L’ITALIANO DI DANTE (EMMA) - LA REGISTA AL FESTIVAL DI SPOLETO CON ‘LA SCORTECATA’, TRATTO DA ‘LU CUNTO DE LI CUNTI’ DI BASILE: DUE UOMINI NEI PANNI DI DUE VECCHIE - ‘CHI L' HA DETTO CHE UNA VECCHIA NON POSSA SOGNARE L'AMORE DEL PRINCIPE? ANCHE SE BESTEMMIA, RUTTA, SPUTA, SCATARRA, PISCIA DAL BALCONE. NON IMPORTA: È MASCHIO, E IL SUO POTERE ATTIRA. QUESTA COSA RIMARRÀ IMMUTATA NEI SECOLI’

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Natalia Aspesi per La Repubblica

 

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Due "seggiulelle", come le chiama Emma Dante, un castello in miniatura, una porta di legno, in fondo una misteriosa cassapanca che racchiude tutto ciò di cui la storia ha bisogno, le luci di Cristian Zucaro che nel vuoto luminoso di un palcoscenico nero creano sogno, tragedia, una catapecchia, un palazzo, un sontuoso matrimonio, l' attimo immobile di un feroce martirio;

 

a Spoleto, nella grazia perfettamente restaurata del Teatro Caio Melisso, Spazio Carla Fendi, si concludono domani le rappresentazioni di La Scortecata, testo e regia di Emma Dante, liberamente tratto da "l' intrattenimento decimo della prima giornata" del Pentamerone del napoletano Giambattista Basile, cioè da Lo cunto de li cunti, raccolta meravigliosa di 50 favole popolari, scritte in una lingua barocca napoletana secentesca.

 

«Con il sostegno e la consulenza di mio marito Carmine, che è napoletano di Portici, dopo averne parlato al Festival scorso con il direttore Giorgio Ferrara, ci siamo deliziati, davanti al mare, nella riscrittura. Un mese intenso e bellissimo alla scoperta di una lingua magica, feroce e meravigliosa, quella di Basile, con dialoghi shakespeariani ma anche un linguaggio talvolta scurrile. Ho tradotto il nostro testo napoletano in italiano per farlo poi tradurre in cinese, perché lo spettacolo andrà anche a Pechino e Shanghai». In settembre.

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Prima scena: due vecchie sedute distanti scuotono il mignolo in bocca, deformandosi la faccia. Nella traduzione italiana Carolina dice «Mi fa schifo, mi viene da vomitare!» e Rusinella, la più vecchia, la incoraggia, «Succhia Carolina, non ti lamentare, deve diventare liscio come il dito di un bambino!». Il pubblico immagina.

 

«Il dito succhiato richiama tante cose, l' infanzia, il gesto erotico, il ciucciotto, il dito che si lecca dopo aver mangiato qualcosa di buono. Succhiarsi il dito, per le due vecchie, ha a che fare con il loro desiderio sessuale non ancora svanito».

 

La Scortecata di Basile racconta di due sorelle vecchissime e di un re che ne sente una cantare e senza vederla se ne innamora: attraverso il buco della serratura l' amata invisibile gli mostra un dito, la sola parte del suo corpo non distrutta dagli anni. Fanno l' amore al buio e la mattina dopo lui la vede e la getta orripilato dalla finestra, la salva una maga che le regala la bellezza, generando l' invidia della sorella che si farà scorticare alla ricerca di una nuova giovinezza.

 

L' immancabile morale della storia, scrive Basile, è che «è più degna di castigo una vecchia che, volendo competere con le figliole, si causa l'"allucco" della gente e la rovina di se stessa».

 

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Emma invece mette in scena «la storia di due vecchierelle che si arrabattano insieme e che si danno aiuto nella sopravvivenza della loro vecchiaia e miseria. Ho scelto questa novella perché mi toccava. Io sono attratta dai bambini e dai vecchi perché li sento capaci di grandi imprese, soltanto un vecchio o un bambino possono giocare con la fantasia fino a farsi del male. E poi chi l' ha detto che una vecchia non possa sognare l' amore del suo principe? La stagione dell' amore viene e va, come scrive Battiato, a qualsiasi età e condizione: vecchiezza, solitudine, bruttezza e inettitudine».

 

Sognano il principe, però lo descrivono disgustate: bestemmia, rutta, sputa, scatarra, piscia dal balcone. «Sì, il re è brutto e volgare, ma è il re, è maschio, e il suo potere attira più della sua persona. Questa cosa rimarrà immutata nei secoli dei secoli».

 

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In palcoscenico ci sono solo due persone, le vecchie sorelle che, con una corona di stracci, sono anche il re: le interpretano due fantastici attori uomini, napoletani, Carmine Maringola e Salvatore D' Onofrio. È proprio il loro essere maschi, con quelle tenute da casa desolate, calze elastiche arrotolate, orrida biancheria lisa anni Trenta con le giarrettiere penzolanti, la retina in testa, a dare alle due vecchie una specie di laidezza, di sfacelo, di irrimediabile esclusione.

 

Carolina e Rusinella s' insultano ma non possono fare a meno una dell' altra, lottano con i loro sogni e le loro follie nel continuo chiacchiericcio con cui si raccontano una vita da fiaba, si negano un pezzo di pane, si tengono per le mani a braccia tese per aiutarsi, barcollando, a sedere. La scelta di due uomini si riallaccia al teatro inglese che sino alla metà del XVII secolo proibiva alle donne di recitare in pubblico, o forse poteva sembrare impudico, troppo doloroso, mostrare la vera avanzata vecchiezza?

 

«Io volevo che le due vecchie non avessero una connotazione e un' identità sessuale precisa, ma raccontassero con i loro corpi qualcosa d' incompiuto. Considero il corpo maschile incompiuto rispetto a quello femminile, come se Dio si fosse dimenticato di definirlo, incantato dalla meraviglia che forse inconsapevolmente aveva creato facendo la donna.

 

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Le due vecchie devono essere brutte, disarmoniche, sgrammaticate: su queste caratteristiche hanno fatto un lavoro di grande cura Carmine e Salvatore, che nella vita sono due bei giovanotti e nello spettacolo si trasformano in due creature abbastanza mostruose. Ambedue hanno una totale dedizione a quel grande poeta dei sogni che è Basile e senza scenografia tutto è affidato agli attori e alla fiaba. Seduta nel buio della sala, mi sono messa a sognare a occhi aperti ».

 

 

 

 

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