LO CHEF DEI VIP TROVATO MORTO NEL CAMPER: IL 49ENNE MARIO SANTILLI STRONCATO DA UN INFARTO A MILANO – CUOCO GIRAMONDO E PLURIPREMIATO, DA TEMPO ERA CADUTO IN DISGRAZIA TRA CRAC NEGLI AFFARI E PROBLEMI DI DROGA – L’AMICA DEL CUORE: “NON POTEVA CONTINUARE CON QUESTA VITA. ERA UN BUONO MARIO...”

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Cesare Giuzzi per www.corriere.it

 

MARIO SANTILLI MARIO SANTILLI

Mario è stato un giramondo. Uno chef premiato, con il suo locale a cinque stelle dove cenavano Kabir Bedi, l’attore di Sandokan, e i più importanti politici indiani e italiani, come il vice ministro Stefano Stefani. Mario è stato un vagabondo, con la sua famiglia sfollata da Castelvecchio Subequo dopo il terremoto dell’Aquila, e lui in un camper scassato vecchio di quarant’anni trasformato in una casa.

 

Mario è stato un tossico, come ce ne sono a migliaia in città. E la sua è la storia di quanti qui vivono e muoiono come se fossero ombre senza passato. Ma un passato ce l’aveva Mario. E che passato. Mario Santilli aveva 49 anni. Era nato in Svizzera e diceva d’aver girato cinque volte i cinque continenti. Era vero. Ma Mario è morto. Ucciso da un infarto sabato nel suo camper parcheggiato sotto agli alberi di viale Ungheria. Mentre a Milano c’era il sole che bruciava l’asfalto, mentre la città si svuotava, mentre Mario faceva finta di dormire.

 

L’ha trovato Daniela, un’altra anima mangiata dall’eroina. Sabato mattina Mario le aveva promesso di accompagnarla al Sert di via Conca del Naviglio. Lei ha visto il camper lì davanti a casa, ma quando è scesa Mario non rispondeva. Credeva che avesse esagerato la sera prima. Perché Mario aveva esagerato e non aveva il fisico di quando era un ragazzo. Avrebbe fatto 50 anni il 4 di novembre. Lei l’ha guardato, poi, arrabbiata, gli ha lasciato un biglietto: «Sei uno stron...».

MARIO SANTILLI CAMPER MARIO SANTILLI CAMPER

 

Daniela in quel camper c’è tornata quando erano le undici di sera, ha rivisto Mario, in pantaloncini, immobile in quella stessa posizione. L’autoradio su radio Millenium, il biglietto ancora lì. «Gli occhi non erano umidi. Le mani non si muovevano. Gli ho sentito il polso, niente. Poi ho avvicinato la testa sul petto: ho ascoltato il cuore battere. Ma i soccorritori mi hanno detto che quel che sentivo, in realtà, era l’eco del mio».

 

Sul corpo non sono stati trovati segni di violenza. I carabinieri della stazione Romana di via Zama hanno verificato che in questa storia non ci fossero misteri. Solo un vecchio telefono cellulare che squillava di continuo, con i pusher che cercavano Mario. Dopo l’autopsia la salma sarà affidata ai parenti, che poi sono una sorella, sfollata dal terremoto, che vive ancora vicino a l’Aquila, e un fratello che pare sia frate. Nato a Baden (Svizzera), Mario era figlio di Ermanno, un tecnico che aveva girato il mondo quando negli anni Sessanta lavorava per una multinazionale. La madre Maria era pugliese.

 

MARIO SANTILLI MARIO SANTILLI

Il nonno Mario faceva il minatore, l’avevano pensionato per silicosi. Quando è morto, più di trent’anni fa, il nipote aveva ereditato un patrimonio, perché i Santilli di Castelvecchio Subequo avevano trascorso la vita a spaccarsi la schiena. E Mario era partito: Svizzera, Egitto, India. Parlava sette lingue compreso l’arabo e il russo ed era finito a Pune, dove aveva aperto il ristorante italiano «La dolce vita», il migliore della città.

 

Ne scrivevano i giornali indiani, lo chef Santilli era stato anche in televisione, il terzo classificato tra i migliori cuochi del Paese. Aveva sposato un’indiana e aveva avuto due figli. Al blogger Giovanni Pizzocchia che nel 2008 s’era interessato alla sua storia, aveva raccontato che il ristorante era fallito, la sua casa incendiata, per colpa della «mafia indiana».

 

MARIO SANTILLI MARIO SANTILLI

Era tornato in Italia, con la moglie, e s’era trasferito vicino a Prato. Faceva i mercati. Poi aveva ricominciato a vagare, senza un soldo, lavorando in Romagna. Infine aveva comprato il camper, targato Genova, ed era finito a Milano. Faceva il volontario alla Croce rossa di Novegro. Quando poteva, quando riusciva. Perché era lui, spesso, ad aver bisogno di una mano tesa.

 

Aveva trovato quella di Daniela, conosciuta al Sert, e ne aveva fatto l’amica del cuore. Daniela che davanti ai carabinieri piange e mai smette di parlare: «Venerdì sera avevamo parlato a lungo, gli avevo fatto una ramanzina. Non poteva continuare con questa vita. Lui mi ha dato ragione, ma poi svicolava come al solito. Era un buono Mario, nessuno merita di morire».

 

 

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