COLPI DI BUZZ-ANCA: “IL MERLO MASCHIO È UN POVERO STRONZO. LA DONNA NON VUOLE IL CAZZO DI UN UOMO MA DESIDERA IL SUO CERVELLO: È PER QUELLO CHE FINISCE SEMPRE MALE’’

Lando Buzzanca: “All’inizio non avevo una lira, ho fatto il puttano. Per le femministe ero il diavolo ma di loro me ne fregavo. Il mio cinema non era volgare - “Carmelo Bene? Un felino selvaggio ma si lavava poco” - “Mi arrapano le rotondità. Io le conobbi a 12 anni da una fantastica mignotta di mezza età. Un’estasi che non ho più dimenticato”...

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Malcom Pagani e Fabrizio Corallo per “Il Fatto Quotidiano

 

lando buzzanca IL RESTAURATORE lando buzzanca IL RESTAURATORE

All’onorevole piacevano le donne, all’arbitro le lenzuola aggrovigliate e all’Homo eroticus il ricordo di certi viaggi sudamericani: “Negli Anni 70 ero diventato un neologismo. A Città del Messico, quando vedevano un ragazzo in compagnia di due ragazze, dicevano ‘chi credi di essere? Lando Buzzanca?’”.

 

A 79 anni, in accappatoio rosso, sorriso pieno e loquela direttamente proporzionale alle tante avventure esistenziali, l’ex vichingo venuto dal Sud si sente ancora sul palco. Mentre parla, recita. Falsetti, canzoni, onomatopee, suoni assortiti, anglismi: “Anche se la parola ok, ad esempio, mi ha sempre ripugnato”.

 

Lando Buzzanca Lando Buzzanca

Oltre cento titoli: “Non rinnego niente, i film che ho fatto sono tutti figli miei e se sono stato sfruttato mi sono sicuramente anche lasciato sfruttare”, l’esordio con Germi, le parti con Risi, Steno e Lattuada, la mitologia della conquista, i set divisi con Claudia Cardinale, Catherine Spaak e Joan Collins, l’appartenenza politica: “Ero e sono di destra, ma non ho mai covato alcuna nostalgia mussoliniana. Mi piaceva Almirante, questo sì.

 

Lo conobbi a Sabaudia, al ristorante Saporetti, ci abbracciamo senza proferir parola. Aveva gli occhi lucidi. Sentiva il mio affetto, la mia ammirazione e Almirante il fascista, uno che all’Autogrill Cantagallo, nel ’73, si era visto rifiutare persino il caffè, attirava odio come la calamita il ferro”.

 

Venne anche scritta una canzone in bolognese: “Poc da fèr mò què a Bulagna pr’i fasesta an’gn’è gnanc un panein”. “C’è poco da fare, qui a Bologna per i fascisti non c’è neanche un panino”.

Ma vi rendete conto? Erano anni folli. Violenti. Conformisti. Essere di destra, quando la politica aveva ancora un senso, era una scelta difficile per un attore.

silvio berlusconi silvio berlusconi

 

Non c’erano tanti missini nello spettacolo italiano.

C’erano, ma rimanevano nascosti. Firmavano gli appelli dei compagni e poi in privato si esprimevano diversamente.

 

Per le femministe lei somigliava al diavolo.

Ma era politica, anche lì. Mi rinfacciavano i ruoli e l’eccessiva prolificità. È vero, ero ovunque, giravo cinque commedie l’anno. Ma quando lo faceva Alberto Sordi non lo colpevolizzava nessuno, se a interpretare i film ero io, lo scandalo era immediato.

 

Sostenevano che nei suoi film la visione della donna indulgesse al maschilismo.

I film non erano volgari, ma loro li criticavano senza averli visti. La verità è che me ne fottevo. Del loro giudizio mi importava poco o niente.

 

Gianfranco Fini Gianfranco Fini

Recitare in film come “La schiava io ce l’ho e tu no” rappresentava un rischio calcolato?

