IL GRAN RUFFINI NON LASCIA MA SPERNACCHIA LE MASCHERINE DEL CINEMINO: “IMPARINO A RILASSARSI: NON SONO ONCOLOGI E NEANCHE GOVERNANTI” – STEFANO DISEGNI FA IL MORALISTA: “UMORISMO PECORECCIO. PEGGIO DI UN COMICO DA BAR”

Ruffini al contrattacco: “Mai fidarsi della gente che non sa scherzare, che bandisce la leggerezza, che confonde l’antipatia con l’intelligenza. È una gaffe dire a una donna bella che è bellissima?” - Ma forse il vero motivo del “rigetto” dell’ambiente sta nell’idea di cinema di Ruffini, un cinema che non si vergogna di essere “popolare”…

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Marianna Rizzini per ‘Il Foglio’

 

sophia loren e paolo ruffini ai david 1 sophia loren e paolo ruffini ai david 1

Mai fidarsi della gente che non sa scherzare, che considera la felicità sospetta, che bandisce la leggerezza, che confonde l’antipatia con l’intelligenza”. Lo dice Paolo Ruffini, il trentacinquenne attore e regista livornese che due sere fa, conducendo la cerimonia di premiazione dei David di Donatello, animato dall’idea di “raggiungere con la simpatia” un pubblico più vasto di quello sognato dai cinéphile, si è ritrovato bersaglio mobile di una campagna di indignazione (e insulti) su Twitter nonché, in modo più sottile, in sala.

sophia loren e paolo ruffini ai david 7 sophia loren e paolo ruffini ai david 7

 

Motivi: aver salutato Sophia Loren con un toscanissimo complimento (“topa meravigliosa”), che a Benigni sarebbe stato concesso, e soprattutto aver osato dimenticare che il regista Marco Bellocchio era stato già “scoperto” a New York mezzo secolo fa, e non solo due mesi fa con una retrospettiva al Moma, quella citata da lui (e dunque come ti permetti, Ruffini, di trattare l’Autore con la A maiuscola come una qualsiasi novità mediatica?, diceva la faccia degli scandalizzati in sala e l’orda dei barbari sul web, mentre Ruffini pensava tra sé e sé “ma cosa dovevo chiedergli, a Bellocchio? Di farci una dissertazione sull’eutanasia?”).

 

aspirante vedovo bebo storti e luciana littizzetto in una scena del film aspirante vedovo bebo storti e luciana littizzetto in una scena del film

Non voleva sbalordire i borghesi, Ruffini, anche coautore della serata sotto l’occhio esperto di Marco Giusti e oggi sul set del suo prossimo film “Tutto molto bello”, che fin dal titolo “toglie di mezzo ogni negatività”: “Il cinema deve far star bene la gente”, dice, “io voglio aiutarla a stare bene raccontando una storia, e cerco in questo di fare del mio meglio”.

 

Aspirante vedovo il film con Luciana Littizzetto e Fabio De Luigi Trailer h partb Aspirante vedovo il film con Luciana Littizzetto e Fabio De Luigi Trailer h partb

Il suo precedente lungometraggio, “Fuga di cervelli”, è andato bene al botteghino, cosa che già di per sé non sta bene dire, in certi ambienti (“cinepanettone, mi dicono, e vabbè. Ma vi siete resi conto che ai David Checco Zalone è bandito anche dai discorsi?”).

 

Se per alcuni faccio brutti film mi dispiaccio”, dice Ruffini, “dopodiché pazienza: non è che facciamo un lavoro così importante, dobbiamo anche ricordarcene, a volte. Non siamo oncologi che salvano la gente, e neanche governanti”. E però, evidentemente, non era la leggerezza lo stato d’animo predominante nella solita sala del David di Donatello (“pubblico di spocchiosi e rompicoglioni”, aveva detto Ruffini il giorno dopo il fattaccio alla “Zanzara”, su Radio24).

 

STEFANO DISEGNI SU PAOLA FERRARI ZAZZARONI BARTOLETTI DA SETTE CORRIERE DELLA SERA STEFANO DISEGNI SU PAOLA FERRARI ZAZZARONI BARTOLETTI DA SETTE CORRIERE DELLA SERA

Un parterre uguale, quello del David, al parterre di duemila manifestazioni cinematografiche (festivaliere e non) dove duecento addetti ai lavori che si conoscono tutti da venti o trent’anni e si omaggiano anche sparlandosi dietro da venti o trent’anni, si salutano come fossero a casa loro, parlano in codice anche dal palco (i telespettatori chi li conosce), arrivano tardi (e invece c’è la diretta tv) e si offendono per puro narcisismo, come sempre accade tra chi si frequenta soltanto tra “ammessi al circoletto”, cantandosela e suonandosela che è una bellezza.

STEFANO DISEGNI SU SABINA GUZZANTI POLLO SPENNATO DA "SETTE" STEFANO DISEGNI SU SABINA GUZZANTI POLLO SPENNATO DA "SETTE"

 

Il “caso” è nato proprio lì, nella sala dove la massima aspirazione “pareva quella di fare una messa funeraria seriosa, mentre la vera serietà per me è lo scherzo”, dice il conduttore, ed è dilagato sul web “dove più fai attacchi feroci nell’anonimato e più ti senti figo” e dove “ammettere che ti è piaciuta una cosa popolare e di successo è considerato disdicevole”. Eccolo, il “caso”: giovane attore di Livorno rompe la sacralità dell’Autore e “fa la gaffe in dialetto” con la grande Diva (per giunta con una parola che “in bocca a Luciana Littizzetto”, dice Ruffini, sarebbe stata considerata normale.

