1. “POTENDO TORNARE INDIETRO, AVREI RIFATTO QUEL BLITZ? UMANAMENTE, DICO DI NO”
2. PARLA IL GENERALE RENZO NISI CHE HA GESTITO LA PERQUISIZIONE A LAVAGNA, A CASA DI GIOVANNI BIANCHI, IL 16ENNE CHE S'E’ LANCIATO DALLA FINESTRA PER UN PO' DI  HASHISH
3. “SIAMO INTERVENUTI CON TUTTE LE TUTELE DEL CASO. IL RAGAZZO STAVA PARLANDO CON I FAMIGLIARI, ERA UN RIMPROVERO DA GENITORI. NON STAVANO LITIGANDO IN MODO ACCESO”
4. “SE SENTO IL PESO DELLA SUA MORTE? ABBIAMO RISPETTATO LE PROCEDURE. LO ABBIAMO INCROCIATO ALL'USCITA DA SCUOLA. UNA PATTUGLIA IN BORGHESE, D'ACCORDO CON LA MAMMA, LO HA FERMATO. HA RISPOSTO TRANQUILLAMENTE ALLE NOSTRE DOMANDE, DICENDOCI CHE...”
5. LA CRITICA DEGLI AMICI DI GIOVANNI: “UN FIGLIO DEVE POTERSI FIDARE DEI SUOI. PORTARE GLI SBIRRI IN CASA PER NOI NON ESISTE. È COME UN TRADIMENTO, UNA COSA BRUTTISSIMA”
 

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1 - «QUELL' AZIONE ANTI DROGA NON LA FAREI PIÙ» SUICIDA A 16 ANNI, L' ANGOSCIA DEL GENERALE

Alessandro Belardetti per “Il Giorno”

 

IL GENERALE RENZO NISI IL GENERALE RENZO NISI

«Potendo tornare indietro, avrei rifatto quel blitz? Umanamente, dico di no. Col senno di poi immaginerei sicuramente un intervento diverso, con un supporto psicologico presente in casa. Penserei a una soluzione alternativa, ci sto ragionando tutti i giorni. Conoscendo l' esito tragico di quel servizio, adesso dico che era meglio non farlo», sono le valutazioni pesanti come macigni del generale Renzo Nisi, comandante provinciale della Guardia di finanza di Genova, che quella perquisizione l' ha gestita. Nel blitz a Lavagna ha perso la vita, lanciandosi dalla finestra, il 16enne Giovanni Bianchi, sorpreso dalle Fiamme gialle con alcuni grammi di hashish fuori da scuola e poi accompagnato a casa.

 

Generale, giudicando da uomo non rifarebbe quel blitz. Ma pensando da finanziere?

«Se un cittadino ci chiede aiuto, dobbiamo aiutarlo nel miglior modo possibile. Nel caso del ragazzino siamo intervenuti con tutte le cautele del caso, predisponendo una squadra speciale per l' occasione, composta da padri di famiglia che sapessero bene come approcciare un giovane. Erano tutti militari in grado di creare un ambiente meno traumatico possibile. Abbiamo fatto in modo che nell' abitazione ci fosse la madre con il compagno».

 

Prima di lanciarsi dalla finestra, il ragazzino ha detto qualcosa?

GIOVANNI BIANCHI IL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA GIOVANNI BIANCHI IL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA

«Stava parlando con i suoi famigliari, era un classico rimprovero da genitori. Non stavano assolutamente litigando in modo acceso, l' argomento era la droga».

 

Il procuratore dei minori della Liguria, Cristina Maggia, ha detto che bastava una chiamata e avrebbe sconsigliato la perquisizione.

«Non entro in polemica con il procuratore: noi operiamo strada per strada, con la gente e per la gente. Le decisioni vanno prese nell'arco di un attimo e ci appelliamo alla professionalità. Se si giudica in base al risultato, anche la vita di ognuno di noi è da rivedere».