Quanto mi incazzai per quel titolo. All’inizio doveva essere solo La schiava, ma Felice Colaiacomo della Medusa aveva dubbi e riserve: ‘Lando, così sembra un film storico, non ci va nessuno’. Risposi che andava benissimo: ‘Non vi azzardate a cambiarlo’, ma Felice fece di testa sua e scoprii la sorpresina direttamente in sala.

 

Comunque per me le femministe non esistevano e non esisteva veramente neanche l’uomo con tre palle, lo stereotipo dell’allegro conquistatore compulsivo che mettevo in scena. Era una parodia e anche se nella parodia c’era qualche tratto di verità, quell’uomo rimaneva solo un povero stronzo. Un illuso.

 

Perché?

Perché la donna non vuole il cazzo. Lo usa solo per divertirsi. Di un uomo la donna desidera il cervello, è per quello che finisce sempre male. La monogamia è solo per gente in odore di santità.

giorgio almirante manifesto MSI DN giorgio almirante manifesto MSI DN

 

Lei dal novero dei probi si esclude.

E mi escludo sì. Ma l’amore l’ho fatto solo con quella straordinaria donna di mia moglie. Veniva da un’importante famiglia di gioiellieri e io non avevo un soldo in tasca. La sposai quando aveva 18 anni contro il volere dei suoi genitori che la cacciarono di casa.

 

Carmelo Bene Carmelo Bene

Ha sempre creduto in me, mi ha sopportato. Le ragazze mi assediavano, le sue amiche le dicevano cose tremende: ‘Se solo non ci fossi tu, mi sarei già portato a letto tuo marito’. Lei era tranquilla, sapeva che le altre non contavano niente. Poi anche io avevo i miei limiti. Una volta a un premio a Taormina incontro una giornalista tedesca. Voleva scoparmi a ogni costo: ‘Vengo io da te o tu in camera mia?’.

 

E lei?

Rimasi da solo nella mia stanza. Lei era bella, ma non mi attraeva. Anche se il maschio può fare 365 figli all’anno e la donna solo uno, scopare sempre non si può. Ci vuole l’attrazione e alle tedesche ho sempre preferito le italiane.

 

LUCHINO VISCONTI LUCHINO VISCONTI

Mi arrapano i fianchi, le curve, le rotondità. Le forme delle italiane sono indiscutibilmente femminili. Io le conobbi a 12 anni. Da una fantastica mignotta di mezza età mi portarono gli amici. La vidi nuda sul letto e in mezzo alla foresta nera, scorsi due peli bianchi. Impazzii. Mi gettai in mezzo con il volto. Un’estasi che non ho più dimenticato.

 

Da che famiglia veniva?

Ero il primo di otto figli. Negli anni della guerra, per proteggere la famiglia, Papà che era un uomo straordinario e che aveva già tre bocche da sfamare ci portò via da Palermo. Ci trasferimmo a Mazara del Vallo. Lui lavorava come elettricista e proiezionista al Teatro Vaccara. Io sempre dietro. Curioso. Entusiasta. Il ragazzino di Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore sono io. Sul palco salii a sei anni per la Bohème.

 

ALBERTO SORDI NE I VITELLONI ALBERTO SORDI NE I VITELLONI

A sei anni? In che ruolo?

Una compagnia di ventura mi offrì di fare la comparsa quasi per caso. Dovevo recitare nella scena in cui Parpignol offre giocattoli ai bambini e ne avevo una pazza voglia, ma papà era contrario. ‘Non vale la pena e se poi ti metti a piangere?’. Io non capivo. Mi chiedevo: ‘Perché mi vuole impedire di partecipare a un’esperienza così bella?’. Alla fine acconsentì. Entrai in scena e vidi uno sconfinato mare di occhiali. In platea erano tutti vecchi. Io, un ragazzino ebbro di gioia. Decisi che avrei provato a replicare la stessa felicità per tutta la vita.

