IL CINEMA DEI GIUSTI - “CAFE’ SOCIETY” DI WOODY ALLEN E’ FATTO APPOSTA PER PIACERE AI CRITICI E AI CINÉPHILES UN PO’ ANZIANOTTI. PARTE BENISSIMO, E IN CERTI PUNTI FA PARECCHIO RIDERE: ALLA FINE È CARUCCIO, MA NON HA CERTO ILLUMINATO LA SERATA INAUGURALE DEL FESTIVAL DI CANNES

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Marco Giusti per Dagospia

 

CAFE SOCIETY CAFE SOCIETY

Arieccolo Woody Allen. Lo avevo incontrato per strada a Venezia poche settimane fa con tutta la famiglia, inseguito solo da una turista americana anzianotta in calzoncini corti che lo aveva riconosciuto. Mi aveva stupito che quasi nessuno lo riconoscesse. A Cannes, invece, dove è stato presentato in apertura, fuori concorso, questo suo ultimo film, Café Society, Woody Allen è molto più amato.

 

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Del resto, perché non dovrebbero piacerci Allen e il suo cinema? E’ fatto apposta per piacere ai critici e ai cinéphiles un po’ anzianotti. Anche troppo. Comunque, tra un film modesto e uno così così, qualche sorpresa nel suo cinema la troviamo sempre. Questo Café Society, che parte benissimo, e in certi punti fa parecchio ridere, alla fine è caruccio, con una poeticuccia alla pupiavati e un respiro da raccontino già sentito, ma non ha certo illuminato la serata inaugurale del Festival di Cannes mentre i critici più impegnati si sciroppavano un film rumeno di cinque ore da subito bollato come capolavoro.

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Insomma, Café Society non è né Blue Jasmine né un ritratto della Hollywood classica come Ave, Cesare dei Cohen.Indeciso, come il suo protagonista, Bobby Dorfman, interpretato da Jesse Eisenberg come un giovane Woody Allen, tra New York e Los Angeles, il film si sposta da una città all’altra mentre regnano ovunque i meravigliosi anni trenta, quelli del jazz e dei gangster cresciuti nelle strade e quella dei divi e dei sogni di Hollywood.

 

CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN

Tutto sotto il segno della frase “La vita è una commedia scritta da uno sceneggiatore sadico”.Bobby, giovane ebreo del Bronx, viene mandato in cerca di fortuna a Los Angeles dallo zio Phil, un quasi irriconoscibile Steve Carell, potente agente di Hollywood. E’ proprio lo zio Phil, per cercare di farlo crescere, a metterlo nelle mani della sua bella segretaria Vonnie, una incantevole Kristen Stewart. Bobby si innamora subito di Vonnie, non sapendo che è l’amante dello zio, sposatissimo.Da parte sua Vonnie, dichiara di avere qualcuno, ma quando viene lasciata da Phil, promette a Bobby di sposarla e andare a vivere a New York con lui.

 

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Non andrà così, perché Phil ci ripensa e le chiede anche lui di sposarlo. E lei lo sposerà, obbligando Bobby a tornare da solo a New York. Lì farà fortuna nel club del suo loschissimo fratello Ben, Corey Stoll, vitalissimo gangster che seguita a mettere i nemici dentro il cemento armato.Bobby si sposerà con la bella Veronica, una statuaria, bellissima, anche se un po’ inespressiva Blake Lively, avrà un figlio, ma poi un giorno tornerà Vonnie…

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Si ride, diciamolo subito, perché la famiglia ebrea newyorkese di Bobby è fenomenale, perché il fratello gangster è uno spasso, perché la Hollywood degli anni ’30 di Woody Allen è piena di brio, ma quando la storiellina dell’amore contrastato prende corpo, ma il film perde consistenza e perde il fascino delle citazione del vecchio cinema di Adolphe Menjou e Barbara Stanwick.

CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN

 

I Coen si sono spinti molto più lontano con Ave, Cesare. Gli attori, anche bravissimi come Jesse Eisenberg, Steve Carell e, soprattutto, Kristen Stewart, si trovano in difficoltà nella seconda parte del racconto, perché i loro personaggi, alla fine, non hanno grande sostanza e rimangono un po’ come delle figurine sospese nella fotografia fin troppo esibizionista di Vittorio Storaro.

STORARO - CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN STORARO - CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN

 

Detto questo, il film è più che godibile, ma sembra quasi segnalare quanto vecchiotto e un po’ già visto potrebbe rivelarsi anche questa edizione di Cannes. Quanto alla citazione sulla vita che è come una commedia scritta da uno sceneggiatore sadico, preferiamo quella che ne dava Sergio Citti: “La vita è come un tram: ci siamo montati sopra senza pagare il biglietto, tutti quanti… quando è l’ora di scendere, scendiamo… che importa? Abbiamo forse pagato qualcosa?”. In sala da giovedì.

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