 

Sente il peso della morte del ragazzino?

«Abbiamo messo in campo la migliore esperienza e rispettato le procedure per tutelare il minorenne. Il risultato non ci ha dato ragione, non siamo tranquilli. Ci sentiamo profondamente colpiti e dispiaciuti. Fare il massimo non è bastato, si può pensare di mettere più forze in campo. Normalmente non si fa, ma nelle perquisizioni casalinghe potrebbe entrare in gioco da prassi lo psicologo».

I GENITORI DI GIOVANNI BIANCHI IL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA I GENITORI DI GIOVANNI BIANCHI IL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA

 

In che modo?

«Non sarebbe agevole per i costi e l'organizzazione del lavoro, ma si può immaginare uno psicologo del pronto intervento che ci afffianchi in situazioni in cui sono coinvolti minorenni».

 

Antonella Riccardi, la madre adottiva di Giò come vi ha chiesto aiuto?

«È venuta in caserma alle 10.30 raccontandoci del figlio, che aveva manifestato repentinamente problemi nella vita di tutti i giorni. Lei temeva facesse uso di stupefacenti. Aveva cattive frequentazioni e andava male a scuola, mentre prima era uno dei migliori della classe ed era molto ben inserito nel tessuto sociale tra paese e calcio. Questo è stato il grido di disperazione della madre».

 

Voi come avete operato?

«Alla prima occasione utile dovevamo capire se usava o meno droghe. All'uscita da scuola, alle 13.30 una pattuglia in borghese, d' accordo con la mamma, lo ha fermato. Lui ha risposto tranquillamente alle nostre domande, trovando anche una scusa molto fantasiosa: l' hashish l' ho trovato nel bagno della stazione».

I FUNERALI DEL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA I FUNERALI DEL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA

 

Che spiegazione si è dato al gesto estremo e improvviso di Giò?

«Non lo so, me lo sto chiedendo in tutti questi giorni e soprattutto ieri (mercoledì, ndr) al funerale quando ho visto l' enorme partecipazione per l' addio. Quel ragazzo era inserito ovunque, aveva amici, conoscenti, compagni di squadra. Non si spiega, è imponderabile».

 

Quali consigli può dare ai genitori che devono affrontare i problemi di droga dei figli?

«Li temo anche io da padre, visto che ho due figli abbastanza giovani. Una ricetta non c' è, ma ammiro il comportamento della famiglia di Giò, che quando l' ha ritenuto opportuno si è rivolta allo Stato per chiedere aiuto. La loro scelta è stata giusta, l' esito era imponderabile. Se la gente non si rivolge allo Stato nel momento del bisogno, la società perde il suo valore. In questi giorni ho sentito di tutto, tranne che la fiducia nello Stato. Noi aiutiamo chi ha bisogno».

MARIJUANA MARIJUANA

 

2 - «I NOSTRI FIGLI E L' USO DI CANNABIS TROVIAMO IL CORAGGIO DI PARLARNE»

Elena Tebano per il “Corriere della Sera”

 

Del suicidio del ragazzo di Lavagna Alberto Pellai, milanese, medico e psicoterapeuta dell' età evolutiva, ha parlato con le figlie adolescenti: «Cosa avreste fatto voi, se vi foste trovate nella sua situazione?» ha chiesto. Una domanda dolorosa anche solo a pensarla e parallela a quella che chiunque si è posto al cospetto di questa vicenda: come reagire di fronte a un figlio che fuma hashish o marijuana? Esiste un' alternativa tra l' impotenza della semplice repressione (chiamare le forze dell' ordine) e quella del lasciar correre perché «tanto-ormai-lo-fanno-tutti»?

 

I FUNERALI DEL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA I FUNERALI DEL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA

«Il ruolo dei genitori è problematizzare il consumo di sostanze nell'adolescenza, che comunque è sempre a rischio e lo è tanto più quanto è precoce l'età in cui si inizia - spiega Pellai -. Domandare ai ragazzi e alle ragazze cosa avrebbero provato al suo posto significa dire: ne possiamo parlare. E quindi che a tutto c'è una soluzione.