 

Ci è riuscito?

claudia cardinale claudia cardinale

Ci ho provato. A 18 anni ho lasciato il Liceo Scientifico. Mi sentivo legato. Papà mi avrebbe voluto avvocato. Mia madre, medico. Non volevo saperne: ‘Se pensate davvero che frequenti l’università per 5 anni siete pazzi’. Scappai di casa e fuggii a Roma. All’epoca si diventava maggiorenni a 21 anni e papà mi inseguì fino al treno: ‘Tu domani torni con i Carabinieri, garantito’.

 

 Lei non tornò.

 Sarebbe stata una sconfitta, sapevo quello che volevo fare e quel che volevo fare non era rimanere a Palermo. In piazza Politeama, dove ora c’è un Bingo, poco prima di lasciare la città feci un numero a colori.

 

Al cinema proiettavano Le nevi del Kilimangiaro e durante la pausa, mentre i venditori di cioccolate e caramelle erano presi d’assalto, mi alzai in piedi e iniziai a gridare: ‘Guardatemi adesso perché tra qualche anno dovrete pagare per vedermi’. Cominciarono a piovere i fischi, gli ‘smettila di dire minchiate, scemo’, i ‘vafangulo curnutu’. Io ridevo. Ero convinto che se non avessi fatto l’attore sarei morto a vent’anni.

 

 Che ricordi ha di Roma?

CATHERINE SPAAK NEL SORPASSO DI DINO RISI CATHERINE SPAAK NEL SORPASSO DI DINO RISI

Ci arrivai il primo novembre del ’53. La città era un paesone. In tasca avevo 500 lire e un pacchetto di sigarette. Mangiai, dormii e poi i soldi finirono. Non sapevo dove cazzo andare e così iniziai a camminare. Arrivai davanti al Colosseo e vidi Franca Valeri, Raf Vallone e i macchinisti del cinema. Si girava Il segno di Venere di Dino Risi.

 

Incontro il regista e mi offro. Con Risi accadeva che il suo amico De Sica, oltre a recitare, desse una mano a dirigere. Così Dino mi porta al suo cospetto e nonostante per Vittorio covassi adorazione, non mi emozionai. Mi fanno provare. Devo dire ‘Fatte sposà’ e nonostante un fortissimo accento siciliano, mi prendono. Mi danno duemila lire. ‘Altri quattro giorni’, penso. Con Dino rimanemmo in ottimi rapporti. Quando anni dopo feci I mostri, recitai a titolo gratuito. Era stato magnanimo quando da cameriere facevo più o meno la fame.

joan collins (23) joan collins (23)

 

Lei ha guadagnato molto denaro?

Anche più di Sordi. Ho guadagnato molti soldi e altrettanto ne ho fatti guadagnare ai produttori. All’estero i miei film erano pagati una fortuna. Poi certo, ho anche tanto sperperato. Pochi anni fa ho pagato 600 milioni di lire all’erario.

 

Fa parte dello sperpero?

Fa parte dei debiti che vanno estinti, della coscienza e dei commercialisti stronzi che ognuno di noi incontra sul cammino. Negli anni feci trasferire in Svizzera parte dei compensi guadagnati con i miei film. Quando mi beccarono avrei potuto protestare, ma pagai fino all’ultima lira senza fiatare. Sapevo di aver sbagliato, sapevo di dover restituire.

 

Si è divertito negli ultimi 79 anni?

Sempre. Non mi sarei aspettato di farcela. All’inizio non avevo una lira, facevo i brusii in teatro, raccattavo lavori qui e là. Mi sono anche prostituito. Ho fatto il puttano. Andai da una donna più grande che per non farmi andar più via mi minacciò con la pistola.

Franca Valeri la signorina snob diventa dottoressa honoris causa Franca Valeri la signorina snob diventa dottoressa honoris causa

 

Tempi tumultuosi.

Per fortuna ci sono stati anche gli amici come Mario Maldesi, un uomo meraviglioso che mi aiutò quando settimanalmente incidevo nella cinta un buco in più. ‘Mario aiutami, guarda che qui mi cacciano di casa’. Lui fu fantastico. Mi portò da Visconti per il doppiaggio de Il Gattopardo facendosi strada: ‘Questo lo può fare solo Buzzanca’.

