LA CRISI UCCIDE - DAL 2012 AL 2017 CI SONO STATI 878 SUICIDI PER “MOTIVAZIONI ECONOMICHE” MA POTEVANO ESSERE IL DOPPIO: IN 608 CI HANNO PROVATO SENZA RIUSCIRCI – DISOCCUPATI, IMPIEGATI, MA MOLTO PIÙ SPESSO (IL 42%) IMPRENDITORI, STRETTI TRA DEBITI E BUROCRAZIA…

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Claudia Osmetti per “Libero Quotidiano”

 

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Quel senso di impotenza, di solitudine. Quel tracollo bollato pure dal tribunale di turno, che non lascia respirare perché non è momentaneo, non è una debolezza passeggera che si risolve con la sola forza di volontà. Magari lo fosse. Invece c' è un faldone giudiziario che è una sentenza lapidaria, il danno nel danno: e a leggere quella parola, "fallimento", è tutta un' altra storia. È il colpo di grazia che non dà scampo.

 

Sono tanti, sono troppi, gli imprenditori italiani che gettano la spugna, che si sentono schiacciati dal peso di una burocrazia che sta ancora facendo a botte con gli strascichi della crisi economica.

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Questa settimana si sono già uccisi in due. Entrambi in Piemonte, entrambi devastati dai debiti e dai cancelli chiusi dell' azienda che era stata la loro ragione di vita.

 

Un' industriale di Rivoli, il principale di una ditta di demolizioni. A 57 anni ha preferito il vuoto fuori dalla finestra del suo capannone al vuoto della depressione. Un artigiano di Pinerolo, che si è barricato nella sua officina e si è sparato un colpo in testa: non aveva commesse, ha lasciato un foglietto per la moglie.

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«Così non possono più andare avanti». Resta il rammarico (degli amici), il dolore (dei parenti) e la rabbia (di tutti noi). Il rancore di pensare che "il motore del Paese", quelle piccole e medie imprese che osanniamo come vanto del made in Italy nel mondo, affondano in mille difficoltà, in mille inghippi, in mille problemi.

 

E poi siamo sempre lì, a puntare il dito davanti a ogni sciocchezza, a inventarci polemiche e a dimenticarci, sempre, che un imprenditore in brache di tela è molto di più di un imprenditore in brache di tela.

 

NUMERI DRAMMATICI

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Dal 2012 al 2017 su tutto il territorio nazionale ci sono stati 878 suicidi per "motivazioni economiche", potevano essere quasi il doppio: in 608 casi si è appena sfiorata la tragedia. I numeri della disperazione sono del laboratorio di ricerca sociale della Link campus university di Roma, fotografano una realtà che non vorremmo raccontare.

 

Disoccupati, impiegati, ma molto più spesso (cioè nel 42% degli episodi registrati) imprenditori. Lavoratori autonomi, liberi professionisti. Con un' impennata che fa spavento nel nord-est. Quel nord-est produttivo e sempre chino sul fatturato, che non si scoraggia facilmente, che traina l' economia italiana dai tempi della prima Repubblica.

 

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E che però, adesso, arranca: negli ultimi sette anni nel Veneto e dintorni è avvenuto il 25,2% di tutti i suicidi in questione. La provincia di Padova guida la triste classifica e la fascia d' età più esposta è quella che va dai 45 ai 54 anni.

 

Colpa della recessione, colpa di una politica (di destra, di sinistra, di centro) che è diventata giorno dopo giorno sorda e assente. Che non vede, e alle volte fa finta di non vedere. A cui i campanelli d' allarme (che ci sono, eccome se ci sono) non allarmano granché.

 

Altrimenti non si spiegherebbe come l' esercito di imprenditori incatenati, imbavagliati, asserragliati sotto le sedi istituzionali più vicine al territorio facciano così poco scalpore. A gennaio Bruno Ferrari, il titolare di una storica azienda della montagna piacentina, ha inscenato un funerale davanti al Comune della sua città, poi si è ammanettato al portone.

 

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Garantiva uno stipendio a quindici persone, l' alluvione del 2015 lo ha messo in ginocchio: ha aperto un mutuo, ma gli aiuti promessi dallo Stato li ha visti solo in cartolina. Così ha deciso di protestare il protestabile, di gridare la sua stizza.

 

STORIE DISPERATE

Esattamente come Sergio Bramini, un imprenditore brianzolo che si è trovato nella morsa di una caterva di debiti e manco per imperizia sua: sono stati i crediti insoluti a metterlo nei guai. Si è incatenato, a maggio, nel cortile della sua ditta, un secondo dopo che gli hanno notificato l' ordine di sgombero.

 

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Epiloghi di epopee lavorative che a metterle assieme fanno male al cuore. Non solo al portafogli di un' Italia che ha così tanto bisogno delle sue aziende di famiglia da non rendersene neanche conto.

 

Nel 2013 un industriale di Savona si è dato fuoco, attanagliato da una sfilza di grattacapi che lo avevano mandato sul lastrico. Qualche giorno prima si era sfogato addirittura con Beppe Grillo, gli aveva chiesto aiuto, erano gli anni dell' ascesa del Movimento.

 

Oggi, con i pentastellati al governo e nei punti cardine - vedi Luigi Di Maio al ministero del Lavoro, il rischio di un "malcontento" di categoria resta alto. Assieme all' amaro in bocca, perché non è giusto morire così, in senso metaforico e in senso letterale, torchiati da un sistema che non dà vie d' uscita.

 

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