 

La scelta di saltare nel vuoto, un gesto violentissimo e irreversibile spesso deciso dai ragazzi in 15 secondi, viene invece anche dall' incapacità di dare parole a un groviglio di emozioni negative, che magari si presentano tutte insieme: paura per le forze dell' ordine in casa, rabbia perché ti senti i genitori sul collo, tristezza perché stai deludendo te stesso e chi ti vuole bene».

MARIJUANA MARIJUANA

 

IL MESSAGGIO AI FIGLI

Non ci possono però essere ambiguità: «Gli adulti devono far passare l'idea che in un percorso di crescita non c'è spazio per le sostanze psicotrope, che usarle come un tampone per gli sbalzi emotivi che gli adolescenti provano è una falsa soluzione: significa non voler sentire la fatica o il disagio interiori invece di costruire una risposta nelle relazioni e nelle realtà che risolva davvero il problema» chiarisce Pellai. È un compito difficile, ma imprescindibile: «La trasgressione è spesso un tiro alla fune, un figlio si aspetta che il genitore dall' altra parte lo regga, che ci metta la forza e non rinunci al suo ruolo».

 

LA PAURA DEI GENITORI

I FUNERALI DEL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA I FUNERALI DEL RAGAZZO SUICIDA A LAVAGNA

A rendere tutto più complicato c'è spesso la paura degli adulti: che farsi le canne equivalga per i figli a una condanna, l'entrata in un tunnel da cui non c'è uscita. «Invece distinguere è fondamentale perché non sempre il consumo di cannabis è la spia di una grave situazione di disagio: le ricerche dicono che il 15% dei ragazzi tra i 15 e 19 anni lo fa una o due volte al mese a fini socio-ricreativi, per stare nel gruppo - dice Leopoldo Grosso, psicoterapeuta e presidente onorario del Gruppo Abele -. Ai genitori preoccupati chiedo: vostro figlio cos' altro fa?

 

Continua ad andar bene a scuola, a praticare sport e avere compagnie con cui non fuma, a coltivare i suoi interessi? Oppure fuma tutti i giorni, ha un profitto scolastico fallimentare, ha perso interesse nelle altre attività, si è chiuso nella cerchia delle persone con le quali fuma e ha abbandonato i vecchi amici?». Si tratta di capire insomma se gli adolescenti fumano per adeguarsi ai pari oppure se è una loro modalità per esprimersi.

 

LA GIUSTA REAZIONE

SERRA DI MARIJUANA SERRA DI MARIJUANA

«Nel primo caso - afferma Grosso - è un comportamento a cui prestare attenzione, ma probabilmente solo una fase. È necessario comunque che i genitori pongano limiti, chiarendo che non lo condividono, vietando di farlo in casa o negando i soldi per comprare le sostanze, ma senza demonizzare. Nel secondo caso c' è invece una grave situazione di disagio, la palude di un fallimento evolutivo».

 

Allora bisogna chiedere aiuto agli specialisti: dagli sportelli psicologici delle scuole ai consultori familiari ai servizi antidipendenze delle Asl. «Ma è fondamentale - avverte Grosso - che l' intervento sia incentrato sulle difficoltà irrisolte: i rapporti interpersonali, quelli familiari, la scarsa autostima».

 

MARIJUANA MARIJUANA

In generale, anche di fronte al consumo sporadico è bene cercare interlocutori per capire come stanno i ragazzi: «Rivolgersi a tutti gli adulti che hanno a che fare con loro, professori, allenatori, educatori - dice Paolo Rigliano, responsabile del servizio psichiatrico degli ospedali San Paolo e San Carlo di Milano -. Poi nel quotidiano ai genitori e a noi tutti spetta il compito più difficile: contrastare l' idea oggi diffusissima che l' alterazione degli stati mentali sia una cosa positiva. Vale anche per l' alcol: ormai non si riesce a stare bene senza stravolgersi». È la risorsa e la difesa più grande che possiamo dare agli adolescenti: insegnare loro a entrare (e restare) in contatto con se stessi.