 

E lei?

Andai al cospetto di Visconti e mi schermii. Salvo Randone, un attore commovente nonostante la bocca a culo di gallina, sentendosi sminuito, aveva mollato il doppiaggio di Burt Lancaster e Luchino era incazzatissimo. Sapevo quanto poteva essere duro e preoccupato, misi le mani avanti: ‘Don Luchino, francamente non so se sono in grado e i vaffanculo da lei non voglio prenderli’.

 

Mi guarda. Mi studia. Poi parla: ‘Proviamo’. Andò bene, ma Visconti, regista sommo e pedagogo che spiega al volgo i segreti dell’aristocrazia, aveva il vizio di andare con i ragazzini e un carattere terribile. Trattava la gente a pesci in faccia. Con cattiveria. A Helmut Berger riservava delizie: ‘Stai zitta, puttana’, intorno a lui c’era un alone di terrore.

 

Raf Vallone Raf Vallone

Ha mai litigato su un set?

Rare volte. Però devo dire la verità. Le cose non si possono imbrogliare.

 

E qual è la verità?

Il cinema italiano tra i ‘60 e i ‘70 era un circo incredibile. Poteva accadere di tutto. I ruoli erano intercambiabili. Sapete quante volte mi hanno proposto di girare le mie storie da solo? Poi a volte ce la prendevamo comoda, ci rilassavamo eccessivamente. Per Caccia alla volpe, film con Peter Sellers nel ’65, a Ischia, il clima era da villaggio vacanze.

 

Nessuno rispettava le convocazioni, arrivavamo sul set alla rinfusa, come un’Armata Brancaleone. A un certo punto il produttore si incazzò: ‘Adesso basta, da domani tutti al lavoro alle 8 di mattina’. Ancor di più di lui si infuriò il regista De Sica che era abituato a svegliarsi tardi e ad addormentarsi quasi all’alba.

 

Nel 1970, con Delia Scala, portò in tv “Signore e signora”.

La Rai decise di affidarmi un programma e i dirigenti mi fecero parlare di contenuti con Amurri e Jurgens, gli autori. Loro mi avrebbero voluto circondato da cinque donne in scena. Dissi che non ne avevo bisogno, che ero solo un attore e mi sarebbe bastata la presenza di Delia Scala per fare un grande show.

 

dino risi dino risi

Sognavo di interpretare qualcosa di simile alla commedia musicale. Amurri e Jurgens dubitavano: ‘Nella tv italiana non si è mai fatta’. Io insistevo: ‘Lasciate gli sketch aperti e portatemi Delia’. Andammo in scena mesi dopo. ‘Mi vien che ridere’, ‘L’amore non è bello se non è litigarello’, 22 milioni di spettatori. C’era da montarsi la testa, ma la salvezza, se esiste, passa per l’autoironia. Quando mi chiamano maestro, replico: ‘Per adesso ancora bidello’.

 

Dopo i successi e l’iperproduzione degli Anni 70 ha lavorato molto meno.

Feci teatro. Una scelta. Erano arrivati i Pierino, i rutti, la commedia scorreggiona. Io avevo fatto un percorso diverso che per far ridere, non doveva aggrapparsi al peto. Così dissi no, fissai un limite preciso e la pagai. Ricordo un copione in cui io ed Edwige Fenech, donna meravigliosa, avremmo dovuto recitare coperti solo da una foglia di fico. Una cosa più greve che sensuale. I produttori reagirono in blocco: ‘Fai lo stronzo? E noi ti facciamo sparire’. E sparii. In effetti sparii.

 

Carmelo Bene la amava.

Carmelo, che si lavava poco e diceva buongiorno con gli occhi cisposi, era un felino selvaggio e una persona eccezionale. Mi voleva bene, ricambiato.

