul tema del suicidio: \"Io non sono il tipo di gatto che si taglia un orecchio se non riesce a fare qualcosa. Io sono il tipo di gatto che si suicida. Mi sparerei al cervello se le cose andassero male. Salterei da una finestra, mi sparerei. Sai che posso pensare alla morte, amico, posso pensarci tranquillamente\".

bobbob dylan harmonica

Il giorno successivo Shelton ha registrato un\'altra intervista di un\'ora e 40 minuti, presso il Motel de Ville, a Denver. Dylan indossa una vecchia maglietta sbiadita e dei jeans. Si arrabbia quando comincia a parlare della gente che lui crede si approfitti di lui. \"Sono stufo di far guadagnare i leccapiedi con la mia anima. Quando domani perderò i denti, non me ne compreranno di nuovi. Se non è il promoter a fregarti - dice - allora è il box office. Qualcuno ti fa sempre passare delle grane\".

Ascoltare la totalità dei nastri permette di capire molto bene lo stato d\'animo di Bob Dylan in quel momento. A marzo del 1966 Dylan era già una star internazionale. Accolto come una voce di protesta, un poeta e un profeta. La voce più importante della sua generazione. Ma dietro le quinte faticava a far fronte allo scrutinio globale e al peso delle aspettative della gente. Tuttavia si confidò con Robert Shelton, l\'uomo che famoso per averlo scoperto.


2- DYLAN, 70 ANNI \"ON THE ROAD\", UN NEVER ENDING TOUR PER ALLONTANARE LA MORTE: \"HO STRETTO UN PATTO DI FERRO CON IL COMANDANTE IN CAPO: QUELLO CHE STA IN ZONE DEL MONDO CHE NON SI POSSONO VEDERE. IL PATTO È NON FERMARSI MAI PER RIMANERE QUELLO CHE SONO\"
Gianni Poglio per \"Panorama\"

\"Mi infastidisce sentire la gente che straparla del mio Never ending tour. Ovviamente, tutto deve finire, niente è eterno. Quello che ci unisce e ci rende uguali è la nostra mortalità. Tutto deve giungere alla fine».

Risponde così Bob Dylan a chi gli chiede di spiegare il significato recondito di quello che ha fatto dal 7 giugno 1988 a oggi: 23 anni di concerti ininterrotti, duemilaquattrocento show sui palchi di tutto il mondo, una corsa a perdifiato nel tempo e nello spazio ribattezzata per l\'appunto Never ending tour.

bobbob dylan

L\'ultima eclatante impresa di un artista che ha lasciato l\'impronta su cinquant\'anni di musica, di un uomo di 70 anni (il 24 maggio) che negli ultimi due decenni ha visto spegnersi, uno dopo l\'altro, molti, troppi, di quelli che avevano percorso un pezzo di strada insieme a lui (gli amici George Harrison e Jerry Garcia dei Grateful Dead su tutti).

Il Dylan razionale è consapevole dell\'inesorabile destino dell\'uomo («Appena vieni a questo mondo, sei già pronto per lasciarlo» ha dichiarato più volte), il Dylan cantante, no. «Ho stretto un patto di ferro con il Comandante in capo: quello che sta in zone del mondo che non si possono vedere. Il patto è non fermarsi mai per rimanere quello che sono... Faccio tutto questo per ritardare la fine» ha confidato al giornalista della Cbs, Ed Bradley.

La fine, ancora tutta da scrivere, di una storia iniziata in un pomeriggio del 1959, quando Robert Zimmermann (il vero nome) da Duluth, Minnesota, afferrò una chitarra e si piazzò con il pollice per aria in direzione Denver, Colorado. «C\'era una vivace scena di musica folk a Denver, e gli avevano detto di rivolgersi a un cantante nero di nome Walt Conley. Era il gestore del Satire, un locale che scritturava strani gruppi come gli Smothers Brothers e i Brothers Four.

Conley aveva una piccola casa sulla East 17th Avenue. Dylan dormiva sul pavimento di Conley mentre Tommy Smothers si era sistemato sul divano. Conley lasciò che il vagabondo suonasse un set o due al Satire, condividendo il cartellone con gli Smothers Brothers, ma loro non gradirono molto la sua rozza performance» racconta Daniel Mark Epstein, poeta e biografo, autore del libro The ballad of Bob Dylan.

bobbob dylan blonde on blonde

No, non c\'era Denver nel suo destino, ma il Greenwich Village di Manhattan, un dedalo di strade tra locali alternativi artisti folk e intellettuali impegnati nelle battaglie per i diritti civili. Lì Dylan trovò casa, successo e credibilità. Intrecciando brani surreali e umoristici a inni generazionali come Blowin\' in the wind o Masters of war. Divenne il profeta della love and peace generation, inventò dal nulla la figura del cantautore rock e si mise al centro della scena musicale mondiale.

Testimone oculare di quell\'era che ha consegnato Dylan alla leggenda è Robbie Robertson, chitarrista e leader di The Band, il gruppo che lo ha accompagnato in concerto a metà anni Sessanta.

