SE IL FUTURO E’ IL TELE-LAVORO, FACCIAMO RETROMARCIA - CHI LAVORA DA CASA SOFFRE MAGGIORMENTE DI STRESS E INSONNIA E HA IL DOPPIO DEI DISTURBI RISPETTO AGLI IMPIEGATI TRADIZIONALI - NEGLI STATI UNITI LE PERSONE CHE DICHIARANO DI “TELELAVORARE” SONO PASSATE DAL 9 PER CENTO DEL 1995 AL 37 PER CENTO DEL 2015

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Rosita Rijtano per la Repubblica

 

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Libero di rimanere in pigiama, esonerato dal traffico del mattino e dalle barbose riunioni fiume. Ma al tempo stesso più insonne, stressato e affetto da solitudine: chi lavora da casa ha doppia probabilità di soffrire di disturbi del sonno e dell’umore rispetto a chi ogni giorno indossa giacca e cravatta per correre in ufficio. È ciò che rivela uno studio condotto da Eurofound, agenzia dell’Unione europea per il miglioramento delle condizioni di vita, e Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro costola delle Nazioni unite che si occupa di promuovere la giustizia sociale.

 

Un’indagine che ha inglobato ricerche condotte da entrambe le istituzioni in 15 paesi: dieci membri della Ue (Italia compresa) più Argentina, Brasile, India, Giappone e Stati Uniti. Il rapporto analizza l’imponente impatto del telelavoro, che non è più solo lavoro da casa ma «l’utilizzo di smartphone, tablet e computer per scopi lavorativi al di fuori dell’ufficio». Telefonate, email, messaggi che la tecnologia ci consente di inviare continuamente e dappertutto.

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Un fenomeno in crescita a livello globale. Negli Stati Uniti le persone che dichiarano di “telelavorare” sono passate dal 9 per cento del 1995 al 37 per cento del 2015. In Europa invece riguarda in media il 17 per cento di impiegati. Prima in classifica si piazza la Danimarca, in coda l’Italia. Dove sono soprattutto i giovanissimi a sperimentare quella che è stata già definita la modalità d’impiego del futuro: 1,8 i milioni di ragazzi tra i 18 e i 34 anni che sgobbano in ciabatte o a distanza, secondo l’ultima indagine Censis del 2015.

 

«Va assicurato che i tempi di riposo minimi siano rispettati per evitare futuri effetti negativi sulla salute e il benessere dei lavoratori» spiega Oscar Vargas di Eurofound. Perché del lavoro da remoto non è tutto da buttare. L’analisi Eurofound-Ilo sottolinea infatti anche diversi aspetti positivi: una maggiore autonomia, una elevata concentrazione che si traduce in una crescita di produttività. Ancor più lampanti sono i benefici per le imprese che, sbarazzandosi degli spazi destinati agli impiegati, possono tagliare notevoli costi.

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Tra le note stonate, un aspetto ancora poco studiato riguarda le conseguenze che l’attività lavorativa nell’ambiente domestico potrebbe avere sulla nostra schiena. In Finlandia circa il 50 per cento delle persone intervistate per il primo studio condotto in materia ha dichiarato di non avere a casa una scrivania ad hoc, il 53 per cento di soffrire di mal di spalle e il 46 per cento di dolori al collo.

 

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Uno degli aspetti più problematici e noti del telelavoro resta però l’isolamento e la mancanza dello scambio informale di informazioni. Con conseguente rischio esaurimento. La situazione peggiora se si passa ad analizzare i disturbi del sonno: il 42 per cento di chi lavora regolarmente da casa o è altamente mobile (cioè telelavora da tanti posti differenti, casa inclusa) soffre di insonnia, a fronte del 29 per cento di chi va in ufficio. Lo stress? Più alto anche quello: riguarda il 41 per cento di chi telelavora da luoghi diversi e il 30 per cento di chi rimane all’opera nel proprio appartamento rispetto al 21% di chi siede a una scrivania d’ufficio.

 

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Una soluzione c’è, sottolineano gli autori del report. E sta nel promuovere il “telelavoro part-time”: un po’ a casa e un po’ in ufficio per aiutare a mantenere i legami con i colleghi, nonché limitare il surplus di prestazioni non pagato. Esempio positivo è la legge che prevede il diritto alla disconnessione da poco approvata in Francia. Insomma, chi telelavora rischia di vivere in bilico tra stress e libertà. Ma basta qualche regola per ritrovare l’equilibrio.

 

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