QUEL "SETTEMBRE NERO" A MONACO 1972 – LA STRAGE DEGLI ATLETI ISRAELIANI AD OPERA DEI PALESTINESI, L’ANTITERRORISMO TEDESCO SBAGLIÒ TUTTO, POI A SISTEMARE GLI ATTENTATORI CI PENSÒ ISRAELE - FU COSTITUITA UNA SQUADRA DI GIUSTIZIERI CHE PER OLTRE DIECI ANNI BRACCÒ GLI ASSASSINI DI MONACO E I LORO COMPLICI. TUTTI FURONO INDIVIDUATI E UCCISI CON I METODI PIÙ FANTASIOSI: UNA BOMBA SOTTO IL LETTO O DENTRO UN TELEFONO, UNA RAFFICA DI MITRA, FORSE ANCHE UNO STRANGOLAMENTO

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Carlo Nordio per “il Messaggero

 

 

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Ma nel complesso la lezione di Monaco servì, l’Occidente sembrò ridestarsi dal suo funesto torpore e per alcuni decenni fummo immuni dalle stragi di matrice islamica, prima che all’orizzonte si affacciasse una nuova minaccia, più insidiosa e sanguinaria di “Settembre nero”. Ma questa, purtroppo, è già attualità.

 

 

Nel settembre 1972 mezzo mondo guardava alla Germania. Le Olimpiadi di Monaco, solennemente inaugurate nel nuovo stadio, gioiello dell’architettura avveniristica, celebravano ritualità ben diverse da quelle enfatizzate trentasei anni prima da Leni Riefenstahl, la regista di Hitler e della sua megalomania. Allora i tedeschi avevano inghiottito l’amaro trionfo di Jesse Owens, un negro. Ora si stavano entusiasmando per le sette medaglie d’oro di Mark Spitz, bellissimo, americano ed ebreo. L’atmosfera era gioiosa, e gli stessi atleti si concedevano svaghi supplementari, ignorando la disciplina di squadra. Molti uscivano di sera e ritornavano a notte fonda, dopo qualche gozzoviglia condita di libero amore.

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VILLAGGIO

Nel villaggio olimpico non c’erano controlli; soltanto gli allenatori, e spesso nemmeno loro, tenevano d’occhio il viavai dentro il recinto. Fu approfittando di questo lassismo che all’alba del giorno 5 un commando di otto palestinesi, appartenenti all’organizzazione “Settembre nero”, irruppe nella palazzina occupata dalla squadra israeliana, armato di mitra e di bombe a mano.

 

Gli undici atleti di Tel Aviv erano tutti robusti e coraggiosi. Alcuni erano scampati all’Olocausto, altri vi avevano perso la famiglia. Uno di loro, campione di lotta grecoromana, rallentò l’azione degli intrusi e consentì la fuga di qualche compagno. Ma dopo qualche minuto i terroristi avevano il totale controllo dell’edificio. Malmenarono e torturano un paio di ragazzi, ne uccisero uno e, a titolo di monito salutare, lo buttarono giù dalla terrazza.

 

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Mentre il mondo assisteva attonito e inorridito a tanta brutalità, arrivarono le richieste: la liberazione entro 24 ore di 253 palestinesi detenuti in Israele, più un paio di assassini della banda Baader Meinhof, in carcere in Germania. In alternativa, gli ostaggi sarebbero stati uccisi. Israele offrì l’aiuto della sua unità speciale, la leggendaria Sayeret Matkal, «il meglio del meglio al mondo».

 

Il governo di Bonn rifiutò, pensando di farcela da solo. Era un’illusione. Annichilita e umiliata dalla disfatta del ‘45, la Germania era una vaga parvenza dell’efficiente macchina bellica che aveva terrorizzato l’Europa durante le due guerre mondiali. I tedeschi - come i giapponesi - avevano convertito la loro aggressività militarista in uno straordinario dinamismo economico, trasferendovi la disciplinata intelligenza che avevano precedentemente utilizzato per costruire eserciti e seminare distruzione. Erano diventati un paese pacifico e semismilitarizzato, con un servizio di intelligence embrionale e un apparato di sicurezza quantomeno dilettantesco.

 

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I risultati si videro subito. Fu organizzata una squadra di poliziotti travestiti da cuochi, che avrebbero portato agli ostaggi del cibo. I terroristi sghignazzarono, e fecero depositare le pietanze all’aperto. Allora i soldati provarono a entrare attraverso il condotto di aerazione: furono filmati sui tetti dalle televisioni di mezzo mondo, e l’operazione sfumò nel ridicolo. I sequestratori persero la pazienza. Avevano già ucciso due ostaggi, e minacciavano di eliminare gli altri uno alla volta, se non avessero avuto a disposizione due elicotteri e un aereo a lungo raggio. Le autorità tedesche finsero di accettare, e pasticciarono più di prima.

