A LETTO CON MADONNA - IN UN DOCUMENTARIO LA VERA STORIA DEI SETTE BALLERINI (6 GAY E UNO ETERO) CHE ACCOMPAGNARONO LA NONNA DEL POP NELLO SCANDALOSO ‘BLOND AMBITION TOUR’ DEL 1990 - QUEI RAGAZZI CHE MADONNA CHIAMAVA “I MIEI FIGLI” BALLARONO UNA SOLA STAGIONE POI SI SGRETOLARONO IN UN NULLA FATTO DI ALCOL E DROGHE - VIDEO -

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BALLERINI MADONNA BALLERINI MADONNA

Giuseppe Videtti per la Repubblica

Oggi hanno qualche chilo in più, qualche ruga in più, qualche filo bianco tra i capelli. Oggi non sono più i magnifici sette che accompagnarono Madonna nello scandaloso Blond Ambition Tour del 1990 e nel controverso A letto con Madonna, il film che documentò i trionfi di quello spettacolo monstre diretto da David Mallett che diventò un must della cultura omosessuale.

 

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I ballerini, sei gay e uno etero (omofobico redento), che si mettevano provocatoriamente in posa con Maddy durante le esecuzioni di Vogue, Material girl e Like a virgin sono rimasti in sei, Gabriel Trupin è morto nel 1995 di Aids. Nel docu-film Strike a pose, diretto da Ester Gould e Reijer Zwaan, (nelle sale il 5 e 6 dicembre distribuito da Nexo Digital), il ricordo del ballerino preferito dalla diva bionda è affidato alla voce della madre.

 

Ma gli altri ci sono tutti, radunati dagli autori per una sorta di flusso di coscienza che potrebbe sembrare un’inutile appendice di A letto con Madonna e invece ne è il proseguimento ideale; un dietro le quinte lucido e coraggioso, il lato oscuro del glamour. Oggi hanno in media 46 anni, e poco da mettere in posa.

 

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Eppure il ricordo di quella stagione fulminante li fa sentire di nuovo fratelli, li fa piangere, ridere, dannarsi. Quei ragazzi che Madonna chiamava “i miei figli” furono falene che volarono una sola stagione intorno a una luce artificiale che bruciò loro le ali. Divennero simboli, desiderati, amati, ma, spente le luci del Blond ambition, incapaci di volare.

 

 Nel periodo terribile in cui il flagello dell’Aids riaccendeva le micce dell’omofobia, Madonna esibì i suoi “figli” per appoggiare i diritti degli omosessuali, la libertà di espressione e la lotta contro l’Aids. Nel film mostrò un bacio tra due ballerini che fece tremare l’America e fu condannato da talk show e media conservatori. I magnifici sette non erano pronti a quel linciaggio mediatico né avevano il suo potere e la sua determinazione per sopravvivere a famiglie ostili, omofobia e controllo sociale.

 

Sul palco si erano identificati con gli slogan “non preoccuparti di essere giudicato, non preoccuparti di quel che pensano gli altri, sii sempre te stesso”, a riflettori spenti si ritrovarono da soli a combattere con i loro segreti, i lati oscuri delle loro vite, le fragilità e gli attacchi; troppo giovani per rinunciare al successo che avevano assaporato, troppo esposti per ripartire da zero. 

 

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Ricevevano (e ricevono ancora) lettere dall’America profonda, ragazzi che li ringraziavano per aver dato loro il coraggio di uscire allo scoperto, di aver preso in mano le sorti del loro destino, di non essersi sentiti più a disagio con la loro sessualità. «Mi trasmisero l’audacia di cui avevo bisogno. Per la prima volta vedevo omosessuali che erano persone normali, e volevo essere uno di loro», dice uno degli intervistati.

STRIKE A POSE FILM STRIKE A POSE FILM

 

Non è l’euforia del “vogueing”, il ballo lanciato da Madonna, a incendiare Strike a pose, ma i close-up dei sei protagonisti (e della mamma di Gabriel) che svelano il peregrinare nel mondo dello spettacolo a riflettori spenti. Colpiscono il racconto della fratellanza che si era stabilita durante quei mesi dorati, lo smarrimento degli anni bui, preda di alcol e droga, confinati alla periferia dello show business, condannati a rimanere per sempre i ballerini di Madonna, perseguitati dai segreti che non avevano rivelato né ai compagni né alla prima donna.

 

Madonna piangeva sul palco la scomparsa dell’amico pittore Keith Haring, morto di Aids proprio in quei giorni, e ignorava che tre dei suoi ballerini erano sieropositivi. Non fu solo Gabriel a mantenere il segreto, ma anche Carlton Wilborn e Salim Gauwloos, che mai ne aveva parlato prima dell’inizio delle riprese di Strike a pose. 

 

Lo fa quando alla fine del film, sulle note malinconiche di To build a home della Cinematic Orchestra, i sei si riabbracciano, ricordano e testimoniano. «Madonna ci aprì una porta e ci scaraventò all’inferno», dice Salim in lacrime. E Kevin: «Non avevo i soldi per mangiare quando fui scritturato da Madonna».

 

José: «Insicuro nella vita e in amore. Tempi bui dopo il Blond ambition. Non riuscii a comprare a mia madre la casa che le avevo promesso». Luis: «La droga fu uno dei motivi per cui Madonna cominciò ad allontanarsi da noi». Oliver: «Ora faccio il cameriere». Carlton: «La gente credeva che fossi un supereroe, invece mi sono visto sgretolare nel nulla».

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