 

BURT LANCASTER BURT LANCASTER

 Le volle bene anche Roberto Faenza. Dopo anni di oblio le offri un importante ruolo ne “I Vicerè”.

Roberto è molto comunista, ma come Moravia che conobbi ai tempi di Io e lui girato da Luciano Salce, molto onesto. Con Faenza ho lavorato benissimo. Venni candidato al David di Donatello come miglior attore, ma me lo scipparono. Mi ricordo ancora la sua telefonata: ‘Te l’hanno rubato Lando, te l’hanno rubato perché non sei di sinistra’.

 

Ed era vero?

E certo che era vero. Pensi che anni fa, a una rassegna, mi viene incontro un ragazzo: ‘Sa Buzzanca, io non ho mai visto un suo film perché i miei mi han sempre detto che lei è di destra’.

 

Le manca Berlusconi?

Mi è sempre stato molto simpatico. Gli piacciono le ragazze, lo sappiamo, ma ho sempre sostenuto che se dà un paio di colpi di minchia di qua e di là non fa nulla di male. Ha fatto delle stronzate, è vero, ma chi è che non le fa? Quelli che governano oggi, i Renzi, quante ne fanno?

 

Berlusconi ha dato lavoro a migliaia di persone senza chiedere tessere, a iniziare da un enorme pezzo di sinistra italiana. O vogliamo dimenticarlo questo fatto? E vogliamo dimenticare che con quel Duomo in miniatura potevano ammazzarlo?

 

Roberto Faenza Roberto Faenza

Non dimentichiamo. Si chiamava Tartaglia.

Non scherziamo. Avrebbe potuto rovinarlo, quel Tartaglia. E invece lo ha lasciato stare. La verità è che di Berlusconi sono stati invidiosi in molti e con lui hanno vinto in tanti. Anche la sua ex moglie, un ex attrice mediocre che oggi vive come una regina.

 

Lei gli perdona tutto. Promesse tradite, leggi infrante.

Ma siete sicuri che abbia infranto la legge? Io non sono sicuro per niente. C’è una sentenza? E vabbè. Credo che come tutti quelli che accumulano ricchezza, Berlusconi abbia trafficato e sia stato senz’altro furbo. Non è un personaggio da commedia all’italiana perché è la commedia all’italiana. A differenza di Gianfranco Fini, tipo tragico. A lui non perdono tutto. Mi ha deluso. Pensavo fosse un giovane Almirante. Mi sbagliavo.

 

Sbagliarono anche i giornali quando diedero per certo il suo suicidio.

Stavo per iniziare a girare la seconda serie de Il restauratore (in onda da stasera su RaiUno, ndr). Ero preoccupato per qualche cambio nel copione e passai in bianco una notte di tormenti. A forza di ragionare venne l’alba. Mi preparai un bagno, mi versai una

Alberto Moravia e Carmen llera Alberto Moravia e Carmen llera

grappa e andai verso la vasca. Lì svenni e mi ferii con un vetro. Non provai davvero ad ammazzarmi, ma forse freudianamente, lo raccontai a una giornalista al di là della mia volontà.

 

Come accadde?

Con quella giornalista parlavo di mia moglie. Quando lei morì all’improvviso, in effetti, ebbi un crollo emotivo e ad ammazzarmi pensai. I miei figli capirono che non temevo di compiere il gesto e fecero quadrato: ‘Papà abbiamo già perso mamma, non ci dare il dolore di perdere anche te’.

 

E lei è rimasto qui.

Anche per lei. Era la mia prima sostenitrice. Sposò un morto di fame contro ogni ragionevolezza e nel 1966 comprò la casa in cui siamo adesso mentre io le urlavo di fermarsi. Di riflettere. Al telefono da Barcellona gridavo: ‘Che fai? Stiamo facendo il passo più lungo della gamba’. E Lei, zitta e fiduciosa, camminò per tutti e due. Ho sempre sognato fosse orgogliosa di me. Ho lavorato per questo. Ho vissuto per questo.

 

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