SBIRRO SENZA PISTOLA - VALLANZASCA "TRADITO DALLA SUA PASSIONE PER LE DONNE", IL TERRORISMO, “LA MAFIA DELL’ANTIMAFIA”, PARLA L'EX PREFETTO ACHILLE SERRA - ''A CALABRESI DICEVO: 'LUIGI VAI VIA, FATTI TRASFERIRE' E LUI: 'E PERCHÉ, CHE COSA HO FATTO DI MALE?'. ODIO IL GOVERNO CHE NON GLI ASSEGNÒ QUELLA SCORTA CHE OGGI HANNO CANI E PORCI"

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ACHILLE SERRA 4 ACHILLE SERRA 4

Francesco Specchia per Libero Quotidiano

 

Più che un' intervista, è un interrogatorio, dettato dall' interrogato. «Cominciamo.

Mi dica cosa vuol sapere?...».

Con quell' aria allegramente distinta - a metà tra il Commissario Basettoni e un vecchio zio che ti sta provando l' interrogazione di greco - Achille Serra spunta in un bar di Porta Venezia dietro a una tazzina di decaffeinato, a due passi dalla sede delle Volanti. Da dove iniziò la carriera di superpoliziotto quasi cinquant' anni fa, quando Milano puzzava di zolfo, paura e polvere da sparo. Serra, classe '41, ex questore di Milano, ex prefetto di Ancona, Palermo, Firenze, Roma, ex deputato, simbolo vellutato di legge o ordine, è, da sempre, «lo sbirro senza pistola».

Francis Turatello e Vallanzasca Francis Turatello e Vallanzasca

 

Mai sparato un colpo, le sue pallottole sono le sue parole. Un po' le dispone, in una sequenza eccitata, tra le pagine del thriller scritto a quattro mani con Giovanni Di Sorte, Milano da morire (Giunti); un po' ce le elargisce trasformando la sua vita nel romanzo di una nazione. Dottor Serra, nel suo libro il romanissimo Commissario Rocchi arriva nella Capitale morale negli anni '70. E rimane ammaliato dalle giornate sulla strada e dalle notti al neon.

 

Un tantino autobiografico?

Vallanzasca Vallanzasca

«Lei dice? Mio padre è morto che avevo 15 anni, mamma voleva assolutamente che facessi l' avvocato. Io non sapevo manco cosa fosse fare il commissario di polizia, tentai il concorso come un allenamento per l' esame da procuratore. Lo vinsi. Arrivai a Milano da vicecommissario in prova: la città più incasinata d' Italia. Spinto da un amico che fa il professore, Franco Colucci, chiesi questa destinazione. Tutto qui era pericoloso e costosissimo, io guadagnavo 119mila lire al mese e ne pagavo 80 d' affitto».

 

Però si sentiva molto Maurizio Merli, il commissario Betti dei film poliziotteschi. Era affascinato da questa città nera, dica la verità...

«Tutto nasceva da qui, c' era la contestazione, ricordo i lacrimogeni e le gragnole di sassi, e gli scontri con il movimento di Mario Capanna. Ce n' era uno ogni sabato. Ricordano il Pasolini su Valle Giulia: i poliziotti figli del popolo contro i figli di papà? Poi c' erano le BR negli ospedali. E le rapine, come piovesse».

 

Non fu una rapina a consegnarla all' onore delle cronache?

COCHIS VALLANZASCA COCHIS VALLANZASCA

«In centro a Milano, passavo per caso. Senza aspettare rinforzi, telefonai ai banditi che tenevano gli ostaggi dalla tabaccheria vicina. Mi rispose uno intasato di cocaina, farfugliava; gli dissi di passarmi il compare. Intavolai col secondo rapinatore una discussione serratissima. Dovevo prendere tempo per far arrivare i capi».

 

 

Come nei telefilm americani. I capi arrivano dopo, prendono il megafono e si mettono sulla linea dei fotografi.

«Sì. Tentarono di negoziare, ma i due tizi, con la pistola in pugno dissero: "Fateci parlare con quello di prima o ammazziamo un ostaggio ogni dieci minuti".

 

Parlai con loro, ininterrottamente dalla 9 alle 13; quelli, come nei film, volevano la libertà, i soldi e una macchina.

Non avendo ottenuto nulla annunciarono il primo omicidio: "Ora ne ammazziamo uno".

Io, sfiancato, non so perché risposi: "Ti dispiace ammazzarne due, così facciamo prima...".

La svolta alle 16. Mi chiesero di entrare disarmato. Uscirono, e io impedii che li linciassero. Da allora sono "il poliziotto senza pistola"».

 

SCIASCIA SCIASCIA

L' arte della negoziazione che le portò la promozione?

«A dire la verità Tutti, da quell' episodio, hanno ricavato premi e onorificenze, tranne me».

 

Da lì, però, fu la svolta, l' amore per la polizia nasce coi i conflitti a fuoco con i rapinatori. Non era passione un po' incosciente?

«Era un amore malato. Stavo fuori tutta la notte e c' era questo maresciallo Martucci. Ogni volta che, distrutto dalla fatica, gli presentavo un rapporto me lo strappava e lo faceva rifare. Tornavo a casa, mangiavo un Buondì e una Alkaseltzer poi stramazzavo».

 

Proprio nessuna soddisfazione dall' episodio della rapina?

«Una. Nove anni dopo, da capo della Mobile, vengo raggiunto da Bellardita, uno dei due, appena uscito dal carcere: "la prima persona che volevo ringraziare è lei, che mi ha salvato la vita"».

 

Non è esattamente un riconoscimento professionale.

