IMPARA L’ARTE E METTILA IN MALAPARTE - GENIALE, CIALTRONE, RIBELLE: LE MILLE MASCHERE DELLA PIÙ BELLA PENNA DEL FASCISMO: QUANDO SI RITROVÒ AL CONFINO, SENZA BATTERE CIGLIO SI AUTODEFINÌ “UN PRIGIONIERO MOLTO RACCOMANDATO”

Arcifascista corteggiato anche da Togliatti e troppo intelligente per credere davvero al Duce, Malaparte fu narratore sorprendente e cinico non esente da cialtroneria - Imbattibile nell’interpretare a proprio vantaggio lo spirito dei tempi, morì da grand’uomo pur restando arenato nella commedia italiana....

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Mario Baudino per “la Stampa”

 

Elegantissimo, seduttore, beffardo e anche bugiardo. Curzio Malaparte fu un uomo di enorme successo nell’Italia fascista ma anche nel primo dopoguerra, tra giornali e case editrici, tra salotti e politica, senza contare i campi di battaglia. Piero Gobetti lo definì «la più bella penna del fascismo» e, proprio da oppositore irriducibile, gli pubblicò nel ’25 Italia barbara, scrivendo poche righe in quanto editore, che cominciavano così: «Presento al mio pubblico il libro di un nemico».
 

Curzio Malaparte Curzio Malaparte

Era l’uomo di Galeazzo Ciano ma fu corteggiato da Palmiro Togliatti, era l’arcifascista che si trovava meglio a Parigi che a Roma, che per beghe interne al partito si ritrovò al confino, che cantò le imprese belliche del Duce ma che pareva un po’ troppo intelligente per crederci davvero. Mille volti e uno spropositato talento. E mille maschere, che Osvaldo Guerrieri prova a sfilargli dal viso con l’unico strumento possibile: il romanzo. InCurzio (in uscita da Neri Pozza, pp. 319, € 17), usa la vasta documentazione che ci è rimasta e i libri soprattutto, da Tecnica del colpo di Stato a Kaputt allo scandaloso La pelle, e fa confluire un materiale contraddittorio in un ritratto che già dal titolo suggerisce la chiave di lettura, perché al di là delle avventure mirabolanti quel che si mette a fuoco è la nuda caratura umana del protagonista: è ciò significa indagare un personaggio che produce intorno a sé una continua proliferazione di maschere.
 

CURZIO MALAPARTE CURZIO MALAPARTE

Solo il disegno d’insieme ne tradisce la cifra segreta: perché Malaparte (all’anagrafe Kurt Suckert, nato a Prato da un tintore tedesco e da un’italiana) incarna un prototipo dell’intellettuale italiano, una funzione dannunziana della nostra cultura che non è certo morta con lui. Persino i suoi «barbari», nati dalle esperienze e dalle suggestioni del primo squadrismo e del fascismo «sociale», sono ancora tra noi, cambiati di segno e di linguaggio.
 

Adelphi ne sta riproponendo i libri. È diventato un classico del Novecento. Ma che cos’è stata la sua vita? Nient’altro che un inseguimento, ci suggerisce Guerrieri. Nato nel ’98, morto a Roma nel 1957, di ritorno da un viaggio in Cina dove gli era stato diagnosticato il cancro fatale, fa in tempo giovanissimo ad arruolarsi volontario nella Grande Guerra, con i francesi, visto che l’Italia non è entrata ancora nel conflitto; a essere colpito dai gas nella battaglia di Bligny, quando i tedeschi sfondarono sulla Marna e poi ad assistere alla rotta di Caporetto che gli ispirerà il primo libro e il primo successo, Viva Caporetto, divenuto quasi subito La rivolta dei santi maledetti.

CURZIO MALAPARTE CURZIO MALAPARTE

 

Aderisce al fascismo, partecipa alla marcia su Roma, è tra quelli che all’indomani del delitto Matteotti invocano la dittatura; ma all’occasione flirta con gli oppositori. Dirige riviste, scrive per i giornali, arriva alla direzione della Stampa dove resterà molto poco, si scontra ripetutamente col senatore Agnelli, fondatore della Fiat, per ragioni professionali e in seguito private (visto che intende sposarne la nuora Virginia, vedova del figlio Edoardo); affronta processi e duelli, cade e ripetutamente rinasce.
 

Sembra animato da un’energia indomabile, è imbattibile nell’interpretare a proprio vantaggio lo spirito dei tempi. Si atteggia a ribelle, forse qualche volta lo è davvero. Certo, è uno scrittore ineguagliabile, a metà strada fra l’arcitaliano, per riprendere un termine coniato da Leo Longanesi, retorico e opportunista, e un dandy beffardo.

CURZIO MALAPARTE CURZIO MALAPARTE

 

Guerrieri lo mette in scena in memorabili istantanee: come quella che fissa uno dei momenti più turpi, quando in partenza per la Grecia accetta volentieri di scrivere un’inchiesta «vera» e simpatetica, da pubblicare, e mandare intanto al Minculpop dei reportage riservati, di segno opposto. Non discute. Risponde solo, a Ciano: «Chiarissimo, Galeazzo». Né discute con Togliatti, nel ’45, quando viene invitato a trasformarsi seduta stante in simpatizzante comunista. Semplicemente esegue. 
 

CURZIO MALAPARTE CURZIO MALAPARTE

Il Curzio di Guerrieri è un narratore geniale, sempre sorprendente, e un cinico non esente da cialtroneria. Sfiora la tragedia, muore da grand’uomo, ma resta arenato nella commedia italiana. L’autodefinizione migliore gli viene fatta pronunciare a Forte dei Marmi, quando gli è stato revocato il confino ma è ancora un sorvegliato speciale, anche se frequenta chi gli pare e soprattutto l’amico Ciano. «Sa cosa dicono qui di me?» confida a un’aristocratica amica. «Che sono un prigioniero molto raccomandato. Non saprei che cosa aggiungere».

 

 

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