BOB DYLAN, PIOGGIA E VELENO - ALESSANDRO PORTELLI RACCONTA IN UN LIBRO LA RIVOLUZIONE CULTURALE DEL MENESTRELLO, A PARTIRE DALLA PIU’ GRANDE CANZONE DI PROTESTA,  “HARD RAIN…”, CHE LO FOLGORÒ NEL '64 “«DYLAN È IL PUNTO DI INCONTRO TRA MUSICA POPOLARE E LETTERATURA, HA FATTO MOLTO PIÙ DI CIÒ PER CUI HA AVUTO IL NOBEL” - QUELL’ APPARIZIONE AL FOLKSTUDIO DI ROMA NEL 1963…- VIDEO

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Roberto Festa per il Venerdì-la Repubblica

 

La storia dell' ultimo libro di Alessandro Portelli, Bob Dylan. Pioggia e veleno (Donzelli), inizia parecchi anni fa. È il 1964 quando Portelli, collaboratore di un programma di Radio Uno, Pomeriggio musicale, manda in onda A Hard Rain' s a-Gonna Fall. È la prima volta per una canzone di Bob Dylan alla radio italiana. Dylan era allora praticamente sconosciuto in Italia. Nel 1963 aveva fatto un' apparizione semiclandestina al Folkstudio di Roma.Poi, più nulla. «Chissà quanto ci sarà voluto per ascoltare un' altra canzone di Dylan nelle nostre radio», commenta ora Portelli.

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Bob Dylan. Pioggia e veleno ha un sottotitolo che racconta bene il suo contenuto: «Hard Rain», una ballata fra tradizione e modernità. Portelli concentra la sua analisi su questa canzone, scritta nell' estate del 1962 e inserita in The Freewheelin' Bob Dylan: «La più grande canzone di protesta un' epopea di sette minuti che annuncia un' apocalisse a venire», come la definì Rolling Stone. Portelli racconta il debito di Hard Rain con la canzone popolare - anzitutto la ballata anglo-scozzese Lord Randal e ancor prima quella italiana Il testamento dell' avvelenato; le immagini e le figure retoriche del testo; l' influenza di Rimbaud e la visione disperata della Storia che Dylan trasmette.

 

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Il libro di Portelli è però qualcosa di più dell' esegesi colta di una tra le canzoni più celebri di Dylan. Attraverso Hard Rain, Portelli racconta gli anni della scoperta della canzone folk americana, il suo lavoro di storico della cultura popolare e l' impegno per la riscoperta della tradizione orale. Nel libro c' è la ricchezza spesso fuggente della personalità di Dylan ma c' è anche il modo in cui quelle canzoni hanno cambiato le vite di molti in giro per il mondo. Perché, come spiega Portelli, «le grandi canzoni hanno una vita propria, che prescinde dalle intenzioni dell' autore».

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Un critico americano ha scritto che tutti ricordano dov' erano quando hanno ammazzato Kennedy. E che magari molti ricordano la prima volta in cui hanno ascoltato Dylan. Lei se lo ricorda?

«Perfettamente. Al liceo trascorsi un anno di studio negli Stati Uniti. Tornato in Italia, era il Natale 1963, i miei amici americani mi mandarono un regalo, In the Wind, del trio Peter Paul and Mary. L' ultima canzone dell' album si intitolava Blowin' in the Wind. Rimasi folgorato. Cercai di capire chi fosse l' autore, ma sull' etichetta c' era solo questa indicazione: "Dylan".

 

L' anno successivo un mio amico tornò dagli Usa con un disco di Joan Baez e anche qui c' era una canzone meravigliosa, With God on Our Side. L' autore era sempre lo stesso: il misterioso Dylan. Così quando il mio capoufficio al Cnr, dove allora lavoravo, andò negli Stati Uniti, gli chiesi di portarmi qualsiasi cosa trovasse di questo Dylan. Tornò con The Times They Are a-Changing. Lo misi sul giradischi, a casa. Fu un' esperienza incredibile. Era una voce che ti portava in una dimensione della realtà completamente nuova. Mio padre fece irruzione in camera mia e chiese di levare quella "vociaccia".Da quel momento, non sono più riuscito ad ascoltare le "belle voci", in senso classico».

JOAN BAEZ E BOB DYLAN A NEWPORT NEL 1964 JOAN BAEZ E BOB DYLAN A NEWPORT NEL 1964

 

Cosa aveva ascoltato, fino a quel momento?

«Harry Belafonte, Perry Como, Elvis Presley, il Kingston Trio. Nella mia testa di liceale di Terni, cresciuto in una famiglia tutto sommata moderata, rappresentavano l' immaginario dell' altrove, che fu poi la ragione per cui presi quella borsa di studio e andai negli Stati Uniti. Ma tra fine anni Cinquanta e inizi Sessanta arrivava in Italia pochissima musica popolare americana. Non si sapeva praticamente nulla».

