IL PASSATO CHE NON PASSA – A PROCESSO PER LA STRAGE DEL RAPIDO 904 DEL NATALE 1984, TOTÒ RIINA CHIAMA A DEPORRE MARCO MINNITI E GIAMPIERO MASSOLO – IL RESPONSABILE POLITICO E IL CAPO OPERATIVO DEI SERVIZI SEGRETI DOVRANNO PARLARE DELLA DESECRETAZIONE DEGLI ATTI

Per stessa ammissione del legale del boss, si tratta di una richiesta “un po’ provocatoria”. Ma non è l’unica. Contravvenendo al codice d’onore dei mafiosi, Riina chiama a deporre in sua difesa anche Pippo Calò, il “cassiere” di Cosa nostra che per questa strage ha già preso un ergastolo…

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Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera

 

Marco Minniti Marco Minniti

Un attentato di trent’anni fa, l’eccidio del Natale 1984 sul Rapido 904 Napoli-Milano, fu il primo atto della strategia terrorista della mafia; realizzato «con l’intento di operare pressioni sugli organi dello Stato, in un primo momento al fine di ottenere, tramite i suoi “referenti politici” dell’epoca, un intervento sul maxiprocesso, e successivamente per imporre con l’arma del ricatto un alleggerimento degli effetti delle predette sentenze».

 

Ecco perché Totò Riina compare nuovamente alla sbarra in un giudizio per strage: la bomba che sventrò il treno in una delle gallerie dell’Appennino, appena dopo Firenze la sera del 23 dicembre ‘84, uccidendo 16 persone e ferendone molte altre.

 

massolo giampiero massolo giampiero

Davanti alla Corte d’assise del capoluogo toscano, oggi, comincerà il dibattimento nel quale il «capo dei capi» di Cosa nostra ha chiamato a deporre nientemeno che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Marco Minniti, e il capo dei Dipartimento per l’informazione e la sicurezza, Giampiero Massolo. In pratica il responsabile politico e quello operativo dell’ intelligence , indicati come testimoni a sostegno delle tesi difensive del boss.

 

L’avvocato del capomafia, Luca Cianferoni, vuole chiedere loro notizie sulla «desecretazione di tutti gli atti afferenti alle indagini dei servizi di sicurezza relativi all’attentato del 23 dicembre 1984, e in ordine al contenuto dei medesimi», dopo la direttiva del premier Matteo Renzi di aprire gli archivi dei Servizi su alcuni fatti di sangue che hanno segnato la recente storia d’Italia. Una «iniziativa un po’ provocatoria», ammette il difensore di Riina, che continua a chiamare in causa gli apparati dello Stato in alcuni eventi dei quali è stato accusato (come l’eccidio di via D’Amelio che uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta).

PIPPO CALO' PIPPO CALO'

 

Non solo. Il capomafia pluriergastolano ha citato come testimone a sua discolpa un altro boss già condannato all’ergastolo per quella strage: Pippo Calò, il «cassiere di Cosa nostra» arrestato a Roma tre mesi dopo l’esplosione, «su quanto a sua conoscenza» in relazione all’attentato.

 

Un fatto del tutto inedito nei processi di mafia: un «uomo d’onore» che chiama a deporre davanti ai giudici un altro «uomo d’onore», nel tentativo di dimostrare la propria innocenza, segna l’abbandono di una delle regole basilari — la segretezza e la consegna del silenzio — su cui è prosperata l’organizzazione criminale.

 

STRAGE DELL’84 STRAGE DELL’84

Oltre che a Calò il carcere a vita era stato inflitto al suo uomo di fiducia Guido Cercola, suicidatosi nella prigione di Sulmona a gennaio del 2005, dopo vent’anni di detenzione; ora il difensore di Riina vuole far deporre il direttore di quel penitenziario «sulla tenace manifestazione di innocenza da parte di costui rispetto alla strage per cui è a processo».

Sarà la Corte d’assise a decidere quali e quanti testimoni ammettere, dopo che i pubblici ministeri avranno espresso il loro parere. A rappresentare l’accusa sarà il sostituto procuratore antimafia Angela Pietroiusti che stamane, alla prima udienza, verrà affiancata dal procuratore capo Giuseppe Creazzo.

 

Per i pm — eredi di un processo spostato per competenza dopo le indagini avviate dalla Procura di Napoli che individuò il nesso fra la bomba e il ricatto allo Stato — la strage fu decisa da Riina «nella qualità di capo indiscusso» di Cosa nostra, all’indomani degli arresti seguiti al «pentimento» di Tommaso Buscetta, che nel 1984 con le sue dichiarazioni al giudice istruttore Giovanni Falcone mise le basi per il maxi-processo a Cosa nostra.

STRAGE DELL’84 STRAGE DELL’84

 

Una reazione alla prima vera risposta delle istituzioni al potere mafioso, otto anni prima della sentenza della Cassazione che, nel 1992, facendo diventare definitive le condanne dei boss, avrebbe scatenato la nuova stagione stragista prima in Sicilia (gli attentati a Falcone e Borsellino) e poi sul continente (Firenze, Roma e Milano) che fece da sfondo alla presunta trattativa sotto giudizio a Palermo.

 

L’attentato terroristico al treno, realizzato con la collaborazione di elementi della camorra legati alla mafia, doveva servire a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dall’emergenza mafiosa scoperchiata dalle dichiarazioni di Buscetta, facendo balenare un ritorno alle bombe sui treni di matrice eversiva. La composizione dell’esplosivo e alcuni congegni elettronici erano dello stesso genere di quello utilizzato per le stragi degli anni Novanta, come testimonierà il perito chiamato a deporre insieme ai nuovi pentiti di mafia. 

 

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