 

STEFANO DISEGNI STEFANO DISEGNI

E poi: è una gaffe dire a una donna bella che è bellissima? Ma pensa quanto tempo da perdere devono avere quelli che se la prendono per una cosa del genere, pensavo oggi girando il mio film all’Ospedale Spallanzani di Roma, malattie infettive, con tutti i pazienti con la mascherina e noi a dibattere sul grande tema: ‘Topa è un termine offensivo oppure no?’”).

 

STEFANO DISEGNI STEFANO DISEGNI

Ma forse il vero motivo del “rigetto” dell’ambiente sta nell’idea di cinema di Ruffini, un cinema per il pubblico, un cinema che non si vergogna di essere “popolare”: “Sono un artigiano. Se poi tu sei autore e prendi l’Oscar tanto di cappello” (il premio Oscar Paolo Sorrentino, sempre ai David, non si è profuso in smancerie con il conduttore. Il sarcastico Valerio Mastandrea invece scherzava, dice Ruffini). Non pentito e neppure stupìto, l’attore livornese che ormai non vive più nella Livorno pazzerella dello sberleffo alla sinistra storica (ora c’è un sindaco grillino), si dice comunque felice al pensiero del David vinto dal conterraneo e mentore Paolo Virzì, e spera tanto che gli altri, un giorno, “imparino a rilassarsi”.

 

2. RUFFINI COME ER FISCHIA: IL PECORECCIO TI ROVINA LA SERATA

Stefano Disegni per ‘Il Fatto Quotidiano’

  

Paolo Ruffini e Manuel Frattini Paolo Ruffini e Manuel Frattini

Si chiamava Nicola, ma per noi giovani avventori del baretto di Piazza Cantù, giù in fondo a Via Appia Nuova (ci finiva Roma, poi c’era l’Acquedotto con le vipere), era Er Fischia, rinomina guadagnata sul campo perché:

1) sapeva fare il fischio alla pecorara, quello con le due dita in bocca

2) esercitava questo suo talento ogni volta che, davanti ai tavolini, transitava una femmina sotto i novant’anni (“Basta che respira” era il suo secondo alias, meno agìto del primo).

 

fuga di cervelli paolo ruffini video fuga di cervelli paolo ruffini video fuga di cervelli paolo ruffini con frank matano e luca peracino fuga di cervelli paolo ruffini con frank matano e luca peracino

Battutaro com’era, Er Fischia s’era guadagnato le mostrine di comico di servizio del bar. Certo, a modo suo. Sfoggiava un umorismo, diciamo, un po’ pecoreccio, prodromo della cinematografia di De Sica inflittaci vent’anni dopo. La vecchia che ignara della scienza e della tecnica s’è mangiata le supposte era il suo richiestissimo cavallo di battaglia.

 

Insomma Er Fischia godeva di un discreto successo. Ma nessuno si sarebbe sognato di portarselo dietro in una occasione importante, tipo una festa dove c’era una che ti piaceva, a un matrimonio o a pranzo dai tuoi. Perché Er Fischia, forte, anche per colpa nostra, della reputazione guadagnata sotto il cartellone Algida, si sentiva in missione per conto dell’Umorismo e sparava orrendezze in contesti ben diversi dal baretto di Piazza Cantù. Se non volevi guastare le serate e farti buttare per le scale, Er Fischia meglio a casa.

  

Ora: se lo capivamo noi ragazzotti di periferia di allora, possibile che non l’hanno capito i Dirigenti RAI di oggi, affidando a Paolo Ruffini, un Fischia dei nostri tempi, niente meno che il David di Donatello?

 

 

Analoghe le condizioni: il baretto per Er Fischia, Colorado per Ruffini, due contesti nei quali trionfano battute da far vergognare un sordo. Analoga la sindrome dei protagonisti, detta dell’Animatore a Oltranza. Chi ne è affetto è convinto che deve far ridere sempre.

 

PAOLO RUFFINI E LISA MELIDONI - copyright Pizzi PAOLO RUFFINI E LISA MELIDONI - copyright Pizzi BRIGNANO E PAOLO RUFFINI IN EX AMICI COME PRIMA BRIGNANO E PAOLO RUFFINI IN EX AMICI COME PRIMA

L’A. a O. ha una memoria con un solo input: infilare una battuta ogni tot secondi, con regolarità svizzera, chiunque abbia davanti, compreso Dio. L’A. a O. non si cura del contesto, della fascia di livello dell’uditorio, non percepisce la linea sottile ma ferrea che divide l’Ars Dissacrandi dall’Ars Smerdandi (se stesso prima di tutti). L’hanno montato così, certi sensori non li ha in dotazione. Gli manca soprattutto il Sensore di Autorevolezza.

 

Si possono pure dire boiate spiazzanti in ambienti bacchettoni, imponendo all’atmosfera maggiore rilassatezza. Benigni ne è maestro, pure troppo. Ma Benigni ha un peso specifico stratificato in anni di teatro e cultura , se Berlinguer l’avesse preso in braccio uno che faceva le salsicce alla Festa dell’Unità, finiva male.

 

PAOLO RUFFINI PAOLO RUFFINI

Ma se sei tale Paolo Ruffini, con un peso specifico da numeri relativi, e vuoi fare il dissacratore a furia di battutacce ma non hai l’Autorevolezza che te lo permette, ti sgrugni e finisci nelle fauci di Mastandrea, uno che i baretti der Fischia li conosce bene e ti fa fare una figura di materia organica. Er Fischia e Paolo Ruffini, due anime gemelle, o un ciclo storico vichiano, fate voi.

 

 

Con una differenza: Er Fischia, quando gli dicevamo che non poteva venire perché era un burino, rideva. Ruffini risponde invece insultando volgarmente il mondo conosciuto, dando dei rompicoglioni a pubblico, critici e registi. Meglio Er Fischia.

 

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