LETTERA SCARLETT - CRITICATA DAGLI ATTIVISTI PRO-PALESTINA PER LO SPOT A UNA BIBITA ISRAELIANA, LA JOHANSSON SCEGLIE I COLONI EBREI E RINUNCIA AL RUOLO DI AMBASCIATRICE DELL’ONG OXFAM

L’attrice precipita nel vortice del conflitto mediorientale: il gruppo umanitario ha definito ‘incompatibile’ il suo ruolo con la scelta di promuovere ‘Soda Stream’ l’azienda israeliana che opera negli insediamenti – In Israele, il quotidiano ‘Haaretz’ le riconosce il merito di saper difendere lo stato ebraico meglio del ministero degli esteri…

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Maurizio Molinari per ‘La Stampa'

Paladina di un nuovo simbolo di coesistenza fra israeliani e palestinesi o simbolo dell'apartheid in Cisgiordania? L'attrice Scarlett Johannsson precipita nel vortice del conflitto mediorientale per la scelta di essere la testimonial di «SodaStream», la bevanda gassata fai-da-te «made in Israel» realizzata anche in una fabbrica di Maalei Adumim, un insediamento ebraico a Est di Gerusalemme oltre la linea verde del 1967 e dunque nella Cisgiordania rivendicata dai palestinesi.

SCARLETT JOHANSSON NELLA PUBBLICITA SODASTREAMSCARLETT JOHANSSON NELLA PUBBLICITA SODASTREAM

Per i portavoce della campagna araba Bds - Boicotta, disinvesti e sanziona contro i prodotti che vengono dai Territori occupati - l'attrice di Hollywood che Woody Allen ha voluto per «Match Point», «Scoop» e «Barcelona», è diventata il «volto dell'apartheid contemporaneo» e la tv al-Jazeera da giorni mette in risalto le proteste contro di lei nel mondo arabo. In Israele la reazione è opposta: i circa 500 mila abitanti degli insediamenti ebraici in Cisgiordania considerano l'attrice una paladina e il quotidiano liberal «Haaretz» le riconosce il merito di «saper difendere Israele meglio del nostro ministero degli Esteri».

L'aspra battaglia di opinioni è arrivata fin dentro il team dell'attrice perché Oxfam, la campagna internazionale che riunisce 17 organizzazioni anti-povertà in 90 Paesi, le ha chiesto di fare marcia indietro o rinunciare alla carica di «ambasciatrice globale» da lei ricoperta.

SCARLETT JOHANSSON NELLA PUBBLICITA SODASTREAMSCARLETT JOHANSSON NELLA PUBBLICITA SODASTREAM

«La scelta di promuovere SodaStream è incompatibile con il suo ruolo per Oxfam - recita il comunicato di condanna - perché riteniamo che operando negli insediamenti questa azienda contribuisca ad accrescere povertà e negazione dei diritti umani nella comunità palestinesi che sosteniamo».

Da qui la richiesta a Johannson, che nel 2012 fu la Vedova Nera in «The Avengers», di troncare ogni accordo con l'azienda israeliana, a cominciare dallo spot che verrà trasmesso durante la finale del SuperBowl ovvero l'evento sportivo più seguito in tv dal pubblico negli Stati Uniti.

SCARLETT JOHANSSON NELLA PUBBLICITA SODASTREAMSCARLETT JOHANSSON NELLA PUBBLICITA SODASTREAM

La risposta dell'attrice è arrivata con poche righe del proprio ufficio stampa: «Johannson è molto fiera del lavoro fatto per Oxfam ma sono in disaccordo riguardo la campagna Bds» e il motivo è che «SodaStream è un'azienda non solo impegnata nella tutela dell'ambiente ma anche nella costruzione di un ponte di pace fra Israele e Palestina, sostenendo il lavoro fianco a fianco, paghe uguali per tutti, pari benefici e pari diritti».

FOTOMONTAGGI SU SCARLETT JOHANSSON TESTIMONIAL SODASTREAMFOTOMONTAGGI SU SCARLETT JOHANSSON TESTIMONIAL SODASTREAM

Ovvero, l'attrice del Bronx che diede il volto ad uno dei primi video «Yes we Can» della campagna di Barack Obama nel 2008 e che ha poi sostenuto le nozze gay in America, anziché indietreggiare rilancia: identificando in «SodaStream» un modello positivo per la Cisgiordania perché basato sull'integrazione fra palestinesi ed israeliani. È la tesi del ceo di «SodaStream», Daniel Bimbaum, che definisce l'impianto di Maalei Adumim «un modello di pace».

Scarlett Johansson moviesScarlett Johansson movies

A pensarla differentemente sono però alcuni dei suoi dipendenti arabi che, protetti dall'anonimato, descrivono a Reuters una realtà diversa: «In fabbrica c'è molto razzismo, gran parte dei manager sono israeliani e i dipendenti palestinesi non hanno coraggio di chiedere aumenti nel timore di essere licenziati e rimpiazzati».

 

 

 

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