IL RITORNO DELLE SVASTICHELLE - IN GERMANIA, I GRUPPI DI ESTREMA DESTRA SI RAFFORZANO SOPRATTUTTO NELLA PARTE ORIENTALE DEL PAESE, ANELLO DEBOLE DELL'ECONOMIA TEDESCA - INSOFFERENTI ALLE POLITICHE DI ACCOGLIENZA, ALIMENTANO RAZZISMO E VIOLENZA CONTRO IMMIGRATI E RIFUGIATI

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Giovanni Tomasin per http://espresso.repubblica.it/

 

Uno squalo imbalsamato pende dal soffitto della locanda settecentesca nel centro di Ueckermünde, sulla laguna di Stettino. Sotto, quattro uomini robusti sorseggiano grandi boccali di birra. Teste lucide, rasate, indossano maglie sportive. Quando chiedo loro cosa pensano delle prossime elezioni tedesche, in settembre, alzano le spalle. Solo uno, il più vecchio, con il naso schiacciato del pugilatore, parla: «Voterò per l’Npd», dice alzando la testa. «Perché la Germania non deve essere più lo zimbello degli altri paesi».

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Il Partito Nazionaldemocratico è quanto di più simile al partito nazista ci sia nel panorama politico tedesco. Qui, nell’estremo Nordest della Germania, riscuote più di qualche consenso, anche se pochi ammetterebbero pubblicamente di votarlo. A Ueckermünde, una cittadina marinaresca uscita dal pennello di qualche fiammingo, governa la sinistra, ma alle ultime elezioni comunali una lista civica collegata all’Npd ha superato il 14%.

 

L’uomo della birreria è un loro elettore: «Ho 56 anni e per lavoro ho girato tutto il mondo», dice, «so come vanno le cose. I tedeschi pagano le tasse per servizi che poi vengono dati agli immigrati. In Europa i nostri soldi vengono utilizzati per finanziare stati come la Grecia e l’Italia. Poi i greci ci ringraziano così». Alza il dito medio.

 

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I sentimenti dell’uomo dalla testa rasata sono condivisi da una popolazione più ampia del solo elettorato Npd. Nel settembre 2016 alle elezioni regionali del Mecklenburg Vorpommern, il Land di Ueckermünde: la formazione neonazista ha preso una brutta batosta, ma il partito della destra populista Alternative für Deutschland, ha ottenuto il 21%, superando la Cdu di Angela Merkel e conquistando il secondo posto dopo i socialdemocratici.

 

In tutta la Germania orientale, anello debole dell’economia tedesca a oltre due decenni dalla riunificazione, il discorso populista fa breccia. Non sfonda, ma si diffonde. Cittadine e paesi di poche migliaia o centinaia di abitanti, in cui il lavoro latita, guardano con inquietudine alla politica di accoglienza inaugurata dal governo.

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Nelle periferie delle grandi città dell’est serpeggiano discorsi che da decenni non si sentivano in terra teutonica. Guben è una cittadina di 17mila abitanti a circa 250 chilometri a sud di Ueckermünde. Lontana dalla luce ovattata del Baltico, sorge al confine polacco tra le foreste e i laghi del Brandeburgo, il grande Land che circonda Berlino. Il fiume Neisse la taglia in due parti. La metà orientale, Gubin, è in Polonia: per sconfinare basta traversare a piedi un ponte.

 

Gli edifici sono un piccolo compendio dell’ultimo secolo di storia tedesca: i palazzi guglielmini del viale, il municipio colossale di gusto hitleriano, l’edilizia popolare della Ddr. La Germania riunificata ha portato il Plastinarium: un museo di periferia in cui l’artista Gunther von Hagens espone i corpi plastificati di giraffe, squali, esseri umani come in un laboratorio faustiano. La vita a Guben scorre pacifica seguendo il flusso del fiume. Ma nel profondo le acque non sono limpide. Alla fine degli anni Novanta gli estremisti di destra diedero il via a una caccia allo straniero che portò alla morte di un richiedente asilo algerino, dissanguato dalle schegge di una porta a vetri mentre tentava la fuga.

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Il volto carismatico dei Verdi tedeschi all’europarlamento, la deputata Ska Keller, è nata qui. Essere giovani in un posto come Guben, ha spiegato in un’intervista a Die Zeit, significa necessariamente schierarsi a destra o a sinistra. Poco spazio per il centro. La formazione della sinistra Die Linke era il primo partito a Guben alle ultime elezioni, nel 2014. Ma anche qui la paura dello straniero funziona. Il gruppo Facebook “Nein zum Heim in Guben”, avverso a ogni forma di accoglienza dei rifugiati in città, ha ottenuto 10mila sostenitori.