«Noi ci presentavamo in studio con la chitarra, lui con la macchina da scrivere. Noi attaccavamo gli strumenti agli amplificatori e lui preparava un caffè e agitava freneticamente i polpastrelli per digitare parole che diventavano testi e poi musica correlata a quei testi. Nessuno aveva mai lavorato così in sala d\'incisione. Aveva la spregiudicatezza di chi sa dove vuole arrivare.

Faceva cose che gli altri nemmeno si sognavano. Come quando decise di uccidere la sua immagine di menestrello folk e di presentarsi sul palco con noi, con alle spalle il suono di una rumorosa band rock. Furono fischi e uova quasi dappertutto. Avrei potuto raccoglierne a secchiate ogni sera. Molti avrebbero desistito, lui non lo ha fatto ed è diventato il più grande cantautore del mondo».

Ma anche un uomo in fuga, «il più ostinato degli indipendenti» ricorda Robertson «che ha speso metà della sua vita a fuggire dalle etichette che man mano gli venivano appiccicate addosso: «Bob» racconta il vecchio amico «è stato geniale: ha attraversato il mare rimanendo sempre asciutto.

bobbob dylan gal

Si è scansato da quelli che nell\'era Woodstock lo veneravano come \"l\'arcivescovo dell\'anarchia\", ha rifiutato l\'etichetta di portavoce di una generazione arrivando a nascondersi in una villetta del New Jersey per proteggere se stesso e la sua famiglia da gente che lo adorava come un santone, fermandolo per strada per chiedergli consigli su tutto, dalla politica internazionale alle coltivazioni di agricoltura biologica.

Ha superato indenne gli anni delle avventure \"acide\", lisergiche, quando era impossibile incontrare qualcuno che non si facesse di qualsiasi sostanza. Ricordo certe sere a casa mia, c\'era anche Martin Scorsese. Pura follia, fino a quando decidemmo che questa vita andava vissuta fino in fondo».

Come fa Dylan da più di vent\'anni, senza concedersi ai media, ma solo al pubblico che paga un biglietto per andarlo a vedere, incidendo dischi che conquistano Grammy e vette delle classifiche senza spiccicare una parola per promuoverli. In altre parole, la realizzazione del suo sogno più ambito: quello di diventare l\'uomo invisibile.

Talmente invisibile da essere scambiato, una manciata di mesi fa, per un vecchio eccentrico che spia dalle finestre in un quartiere povero di Long Branch, nel New Jersey. «Camminava da solo sotto la pioggia» rievoca Epstein «con un paio di pantaloni della tuta, stivali neri e una felpa blu con cappuccio impermeabile. Dylan proseguiva lungo la strada quando l\'agente Kristie Buble gli si accostò a bordo dell\'auto della polizia. Si fermò e gli chiese cosa stesse facendo in quel quartiere.

dylandylan spread

Lui rispose che stava guardando una casa in vendita. Fissò la ragazza. Aveva un visetto rotondo, grandi occhi scuri e un simpatico sorriso. Sembrava una teenager in uniforme da poliziotto. Gli chiese come si chiamava e lui disse: \"Bob Dylan\". \"D\'accordo, Bob\", disse l\'agente, stando al gioco. \"Che ci fai a Long Branch?\".\"Oh, sono in tournée da queste parti\" rispose in tono vivace l\'individuo sospetto. L\'agente Buble era dubbiosa. \"Non sapevo cosa pensare\". Quando gli chiese dove stava, lui rispose vagamente che i pullman del suo tour erano parcheggiati vicino a un grande albergo sull\'oceano».

Così, venne fatto salire sul sedile posteriore dell\'auto con le sirene. «Arrivati a destinazione» prosegue Epstein «l\'agente Buble bussò alla porta di un pullman del tour. La porta non si aprì immediatamente, ma una voce le rispose. La Buble domandò:\"Vi manca qualcuno?\". \"Chi lo vuole sapere?\".\"Lo voglio sapere io! Polizia!\". Ci fu un po\' di agitazione: il road manager trovò il passaporto di Bob Dylan e lo mostrò ai tutori della legge, i quali glielo restituirono permettendo a Bob Dylan di tornare al mondo dove poteva essere riconosciuto per quello che era: l\'uomo invisibile che torna a essere divo e personaggio pubblico solo quando si accendono le fluorescenti luci del Never ending tour.

 

 

Condividi questo articolo

ultimi Dagoreport

DAGOREPORT – JOE BIDEN VUOLE CHE GIORGIA MELONI METTA ALL’ORDINE DEL GIORNO DEL G7 L’USO DEI BENI RUSSI CONGELATI. PER CONVINCERE LA DUCETTA HA SPEDITO A ROMA LA SUA FEDELISSIMA, GINA RAIMONDO, SEGRETARIO AL COMMERCIO – GLI AMERICANI PRETENDONO DALL’EUROPA UN'ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ DOPO TUTTI I MILIARDI CHE WASHINGTON HA POMPATO A ZELENSKY. MA METTERE MANO AI BENI RUSSI È UN ENORME RISCHIO PER L’UNIONE EUROPEA: POTREBBE SPINGERE ALTRI PAESI (CINA E INDIA SU TUTTI) A RIPENSARE AI LORO INVESTIMENTI NEL VECCHIO CONTINENTE…