NESSUNO VUOLE FARE L’ELETTRICISTA - IL CASO DELLA SCUOLA ROMAGNOSI D’ERBA SENZA PIÙ ALLIEVI ISCRITTI AL NUOVO ANNO - IL PRESIDE: “GLI STUDENTI SONO TUTTI INNAMORATI DELL’IDEA DI FREQUENTARE I LICEI. EPPURE USCITI DI QUI L’IMPIEGO È ASSICURATO”

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Simone Gorla per la Stampa

 

In dieci anni dal corso per elettrotecnici dell' Istituto Romagnosi di Erba, in provincia di Como, sono usciti circa 350 elettricisti. Tutti hanno trovato un lavoro in tempi brevi nelle aziende della zona.

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Dal prossimo anno scolastico rischia però di non essercene neanche uno. I ragazzi non sono più interessati a imparare il mestiere e solo 8 si sono preiscritti al corso, in passato formato da due classi di 18 persone, che così potrebbe scomparire. E dire che un tempo, accanto all' indirizzo agrario, all' economico e all' enogastronomico, era il più ambito.

 

«È il primo anno che succede una cosa del genere, avevo due corsi pieni per gli elettricisti, erano il nostro fiore all' occhiello», racconta il preside Carlo Ripamonti, il primo a essere sorpreso alla chiusura delle graduatorie online, lo scorso 6 febbraio.

«Gli studenti sono tutti innamorati dell' idea di frequentare i licei, eppure noi ogni anno riceviamo richieste da venticinque aziende della zona che vogliono assumere».

 

Uno sbocco sul mercato del lavoro praticamente certo e in tempi brevi, in grandi aziende come Siemens e Pirelli. Ma quasi nessuno si è fatto vivo. Perché? «C' è poca consapevolezza delle prospettive, e questi istituti hanno spesso una cattiva nomea per colpa di qualche testa calda», riflette il preside. Così la produttiva Brianza, nei prossimi anni, potrebbe doversi cercare degli elettricisti d' importazione.

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Il caso della scuola di Erba non è isolato, né eccezionale. I primi dati sulle iscrizioni alle scuole superiori per il 2017-18, parlano di un Paese in cui più della metà dei ragazzi vuole fare il liceo (54 per cento), meno di un terzo sceglie un istituto tecnico (30,3 per cento) e il 15 per cento tenta la strada della formazione professionale.

 

In Lombardia il dato è ancora inferiore: solo il 12,6 per cento dei quattordicenni, due punti in meno rispetto a un anno fa. Gli istituti professionali sono ancora frequentati in Basilicata, Campania e Puglia, mentre vanno controcorrente gli studenti stranieri, che secondo i dati della fondazione Ismu scelgono nel 36 per cento dei casi un percorso professionale. Il preside Ripamonti si dice comunque ottimista, perché «di ragazzi con voglia di rimboccasi le maniche e lavorare ne abbiamo bisogno, quindi sono certo che alla fine ne arriveranno altri e riusciremo a fare almeno una classe».

 

Che il mercato del lavoro, soprattutto in Lombardia, sia affamato di professionalità tecniche lo conferma anche Veronica Meloni, talent acquisition manager di Abb, multinazionale leader nelle tecnologie per l' energia e l' automazione, con clienti in tutto il mondo e stabilimenti in quattro province lombarde. «In tutta Italia cerchiamo sempre profili specializzati e tecnici da inserire».

 

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Gli istituti professionali provano a far capire ai ragazzi che gli sbocchi ci sono. «Ci chiedono di anticipare l' orientamento al primo anno per spiegare i bisogni che abbiamo e quali sono le professioni del futuro. Nonostante una riorganizzazione che negli ultimi due anni ha ridotto le assunzioni, collaboriamo con 31 scuole vicine ai nostri impianti produttivi, di cui un terzo in Lombardia, già a partire dall' alternanza scuola-lavoro».

 

Stando ai dati della piattaforma Eduscopio della fondazione Giovanni Agnelli, le scuole professionali a indirizzo industriale lombarde hanno un indice di occupazione medio nei due anni successivi al diploma che oscilla tra il 55 e il 75 per cento. In più, chi esce da queste scuole finisce a fare un lavoro coerente con quello che ha studiato.

 

In generale, da un analisi dei dati di sette regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Basilicata e Sardegna) «la metà dei diplomati tecnici e professionali entra nel mondo del lavoro nei due anni successivi al diploma» e «il tempo di attesa è in media di sette mesi» mentre «nella maggioranza dei casi, per lavorare non si va oltre il proprio luogo di residenza o i comuni limitrofi, con una distanza media da casa di 26 chilometri».

 

Il governo sta provando a fermare la fuga dalle scuole professionali con una riforma, cui è dedicato uno dei decreti attuativi della Buona scuola. Le nuove «scuole territoriali dell' innovazione» saranno «strettamente connesse con il territorio e ispirate ai modelli promossi dall' Unione Europea», avranno l' alternanza scuola-lavoro già dal secondo anno e percorsi individuali per gli studenti. Servirà a convincerli a rimboccarsi le maniche?

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