 

«Qui non c’è stato ancora un riflesso elettorale, ma abbiamo un problema di razzismo quotidiano, emotivo», spiega Birgit Mankour, referente di Die Linke nella vicina Cottbus. Secondo l’esponente della sinistra le ragioni vanno cercate nelle difficoltà economiche della regione: «I lavoratori stranieri c’erano da queste parti anche ai tempi della Ddr. La differenza è che quella volta tutti avevano casa e lavoro e nessuno sembrava farci caso».

 

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L’altro punto su cui fa leva il discorso xenofobo è il rapporto dello straniero con le donne: «È un tema che spaventa molto i tedeschi - spiega Mankour -. Io vivo con un algerino musulmano e so che l’Islam e la tradizione dei paesi mediorientali sono cose diverse. Si può essere musulmani e avere un rapporto paritario con le donne. Ma molte tedesche si sentono insicure vedendo gli stranieri nelle strade».

 

Le periferie e la provincia profonda condividono le stesse paure. Circa 150 chilometri a sud di Guben, a Dresda, ogni lunedì si celebra una liturgia politica. La grande piazza dell’Altmarkt è ancora semivuota, mentre la polizia si schiera in attesa dell’arrivo dei manifestanti. È il raduno settimanale di Pegida, il movimento dei “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente”, nato nel 2014 nella capitale sassone. I primi ad arrivare sono tre anziani, uno porta sulla spalla un’asta con la bandiera tedesca. «Siamo contrari alle politiche di accoglienza imposte dall’Unione europea», spiega un pensionato, al quale la moglie consiglia di rimanere anonimo. «Non ce l’abbiamo con le piccole migrazioni, ma con quelle di massa, che mischiano il loro sangue al sangue tedesco». È la politica, prosegue, a incoraggiare «l’invasione». L’unico partito su cui contano è l’Afd: «Solo loro possono portare le nostre istanze in parlamento. Non vinceranno mai, ma è importante che ci siano».

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Nel frattempo la piazza si riempie. In maggioranza sono teste canute, gli abiti dimessi di chi vive con pensioni magre. Sulla folla svettano i vessilli nazionali, affiancati dalla bandiera russa e, acquisto recente, da quella americana. Trump e Putin sono esempi da imitare per Pegida. Il leader del movimento Lutz Bachmann, ex criminale comune riconvertito alla politica, testa rasata ai lati e un ciuffo famigliare a ricadere sulla fronte, prende in mano il megafono e arringa la folla. Il comizio si impernia sulle colpe dei politici e sui crimini degli immigrati. Il pubblico ride, rumoreggia, intona slogan.

 

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La manifestazione dura circa un’ora, poi la piazza si scioglie e parte un corteo per le vie del centro. Sabrina, pensionata, spiega lo spirito di Pegida. A preoccuparla sono die Schwarzen, «i neri»: «A parte Afd, tutti i partiti fanno la stessa politica. Abbassano la testa e dicono “venite, islamisti!”. Io so perché lo fanno: è per il nostro passato. Pensano di dover far entrare tutti per mostrare che non abbiamo dimenticato». Sabrina però la pensa diversamente: «Tutti noi ricordiamo e non vogliamo ripetere quel che è successo. Ma questo non vuol dire che dobbiamo chinare il capo». L’Ostalgie, la nostalgia della Ddr, non è esclusiva della sinistra: «Quando c’era la Ddr tutti avevano una casa e un lavoro», conclude. «Oggi dicono che la gente spariva nel nulla, ma io mi ricordo: a nessuno dei miei amici è mai successo nulla di male».

 

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Dal fondo del viale, oltre un cordone di polizia, arrivano gli slogan della contro-manifestazione antifascista. «Sentiteli», dice Sabrina, «Sono i figli di papà multi-kulti convinti che si debba aprire le porte a tutti». Ogni lunedì, contemporaneamente ai raduni di Pegida, militanti anarchici, comunisti e della sinistra marciano verso il centro per mostrare ai «patrioti» che la Germania non è con loro. Quando la manifestazione si scioglie tornano verso Neustadt, il quartiere della vita giovanile, scortati dalla polizia. Sabrina e un’amica li guardano allontanarsi a distanza di sicurezza, stringendo le borsette al petto. Scuotono la testa.

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