carlo cracco con la moglie rosa fanti
1. COME TI CUCINO LO CHEF IN TV - DALLA CLERICI A CRACCO: LA GASTRONOMIA DIVENTA CASTRONERIA
Di Marco Castoro per la Notizia (www.lanotiziagiornale.it)
Il telespettatore italiano passa più che mai il tempo in cucina. Non solo per mangiare o cucinare a casa propria, ma anche per farsi una grande scorpacciata di talent culinari. Un format che ormai si è impossessato del telecomando. MasterChef, La Prova del cuoco, il pasticcere, il pizzaiolo, le ricette veloci, i consigli dei grandi cuochi. Un bombardamento a colpi di stelle e di extravergine. Morale della favola: si pensa solo a mangiare. E poi si lamentano se gli italiani diventano obesi.
CARLO CRACCO SULLA COPERTINA DI GQ
GLI ERRORI
Ma non tutti questi grandi esperti la raccontano secondo la tradizione. Spesso si prendono delle licenze che fanno inferocire chi da anni difende la specialità locale dalle imitazioni e la consacra come eccellenza del palato di chi vive o visita il Belpaese. Ultimamente ci sono stati dei casi che hanno scatenato un putiferio ad Amatrice e in Valtellina. Il grande chef Carlo Cracco durante la trasmissione di Canale5 C’è posta per te ha rivelato quello che sarebbe il segreto per la perfetta riuscita dell’amatriciana, ovvero l’aglio in camicia.
Ma che Cracco dici! È stata la replica del comune di Amatrice, lapidario nel ribadire gli unici ingredienti che compongono la vera amatriciana: guanciale (e non pancetta!), pecorino (e non parmigiano!), vino bianco, pomodoro San Marzano, pepe e peperoncino. E la padella di ferro, aggiungiamo noi. Con questa gaffe a MasterChef Cracco sarebbe stato eliminato.
Anche alla Prova del cuoco, la navigata Antonella Clerici è finita nel vortice delle polemiche. Prima con la cipolla nella gricia. Un piatto di pasta che come l’amatriciana non necessita né di aglio né di cipolla. Tra le due la differenza sostanziale sta nel pomodoro. La gricia è ancora più vecchia dell’Amatriciana perché se la preparavano i pastori ben prima che arrivasse il pomodoro.
Recentemente ci ha pensato un altro chef, Andrea Ribaldone, che ha deciso di cucinare i pizzoccheri, tipico piatto valtellinese. Nel presentare la specialità il cuoco ha detto che secondo la ricetta tradizionale vanno aggiunti olio, latte e una fonduta di formaggio d’alpeggio. Gli abitanti della Valtellina hanno gridato allo scempio. È scesa in campo l'Accademia del Pizzocchero di Teglio, il tempio culinario della tavola valtellinese, il cui presidente ha specificato che il piatto della Prova del cuoco non sono pizzoccheri ma un’altra cosa.
CI VUOLE IL DIGESTIVO
A forza di grandi abbuffate, nelle quali la gastronomia è stata sostituita dalla castroneria giornaliera, diventa necessario un amaro per digerire il tutto. Piatti e pietanze a bizzeffe, dunque, ma quando c’è da lavarli la mitica casalinga di Voghera resta sola. Se almeno facessero un talent anche su come si lavano i piatti…
2. MANGIO DUNQUE SONO: IL SAPORE DIPENDE DAL CIBO
Luca Zanini per il “Corriere della Sera”
Mangio, dunque sono. È il filo conduttore del volume che Franco Riva dedica al sempre attuale tema dell’alimentazione: Filosofia del cibo , (Castelvecchi, pp. 234, € 19,50), da poco nelle librerie, è un compendio di cultura, aneddotica e riflessioni morali. Un utile viatico nell’era dello strapotere dei cuochi, delle trasmissioni che esaltano l’arte dei fornelli — fin quasi a provocare reazioni di rigetto —, perché «il cibo non è solo mezzo e materia: è lavoro, parola, pensiero, gioco, umanità, libertà, esistenza, responsabilità, salute, giustizia».
Nel saggio del docente universitario (Riva insegna Etica sociale, Filosofia del dialogo e Antropologia filosofica alla Cattolica di Milano), si ripercorre la storia dell’umano bisogno di nutrirsi attraverso citazioni di storici, romanzieri, filosofi, soffermandosi sul significato del mangiare e arrivando a ironizzare sulle idiosincrasie di coloro che inquinano l’ambiente «mangiando però cibo biologico» o equo solidale.
IL CUOCO BRITANNICO GORDON RAMSAY
Nella narrazione, si passa dal «divieto di mangiarsi l’un con l’altro» che «inaugura il mondo umano sotto il segno della giustizia» (Esiodo) al tormentone di Feuerbach, «l’uomo è ciò che mangia»; da Kierkegaard a Dostoevskij; da Sartre alle note di Roland Barthes sul «mito» bistecca e patatine. L’autore ha l’abilità di trasformare il saggio in una lettura coinvolgente, a tratti divertente, eppure densa di informazioni e considerazioni filosofiche.
Se Daniel Pennac scriveva provocatorio «se oggi l’uomo non mangia più l’uomo, è unicamente perché la cucina ha fatto dei progressi», Riva ci porta dalle cene di Trimalchione alle Confessioni di Sant’Agostino, dalle sofferenze dell’affamato Don Chisciotte al rapporto tra l’atto di alimentarsi e la percezione del nostro corpo. In un viaggio intenso e illuminante, capace di farci uscire dalla confusione delle troppe immagini e delle troppe parole che oggi circondano il mondo del cibo.