 

Bob Dylan ha attraversato molte fasi nella sua vita di artista. Da quella prima volta nel 1963, è cambiato il suo ascolto di Dylan?

«È inevitabile. Dylan è sulla scena da almeno 56 anni. Sono due generazioni.

Per un ragazzo, ascoltare Dylan negli anni Novanta era un' esperienza molto diversa dalla mia del 1964. Il mio era un Dylan politico, legato alla protesta e al folk revival. Già dalla metà degli anni Sessanta, con il concerto a Newport e la rivoluzione rock, la sua musica cambia. È allora che le nostre strade si separano».

 

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In che senso?

«Nel senso che mentre Dylan si allontanava dalla politica, io mi ci buttavo completamente. Ovviamente, ho continuato ad ascoltarlo».

 

Deluso?

«No, perché? Ci fu un articolo su Linus, in cui si diceva che Dylan ci aveva preso in giro, che non credeva davvero a quello che scriveva. Scrissi all' autore dell' articolo, gli dissi: "Che m' importa che Dylan non ci abbia creduto? Ci ho creduto io". A parte che non penso che uno possa avere scritto The Lonesome Death of Hattie Carroll senza averci creduto».

 

L' imprendibilità è uno dei tratti più distintivi della personalità di Dylan?

«Una delle forme di resistenza di Dylan è resistere a ogni forma di interpretazione. Anche il modo in cui trasforma l' interpretazione delle sue canzoni più famose, a ogni concerto, è una forma di resistenza all' interpretazione. Sul muro del Bob Dylan Café di Shillong, in India, c' è la sua famosa frase: "Non posso essere altro che me stesso. Chiunque io sia"».

 

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Questa ambiguità riguarda anche la canzone oggetto del suo libro, A Hard Rain' s a-Gonna Fall.

«Dylan disse di averla scritta durante la crisi dei missili di Cuba (non era vero, l' aveva scritta qualche mese prima), ma ha spesso negato che la "pioggia dura" avesse a che fare con la bomba atomica. È comunque vero che nella canzone il dato storico si trasforma in archetipo e quindi A Hard Rain si rinnova a ogni ascolto. Nel testo Dylan parla di "spade taglienti in mano a bambini"; a me oggi vengono in mente i bambini soldato della Sierra Leone.

 

La canzone dice che "la faccia del boia è sempre ben nascosta" e oggi pensiamo ai poliziotti in assetto antisommossa. Il ragazzo protagonista di Hard Rain ha poi gli occhi azzurri. Non è soltanto un riferimento all' innocenza, è anche un dato etnico. Il ragazzo è scioccato perché il futuro che gli è stato promesso non ci sarà. Ma, come diceva Toni Morrison, i neri non hanno gli occhi azzurri. A me oggi vengono in mente i profughi alla frontiera; nemmeno loro hanno gli occhi azzurri. La promessa di futuro non è per tutti».

 

Hard Rain è appunto la storia di un ragazzo che vaga per un mondo devastato. Vede tristi foreste e oceani morti e sangue che sgocciola dai rami.Perché Hard Rain è così importante nella produzione di Dylan?

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«Perché illustra il suo essere all' incrocio tra passato e futuro, tra il folk e il rock, tra una storia profonda di memoria popolare - la ballata appunto - e un futuro tutto da immaginare. Dylan è il punto di incontro tra musica popolare e letteratura, oralità e scrittura, performance e testo. Gli hanno dato il Nobel perché avrebbe rinnovato la grande tradizione della canzone popolare americana. In realtà, Dylan fa molto di più. Salda memoria storica collettiva e un immaginario modernistico profondamente personale».

 

Cos' è il modernismo di Dylan?

«Dylan è modernista nel senso in cui lo sono Pound, Eliot, Yeats, Conrad. Vede la Storia come catastrofe, come terra desolata di decadenza e sconfitta. È una visione disperata che esprime una critica radicale al presente - ed è per questo che gli autori modernisti, spesso politicamente reazionari, piacciono a sinistra».

 

Un' ultima domanda. Nel libro lei scrive che la canzone di Dylan che ama di più è When the Ships Comes In. Perché?

«Per ragioni affettive. L' ascoltai in quel disco che mi portarono dall' America. E poi perché è il contrario di Hard Rain: è piena di immagini di luce, di natura che si spalanca; e c' è il riferimento a Davide che sconfigge Golia, che a uno come me, che si preparava a essere travolto dal Sessantotto, faceva un certo effetto. Oggi, quando Dylan la canta, dice che i Golia si sono moltiplicati e fanno cose più crudeli ma che Davide alla fine vincerà. Io ho qualche dubbio in più, ma stiamo a vedere».

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