AVVISATE SALVINI: I MINISTRI DELLA LEGA VOGLIONO INTERVENIRE SUI NEGOZI DI CANNABIS LIGHT, METTENDO A RISCHIO FALLIMENTO CIRCA MILLE PICCOLE IMPRESE – IL LEADER DEL CARROCCIO AVEVA BOLLATO GLI SMART SHOP “NEGOZI DI MARIJUANA CHE SEMBRANO COME I CENTRI MASSAGGI CINESI, UN BORDELLO” - VIAGGIO TRA I NEGOZI (FINORA) AUTORIZZATI: ''PER NOI È FONTE DI REDDITO E LAVORO''

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Nadia Ferrigo per www.lastampa.it

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A San Salvario l’ultimo shop inaugurato, che poi è il quarto della zona, si chiama Canapa House Torino. «Abbiamo aperto un mese fa. Ho lasciato un contratto a tempo indeterminato da impiegato. Noioso, ma sicuro. Ora ho davanti una nuova avventura e un prestito da restituire poco per volta alla banca. La chiusura? Ma no, non ci credo. Non può essere» scuote la testa Ezio Miglio, circondato da scatolette con decorazioni in stile indiano traboccanti di fiori di canapa ribattezzati Berry Wild, Lemon Out, Kali e Genesi.

 

La sua reazione alle ultime dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini - ha bollato gli smart shop «negozi di marijuana che sembrano come i centri massaggi cinesi, un bordello» - sta tra l’incredulità e la paura. E torna invariata nelle parole e nei volti dei tantissimi che negli ultimi sei mesi hanno deciso di costruire un business sulla cannabis legale, cioè con un contenuto di Thc inferiore allo 0,2 per cento. 

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Per aprire uno smart shop bisogna investire tra i 10 e i 40mila euro, a seconda del tipo di negozio e dei diversi settori commerciali che si vogliono coprire. Decisamente più onerosa la coltivazione, un investimento da 20mila euro per un campo e 50mila per una serra. Altro discorso se si fa in casa: per le infiorescenze basta spendere tra i 100 e i 300 euro. Frasi come una «Una follia», «Così si torna al Medioevo» e «Dovremmo esportarla in tutto il mondo, altro che vietarla» rappresentano bene la gamma di reazione dei negozianti torinesi. 

 

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 «E dirò di più, sono felice di vedere i ragazzini che la comprano. Fa meno male di quel che c’è in strada» si sbilancia Elena «ma niente cognome», tabaccaia della stazione di Porta Nuova circondata da bustine di Skunk e Lemon Haze che ricordano i coffee shop di Amsterdam. Se Salvini promette di «lavorare per una mediazione», il ministro alla Famiglia con delega alle politiche anti-droga Lorenzo Fontana dice di «aver già dato disposizione agli uffici di approfondire gli aspetti legali, in base ai quali certi prodotti a base di cannabis sono venduti al pubblico, ma in assenza di una specifica regolamentazione».

 

 Coltivazioni e investimenti

Sconosciuta alla stragrande maggioranza fino a sei mesi fa, ora pare il nuovo oro verde. Ancor prima di capire se si tratta di una nuova abitudine o il ritorno a norma di legge di un vecchio vizio, oltre 700 persone hanno aperto una partita Iva legata alla commercializzazione di prodotti a base di canapa, altre 250 legata esclusivamente al commercio di infiorescenze. 

 

 

 

Poi ci sono i tabaccai che la possono vendere, i nuovi marchi che si occupano solo di commercializzazione e distribuzione - un centinaio spuntati negli ultimi tre mesi - e non ultimi gli agricoltori. Coldiretti parla di ettari decuplicati in cinque anni - dai 400 del 2013 ai 4mila di oggi - e di centinaia di nuove aziende agricole che quest’anno hanno avviato la coltivazione di canapa.

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Che succederebbe se il nuovo governo - che con Fontana sposa il più classico proibizionismo, con la ministra della Salute Giulia Grillo apre alla produzione di cannabis terapeutica ai privati - cancellasse tutto con un colpo di spugna? «Una considerevole quantità di soldi spesi bruciati, tanto per cominciare» scherza Luca Marola, con la sua EasyJoint pioniere della canapa legale made in Italy. 

 

 

 

La grande zona grigia

«Con il boom del mercato sono nati diversi marchi che commercializzano un’erba a basso contenuto di principio attivo, ma che non sta tra le varietà del Catalogo europeo - continua -. C’è chi interpreta bene le leggi, e chi se ne frega». Se non sta nel Catalogo, non è canapa industriale e quindi non si può vendere. C’è un altro ma. Ancora manca una normativa per la destinazione d’uso: anche se vendute per essere fumate, le infiorescenze non sono vendute come prodotti da fumo. 

 

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 «C’è una grande confusione, che non fa bene a nessuno - chiosa Margherita Baravalle, presidente della piemontese AssoCanapa -. Parlare solo di fumo e Thc è limitativo, è una pianta dai molteplici impieghi, per esempio quello alimentare». «Sono certa che Salvini cambierà opinione - aggiunge Rachele Invernizzi, presidente della pugliese FederCanapa -. Il fiore di canapa è industria, lavoro e reddito, secondo noi un’opportunità».

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