 

3 - LO SFOGO DEGLI AMICI DEL RAGAZZO SUICIDA: "UN FIGLIO DEVE POTERSI FIDARE PORTARE GLI SBIRRI NON ESISTE"

Eloisa Moretti Clementi e Daniele Grillo per “la Stampa”

 

«Un figlio deve potersi fidare dei suoi. Portare gli sbirri in casa per noi non esiste. È come un tradimento, una cosa bruttissima». C' è molta rabbia tra gli amici più stretti degli ultimi tormentati pomeriggi di Giovanni, il quindicenne suicidatosi lunedì a Lavagna, al centro del golfo del Tigullio, durante una perquisizione della Guardia di finanza.

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Una rabbia che non si scaglia unicamente contro la madre del ragazzo e il messaggio lanciato dall' altare - c' è chi la critica ma pure chi dice di comprenderla -, ma che anzi cerca una direzione, un punto di sfogo. Gli amici di quei pomeriggi, gli stessi che hanno appeso lo striscione con la frase di Guccini alla facciata della basilica di Santo Stefano, dopo il funerale hanno fatto a pezzi quel maxi-lenzuolo. «Diceva che fumava per non pensare ai problemi, per rilassarsi», racconta un altro teenager del giro di «Giò».

 

Non sono ragazzi in cerca di trasgressioni a buon mercato, questi. Sono insoddisfatti in cerca di un nome per la propria insoddisfazione. Una caccia al tesoro che non sembra divertirli, un gioco dal quale i genitori vengono estromessi perché se la caverebbero come in uno sparatutto della play: impacciati, lenti, fuori contesto.

marijuana love marijuana love

 

Uno studente fuori da un istituto di Chiavari diverso da quello di Giovanni, un tipo a posto senza giri strani, commenta con parole che dicono molto, della distanza: «Ammetto che, se io ho un problema, non ne parlo mai con i miei genitori a meno che non sia una cosa grave». Rimane da capire come riuscire a coprire salti comunicativi importanti se quotidianamente non si condividono le piccole preoccupazioni.

 

Ma non sono riflessioni che appartengono alla dimensione privata del dolore profondo e personale della famiglia del quindicenne. A chi sa davvero tutto e ha vissuto il tutto sulla pelle, a chi aveva la responsabilità di scegliere e affrontare.

 

Vicino nell' abbraccio sull' altare all' ex compagna, il padre di «Giò» ha voluto restare solo, la sera dopo l' addio al figlio. «Preferisco elaborare da solo questo dolore - racconta - Sono state giornate intense, un' apoteosi di abbracci, affetto, lacrime. La straordinaria partecipazione mi ha colpito. È stato gratificante vedere i segni che un ragazzo di 15 anni può lasciare in questa vita». Ricordare la memoria del loro «piccolino», istituendo una fondazione che promuova i temi dell' educazione e del contrasto alla droga.

dispensario cannabis dispensario cannabis

Forse i due genitori ci ragioneranno su. «Sto pensando a una serie di cose - spiega la madre - ma adesso non voglio dire nulla che non sia ponderato».

 

Attorno al banco vuoto, intanto, dirigenti e i genitori fanno quadrato per capire come difendere l' istituto dall' eccessivo avvicinarsi del mostro della droga. C' è fretta di proteggere i molti minori coinvolti, ma anche di superare una vicenda spiacevole. Mossi da un caso che ha scatenato politici e intellettuali, alcuni deputati del Pd ieri hanno depositato un' interrogazione, prima firmataria Mara Carocci. Si chiede, in particolare, di codificare meglio il ruolo di forze dell' ordine, genitori e dirigenti».

 

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