COME SI FA A NON AMARE ADELE? - LA CANTANTE INGLESE SI ESIBISCE ALL'ARENA DI VERONA, SUPERANDO IL SUO TERRORE DEL PUBBLICO IN DUE CONCERTI TRIONFALI - MA A COPENHAGEN DIMENTICA IL TESTO DEL SUO Più GRANDE SUCCESSO, 'ROLLING IN THE DEEP', IMPRECA SUL PALCO E RIDENDO CHIEDE DI RICOMINCIARE (VIDEO!)

Le interminabili chiacchierate tra una ballata e l’altra - a interloquire con il pubblico, indugiare sui selfie con due adolescenti baresi, civettare con le prime file, azzuffarsi con la zanzara che le ronza intorno, cantare “happy birthday” alla sua migliore amica al telefono - sono una leggerezza, ma riesce sempre a riallacciare il filo...

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VIDEO - ADELE A COPENHAGEN DIMENTICA LE PAROLE DEL SUO PIÙ GRANDE SUCCESSO ''ROLLING IN THE DEEP'', IMPRECA DAVANTI A TUTTI E RIDENDO CHIEDE DI RICOMINCIARE DA CAPO

 

 

 

LADY VOICE - ADELE, TRIONFO ALL’ITALIANA COSì CON MUSICA E PAROLE HA VINTO NELL'ARENA

 

Giuseppe Videtti per “la Repubblica

 

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Ha vinto la paura con la spavalderia. Cantando Hello, il suo più recente, malinconico inno, ha attraversato l’Arena. Il palco deve esserle sembrato un miraggio laggiù in fondo, arredato con la gigantografia dei suoi occhi perfettamente truccati che all’improvviso si spalancano ammiccando languidamente alla platea. Eppure Adele non ha tradito emozioni, stretta tra due ali di pubblico in delirio ha raggiunto lentamente l’orchestra spiegando la voce con la padronanza e il controllo che tutti, perfino Aretha e Beyoncé, le invidiano.

 

A Verona, due concerti ieri e sabato sera, trentamila paganti, è stato un trionfo. La magia delle vecchie mura, il pubblico cosmopolita, la calda sera d’estate, il tramonto suggestivamente ingoiato dalla notte hanno creato una piacevole e intima alcova per le canzoni della regina del pop. «La platea m’innervosisce, perdo il controllo della voce, ho il terrore di rimanere senza», ci confidava all’indomani della pubblicazione di 25, il terzo album, quando già metteva a punto questo primo tour mondiale di 104 date.

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Forte di 60 milioni di copie vendute e alla vigilia di un nuovo contratto che pare le frutterà non meno di 120 milioni di euro, Adele ha dimostrato di aver sconfitto quello che gli inglesi chiamano “stage fright”, il terrore del palcoscenico che paralizza anche veterani come la Streisand. Solo una volta, durante Love in the dark, eseguita per la prima volta dal vivo, è inciampata sul testo; le altre diciotto esecuzioni sono state impeccabili.

 

Non si è neanche concessa la timidezza di confondersi tra gli orchestrali (molti archi, molti cori, molto pianoforte e percussioni); lei, perfetto esempio di bellezza curvy, impeccabile nel suo scintillante Burberry’s da gran sera, è rimasta per due ore distante almeno dieci metri dalla band, sola sul fronte del palco, tranne per un piccolo e magico set acustico ( Million years ago, Don’t you remember, Send my love to your new lover) in cui alcuni dei musicisti le si sono stretti intorno.

 

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Ci sono momenti in cui l’intensità lascia senza fiato, l’esecuzione di One and only ad esempio, mentre il maxischermo rimanda immagini del bellissimo viso; la dylaniana Make you feel my love; I miss you, scandita da percussioni che rimestano nel profondo. Nel vocabolario di Adele cuore non fa rima con amore, i testi raccontano lo strazio dell’abbandono, la perdita dell’innocenza, lo slittamento inesorabile verso l’età adulta; sono canzoni che nel live vanno confezionate con cura e rispettate per non distruggerne il pathos. Sembra che Adele, ora certamente più felice che agli esordi, ne stia invece trascurando il potere, e questo è il tallone d’Achille dello spettacolo.

 

Le interminabili chiacchierate tra una ballata e l’altra - a interloquire con il pubblico, indugiare sui selfie con due adolescenti baresi, civettare con le prime file, azzuffarsi con la zanzara che le ronza intorno, cantare “happy birthday” alla sua migliore amica al telefono - sono una imperdonabile leggerezza, una distrazione dal soul, un filo che si spezza e che ogni volta è costretta a riannodare (senza fatica, bontà sua). La sontuosa Skyfall (che le ha valso un Oscar), tra ciance e uno humour cockney che non tutti afferrano, sembra annacquata. S’improvvisa comedian, lo fa con una certa grazia, ma gli intermezzi sono esageratamente lunghi e le canzoni diventano barchette in un mare di parole.

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I momenti magici arrivano alla fine, quando tutte ma proprio tutte le ragazze dell’Arena cantano con lei Chasing pavements, Someone like you e Set fire to the rain. Insignificante All I ask in apertura dei bis (il brano debole di 25 sembra un outtake di Whitney Houston), travolgente invece la chiusura con When we were young, in cui la voce arriva alle stelle, e Rolling in the deep, la sua chiave d’accesso nell’olimpo del pop.

 

Non è solo il music business a volere il sangue dagli artisti. Siamo soprattutto noi, il pubblico. La vorremmo in eterno regina dei cuori infranti, triste e pensosa come in certi soliloqui che hanno preceduto Rumor has it e Don’t you remember: «Capita di essere autodistruttivi, di temere la fine di un amore proprio quando il legame è più forte e prezioso. Quante volte nella coppia la situazione diventa così insostenibile? E allora lasciarsi diventa una liberazione». Ma Adele non ci sta, nelle canzoni sfoga il malessere, nelle battutacce l’allegria della “spice girl” (dopotutto ha solo ventotto anni). Non le verrà mica in mente di fare un disco felice?

 

 

 

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