LUIGI CALABRESI LUIGI CALABRESI

«Lei non capisce. Senso dell' onore. Quando anche la malavita ti rispetta vuol dire che non hai tradito la tua missione. La stesso accadde con Antonio Golia, vice di Vallanzasca. Era rinchiuso in un appartamento con un arsenale: "Chi sei, Achille? Manda via i tuoi uomini o faccio una strage". Potevo ammazzarlo e prendermi una promozione. Rispettai le sue condizioni e lui aprì la porta con una bottiglia di Crystal. Un cin cin prima di andare in galera».

 

E poi, appunto c' era Renato Vallanzasca. "Il bel René", furti, rapine, omicidi, ergastoli per 265 anni.

ACHILLE SERRA 6 ACHILLE SERRA 6

«I fratelli Vallanzasca li conobbi nel febbraio del '73: facevano rapine chirurgiche nei supermercati, sparavano in aria, e sparivano senza traccia. Alla Mobile di Milano solo quella vecchia volpe del maresciallo Oscuri - un intuito formidabile-capì che erano incensurati; facemmo irruzione nella loro casa in via Padova ma non trovammo nulla. Vallanzasca, in questura, mi rise in faccia: "Lo vedi questo Rolex d' oro che tu non ti potrai mai permettere? Se riesci a mandarmi in galera, te lo regalo. Ma non succederà perchè sono più bravo di te..."».

Sembra una pagina di Diabolik, con lei nella parte dell' ispettore Ginko.

«Però qui vincono i buoni. Oscuri trovò la prova delle rapine: le carte delle buste paga erano in un bidone in un vicolo sotto la sua casa. Andò in galera. Non gli presi il Rolex, però».

 

Perché?

«Vallanzasca riuscì, corrompendo un medico, a farsi fare una puntura che simulava l' epatite virale. Fu trasferito in un' infermeria da dove evase. Venne bloccato, in auto, al confine con Montecarlo da un poliziotto che gli chiedeva i documenti. Lui gli sparò in fronte. Eppure, a suo modo era un coraggioso, ci metteva la faccia».

 

ACHILLE SERRA ACHILLE SERRA

Va bene che Vallanzasca, da latitante, in un' intervista a Radio Popolare dichiarò che «non mi prenderanno mai, di Serra ce n' è uno solo». Ma non le sembra di mitizzare troppo un feroce criminale?

«Ci rispettavamo.Il suo punto debole erano le donne. Scoprii che aveva un flirt con una giornalista che misi sotto sorveglianza; lui la venne a trovare a casa per una cenetta intima, da latitante. E se la faceva perfino con la figlia sedicenne di un imprenditore che lui stesso aveva rapito e che poi portava a ballare in un locale sui Navigli, sprezzante di tutto. Classica sindrome di Stoccolma».

Vede? A suo modo le è rimasta questa fascinazione del male. Vallanzasca tagliò la testa al traditore Massimo Loi, vent' anni, e ci giocò a calcio...

«Ci ripenso spesso, mi sento responsabile, dovevo proteggerlo, non lo dovevo far confessare. Una cosa tremenda. Fu come quando Francis Turatello - che era un vero boss, con delle regole etiche, se vogliamo - venne ammazzato nel carcere da Pasquale Barra O' animale che gli mangiò le viscere».

 

A Milano lei era amico di Luigi Calabresi. Che ricordo ne ha?

Monti con Achille Serra Monti con Achille Serra

«Calabresi veniva ucciso a Milano, ogni giorno sui muri, con le scritte di un omicidio annunciato. Io gli dicevo: "Luigi vai via, fatti trasferire" e lui: "E perché, che cosa ho fatto di male?". Odio ancora quel governo che non lo trasferì, né gli assegnò quella scorta che oggi hanno cani e porci».

 

Poi andò a Roma, e a Palermo, nel ruolo istituzionale che fu del generale Dalla Chiesa. Come andò?

«Palermo, allora, era un incubo, avevano ucciso Falcone e Borsellino. Guttuso, per dire, era scappato. Il procuratore generale Caselli richiese un prefetto "credibile". Lì scoprii che aveva ragione Sciascia: sapevo che c' era un partito dell' Antimafia ma non avevo idea di che problemi potesse creare.

 

GIULIO NAPOLITANO CLEMENTE MIMUM ACHILLE SERRA GIULIO NAPOLITANO CLEMENTE MIMUM ACHILLE SERRA

Il culmine fu quando, con l' emergenza criminalità misero venti uomini di guardia all' albero di Falcone. Venti. Ordinai di rimuoverli. "E se fanno saltare l' albero?" mi dissero, "Pazienza. Ne piantiamo un altro". La mia missione era riportare la città alla normalità, il contrario di ciò che voleva il partito dell' Antimafia. Venuto in visita il cardinal Ruini disse: "che bella città, io pensavo fosse in guerra"».

Se quelle cose le avesse fatte un altro le avrebbero dato del mafioso.

«È quel che disse Caselli».

Non le chiedo della politica e dei suoi cambi di casacca, da Forza Italia al Pd. Questa è un' intervista storica, mi interessa lo sbirro.

«Ecco, bravo».

 

Ora che è in pensione che cosa fa lo sbirro senza pistola?

«Scrivo libri. E insegno ai nipotini a giocare a tennis. E non voglio che seguano le mie orme (le figlie di Serra sono una oncologa e l' altra lavora nella moda, ndr). Ci vorrebbe troppa fortuna, e quella l' ho avuta tutta io...».

ACHILLE SERRA ACHILLE SERRA ACHILLE SERRA CAZZUTO ACHILLE SERRA CAZZUTO

 

 

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