 

 

LA TRAPPOLA

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Mandarono gli elicotteri, e prepararono una trappola all’aeroporto: a bordo del jet vestiti da piloti, ci sarebbero stati degli agenti, che però all’ultimo momento furono richiamati, perché la missione era troppo rischiosa. Infine, quando gli elicotteri arrivarono, le autorità si accorsero che i palestinesi erano più numerosi del previsto, e che i rinforzi non erano disponibili perché bloccati all’esterno dai giornalisti e dai curiosi.

 

Nonostante queste infauste premesse, i cecchini aprirono il fuoco: nessuno di loro era stato addestrato a simili operazioni, erano stati scelti all’ultimo momento perché dilettanti di tiro a segno. Da quel momento fu l’inferno. I terroristi risposero sparando, lanciando bombe, e incendiano i velivoli.

 

Nell’interminabile parapiglia che ne seguì morirono 5 palestinesi, un gendarme e tutti gli ostaggi israeliani. Tre terroristi furono catturati, ma la loro detenzione non durò a lungo. Pochi mesi dopo un aereo tedesco fu dirottato dai loro compagni, e i tre furono liberati in cambio del rilascio dei passeggeri. La grande Germania aveva toccato il fondo.

 

Non così Israele. La sua reazione fu fulminea, massiccia e spietata. Golda Meir aveva detto, citando la Bibbia, che il braccio di David era lungo e potente; si dimostrò anche più severo del previsto. Fu costituita una squadra di giustizieri che per oltre dieci anni braccò gli assassini di Monaco e i loro complici. Tutti furono individuati e uccisi con i metodi più fantasiosi: una bomba sotto il letto o dentro un telefono, una raffica di mitra, forse anche uno strangolamento.

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LA PELLICOLA

Il film Munich, di Steven Spielberg, descrive solo in parte la metodica esecuzione di questa giustizia forse sommaria, ma certamente efficace. Quando le famiglie degli ostaggi vennero in possesso delle foto degli atleti sequestrati, uno dei quali era stato evirato davanti ai compagni, svanirono anche le ultime perplessità su una vendetta così inusuale. La strage di Monaco mise in luce le debolezze e le ipocrisie delle democrazie occidentali.

 

La mancata sospensione immediata dei giochi scandalizzò il mondo - tranne quello comunista e quello arabo - per la cinica indifferenza di un comitato olimpico affarista e codardo, e di uno Stato ospitante che tra l’altro continuava a proteggere, e addirittura a mantenere, criminali nazisti condannati dai tribunali internazionali.

 

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Così come la disfatta militare aveva dimostrato l’infiacchimento morale e operativo di un popolo che pensava più a salvare le esportazioni di automobili e di wurstel che il residuo onore di bandiera.

 

LA RIFLESSIONE

Tuttavia non fu una tragedia inutile. Da essa cominciò una riflessione seria e costruttiva sui pericoli della guerra calda, fino allora congelati dalla paura di quella fredda. Furono progettati corpi speciali antiterrorismo, furono potenziati i servizi di intelligence, e soprattutto si intraprese, a fatica, un percorso di riarmo etico, abbandonando gradualmente le ingenue velleità di un pacifismo deludente.

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Israele intanto continuava a predicare che l’unica strategia possibile con i terroristi, interni o stranieri, era l’intransigente fermezza. Non tutti seguirono subito questo insegnamento: vi furono altri attentati, e altri cedimenti opportunistici ai ricatti dei banditi.

 

Il nostro stesso Paese non ne andò esente, quando Craxi liberò i palestinesi sequestratori della Achille Lauro, che avevano ammazzato un ebreo americano paraplegico, gettandolo in acqua con la carrozzina. E qualche dietrologo ancora oggi insinua che gli Stati Uniti presentarono alcuni anni dopo al nostro primo ministro un conto salato, sotto forma di tangentopoli.

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Ma nel complesso la lezione di Monaco servì, l’Occidente sembrò ridestarsi dal suo funesto torpore e per alcuni decenni fummo immuni dalle stragi di matrice islamica, prima che all’orizzonte si affacciasse una nuova minaccia, più insidiosa e sanguinaria di “Settembre nero”. Ma questa, purtroppo, è già attualità.

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