"SE MI LASCI TI AMMAZZO, SEI MIA PER SEMPRE" - A TORINO UN UOMO DI ORIGINI TUNISINE HA TENTATO DI UCCIDERE LA COMPAGNA, SFREGIANDOLA CON DEI PEZZI DI VETRO - LA DONNA AVEVA SCOPERTO IL SUO SEGRETO: NEL 2008 LUI AVEVA UCCISO LA COMPAGNA DELL’EPOCA E PER QUELL'OMICIDIO STAVA SCONTANDO 15 ANNI - SI ERANO CONOSCIUTI IN CHAT E SI ERANO FREQUENTATI PER SEI MESI FINO A QUANDO...

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Irene Famà per http://www.lastampa.it

 

La ferita sul volto le rimarrà per sempre. Una condanna a vita che la giustizia non le può alleviare. Segno indelebile della violenza di un uomo che ha considerato la fine della loro relazione come un oltraggio da punire. Ieri, il Tribunale ha condannato con rito abbreviato Mohamed Safi, origini tunisine, a 16 anni di carcere per tentato omicidio. E ha disposto l' espulsione una volta espiata la pena.

femminicidio femminicidio

 

La sera del 18 ottobre 2019 in corso Giulio Cesare aveva aggredito la sua fidanzata: con un coccio di bottiglia aveva cercato di tagliarle la gola. «Se mi lasci ti ammazzo e mi ammazzo - urlava - Sei mia e sarai mia per sempre». Era stata salvata da alcuni passanti. I due si erano conosciuti in chat e si erano frequentati per sei mesi. Poi lei, navigando nel web, aveva scoperto il segreto del trentasettenne. Nel 2008, a Bergamo, aveva ucciso la sua compagna dell' epoca, Alessandra Mainolfi, e per quell' omicidio stava scontando una pena di 15 anni nel carcere Lorusso e Cutugno.

 

Un segreto di cui l' aveva sempre tenuta all' oscuro. Sfruttando la modalità di lavoro esterno prevista dall' articolo 21 dell' ordinamento penitenziario, lavorava come cameriere al bistrot Pausa Cafè di Grugliasco. Lei, dopo aver scoperto il suo passato, aveva deciso di lasciarlo. E lui aveva cercato di ucciderla. Ieri la condanna. Il massimo della pena, visto il rito.

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«Una sentenza giustamente severa nei confronti di un soggetto che ha gravemente violato anche la fiducia delle istituzioni che avevano scommesso su di lui permettendogli di scontare la pena in condizioni privilegiate» dice l' avvocato di parte civile, Anna Ronfani. A Safi era stato concesso di lavorare come aiuto pasticciere da Gaudenti, locale nel centro di Torino, come cameriere ai tavoli del bar di Palazzo di Giustizia. E poi al bistrot di Grugliasco. Avrebbe dovuto seguire, però, prescrizioni puntuali: rispettare l' ingresso di rientro in carcere, percorrere itinerari precisi, prendere determinati mezzi pubblici, non bere alcolici, non assumere sostanze stupefacenti. Disposizioni che sono state disattese. Perché nessuno l' ha segnalato? Perché, nonostante il suo comportamento, Safi continuava a poter uscire ed entrare dalla casa circondariale?

 

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Il permesso lavorativo era finito anche nel mirino del guardasigilli Alfonso Bonafede che aveva disposto accertamenti ministeriali. E il personale del carcere era stato sentito dagli inquirenti. L' avvocato dell' uomo, Daiana Barillaro, annuncia: «Leggerò le motivazioni e ricorrerò in appello. Continuo a sostenere che il reato sia da riqualificare in lesioni gravissime come da codice rosso. Una cosa è certa: senza un sostegno di tipo psichiatrico, per soggetti come il mio assistito il sistema rieducativo carcerario fallirà sempre».

 

In questa storia di violenza, a dare un segno di speranza è proprio lei. «Ringrazio i medici che mi hanno seguita - ha detto - Ringrazio il Tribunale che ha capito la gravità della situazione. E ringrazio chi, quella notte, è intervenuto in mio aiuto. Sono viva solo perché alcuni passanti non si sono girati dall' altra parte, ma mi hanno salvata quando stava per finirmi».

 

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